Afro, l'americano

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vanni-merlin
00giovedì 23 novembre 2006 22:41
Afro, l'americano

A trent'anni dalla scomparsa, Udine e Pordenone ricordano il pittore Afro con un'antologica che coinvolge la Chiesa di San Francesco, la Galleria d'Arte Moderna di Villa Galvani e il Museo Civico



Udine - Quando New York cominciò ad attrarre, nel secondo dopoguerra, tutti i più grandi artisti europei, anche Afro, l'udinese con velleità neocubiste sbarcato a Roma con il fratello scultore Mirko Basaldella, non rimase insensibile a quella chiamata. Non che Roma fosse così provinciale da far scappare i suoi artisti. In una fotografia del '48, per esempio, Afro è ritratto al Caffè Greco con una ciurma di intellettuali di gran tiratura, dove spunta addirittura il regista attore Orson Welles. E sempre a Roma, Afro aveva già visto passare illustri presenze made in Usa come Conrad Marca-Relli, con cui divideva uno studio a via Margutta. Certo è che oramai l'École de Paris aveva fatto la sua epoca, la guerra aveva decimato esponenti dell'arte "degenerata", creando un movimento migratorio di massa oltre l'oceano. La raffinata collezionista Peggy Guggenheim aveva aperto la sua galleria dedicata all'Arte del dissenso, che collezionava fieri interventi del consorte Max Ernst, di Duchamp, Kline. In più s'aggirava nella Grande Mela un'arguta talent scout di origini italiane, la gallerista Catherine Viviano, che prediligeva smodatamente gli artisti europei, anche a discapito dei suoi connazionali, tanto che considerava Arshile Gorky un pallido imitatore di Mirò. Ebbene, la signora s'invaghì di Afro, artisticamente parlando, instaurando con lui una pluriennale collaborazione tanto che, fino al '68, organizzerà ogni due anni una mostra delle sue opere. Quando sbarcò a Manhattan nel 1950, a 38 anni, Afro portava nel cuore il dipinto "Guernica" di Picasso, che gli aveva spianato la strada ad intuizioni nuove sui principi figurativi, rafforzando in lui le aspirazioni ad un rinnovamento espressivo, magari puntando ad una sintesi nuova tra forma e contenuto.

Ma poi scoprì l'America. L'America di Afro, animata da poliedrici movimenti artistici senza tregua, dove conoscerà da vicino la forza e l'irruenza dell'espressionismo astratto di Willem de Kooning e di Franz Kline, dove comincerà a frequentare l'ambiente artistico di downtown, dove entrerà a far parte della cerchia più esclusiva della New Yorkes School, a braccetto con gli esponenti più affermati e anziani del momento, da Gorky a Jackson Pollock, Robert Motherwell, Adolf Gottlieb. Dove trovò uno stile proprio e inconfondibile, dove svilupperà una interpretazione autonoma della pittura informale, una trascrizione astratta, vitalistica, strutturale del dato reale, dove fece propria la lezione dell'action painting, ma con una modulazione tonale estremamente raffinata, e con una grafia orientaleggiante che ne fanno uno dei pittori più intellettualmente raffinati. E la personalità artistica di Afro, allattata dall'euforia europea, ma svezzata dalla frenesia americana che lo ha reso grande, diventa protagonista della monumentale doppia rassegna antologica "Afro & Italia-America. Incontri e confronti", che, nella ricorrenza dei trent'anni dalla morte, gli dedicano dal 25 novembre al 18 marzo la sua Udine e Pordenone.

La mostra, curata da Luciano Caramel con la collaborazione di Isabella Reale e Gilberto Ganzer, rispettivamente direttori della Galleria d'Arte Moderna di Udine e dei Musei Civici di Pordenone, che vanta la partecipazione dell'Archivio Afro e della Fondazione Antonio Mazzotta, oltre che dei più importanti musei e collezioni pubbliche e private, ripercorre la produzione dell'artista e i suoi rapporti con il contesto artistico italiano e americano. Tutta l'America esplode nella sezione allestita nella Chiesa di San Francesco a Udine. Spicca "fragorosa" l'accurata selezione delle opere dagli anni Cinquanta, di esperienza statunitense, gli anni della svolta all'insegna dell'espressionismo astratto, anni segnati anche da un'arguta talent scout di origini italiane, la gallerista Catherine Viviano. Qui trova uno stile proprio e inconfondibile, sviluppando un'interpretazione autonoma della pittura informale, conservando un trattamento raffinatissimo del colore nel momento dell'esecuzione libera e spontanea. Una formula che l'ha reso un vero maestro del colore, come lo sono stati Monet e Matisse. Anzi, per citare il critico Cesare Brandi, si può dire che Afro "è colore puro".

Proprio seguendo questo carattere genetico si percepisce come il colore sembra esplodere all'inizio degli anni '50 per poi, negli anni Settanta, causa la morte del fratello con cui era in simbiosi, e la malattia stessa, ridimensionarsi in tessiture più attenuate dove predominano i grigi, i neri e i bianchi. Il colore si rifugia in forme geometriche compattate seppur morbide, e quella festosa esultanza cromatica che faceva "soffrire l'occhio" diventa quasi opaco, come in una perdita d'interesse per la vita. Eppure, ci tiene Luciano Caramel a sottolineare come "nella mostra udinese, nella quale sono presentati importanti dipinti di Afro datati dal 1952 al 1970, il linguaggio dell'artista friulano si evolve con grande autonomia entro la cultura pittorica italiana ed europea, che resta per anni primaria e dominante, senza una reale adesione all'action painting statunitense. Per cui i rapporti e gli stimoli degli amici americani agiscono sotterraneamente entro un'apertura attiva, che non provoca soggezione stilistica. Afro rimane Afro".

Ed è su tale registro che saranno evidenziati nell'esposizione contatti e riferimenti. In primo luogo con Arshile Gorky, morto nel 1948 e quindi conosciuto solo attraverso le opere, di cui Afro presenterà con un suo scritto una mostra di disegni nel 1957 alla Galleria dell'Obelisco di Roma. E De Kooning, la cui amicizia nata in terra d'oltreoceano negli anni Cinquanta, nella sua prima avventura americana, matura al di qua dell'oceano, a Roma, lungo tutti gli anni Sessanta, quando Afro fece sì che l'artista americano arrivasse in Italia offrendogli anche il suo atelier. E ancora, ad accompagnare in mostra i dipinti di Afro le opere di altri dodici artisti tra i più rappresentativi dell'espressionismo astratto newyorkese, da Sam Francis, a Guston, Hofmann, Kline, Marca-Relli, Matta, Pollock, Rothko, Smith, Twombly.

A Pordenone, nelle due sedi della Galleria d'Arte Moderna di Villa Galvani e del Museo Civico, viene ricostruito il rapporto di Afro con l'arte italiana. Qui sfilano gli esordi figurativi degli anni Trenta e Quaranta, il periodo della Scuola Romana che vide Afro tra i protagonisti, e il momento in cui l'artista si avvicinò al Neocubismo, anni in cui Afro si esercitava in composizioni cubiste tra Braque e Picasso, dove lo spessore delle pennellate si assottigliava e il disegno trovava una nuova sintetica lucidità, con grafie taglienti ed essenziali. Ma un periodo anche di strutture verticali, costruzioni totemiche vicine al Grande Metafisico di de Chirico. Spiccano, poi, gli artisti che con Afro diedero vita tra il 1952 e il 1954 al Gruppo degli Otto, fiancheggiato dallo storico e critico Lionello Venturi e all'insegna del suo "astratto concreto". Ci sono Renato Birolli, che ad Afro si legherà strettamente, Antonio Corpora, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato ed Emilio Vedova. Con essi saranno presentati i protagonisti del coevo Gruppo Origine, Giuseppe Capogrossi, Ettore Colla e Alberto Burri, al quale Afro fu molto vicino, come Toti Scialoja, ricordato nell'esposizione anche attraverso opere di autori americani già di sua proprietà.

Ma a questo punto sorge un sospetto: Afro è americano o italiano? Rimarrà sempre italiano, anzi romano. Lui che viene da una città del nord, che trascorre un periodo a Milano, troverà in Roma quella giusta sfera stimolante che solo questa città sapeva dare in quegli anni. L'unico momento in cui s'allontanerà da Roma è quando va negli Stati Uniti, anche per allontanarsi da quelle polemiche diffuse sul senso di appartenenza ad una corrente precisa, fuggendo da quella smania di attribuire una carta d'identità stilistica agli artisti. Ma ritorna, come scrive in una lettera al curatore americano Andrew Ritchie: "siamo di nuovo in questa situazione di provincialismo dove non succede niente, anche un po' noiosa, ma il nostro destino è qui, probabilmente per la bellezza, per la qualità della vita".


di LAURA LARCAN

Notizie utili - "Afro & Italia-America. Incontri e confronti", dal 25 novembre al 18 marzo 2007. La mostra, è curata da Luciano Caramel con la collaborazione di Isabella Reale e Gilberto Ganzer, rispettivamente direttori della Galleria d'Arte Moderna di Udine e dei Musei Civici di Pordenone.
Udine, Galleria d'Arte Moderna, Chiesa di San Francesco, via Beato Odorico da Pordenone 1.
Pordenone, Museo Civico d'Arte, Palazzo Ricchieri, Corso Vittorio Emanuele 51, Galleria di Arte Moderna di Villa Galvani.
Orari: tutti i giorni (eccetto lunedì) dalle ore 10 alle 19.
Ingresso: biglietto comulativo intero €9, ridotto €7, biglietto singola mostra, intero €6, ridotto €4.
Prevendita: www.Vivaticket.it, call center 899666805, organizzazione: DataArs Servizi per l'Arte Tel 0639732850 Fax 0639763738.
Sito web: www.afrobasaldella.com
Catalogo: Mazzotta.

(22 novembre 2006)

da: www.repubblica.it/2006/11/sezioni/arte/recensioni/afro-americano/afro-americano/afro-americ...

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