D'ALEMA PARLA DI "UN'OCCASIONE PERDUTA PER GLI STATI UNITI", MA L'ITALIA EVITA L'OPERAZIONE VERITA'

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INES TABUSSO
00domenica 4 marzo 2007 22:04

LA REPUBBLICA
3 marzo 2007
Il ministro degli Esteri, che il 20 marzo andrà all'Onu a presentare
il piano per l'Afghanistan, parla di "risposta inadeguata alla domanda di giustizia
D'Alema: "Sul caso Calipari
occasione perduta per gli Usa"
E ricorda la vicenda del Cermis: "Allora si comprtarono in modo diverso"

ROMA - "Un'occasione perduta per gli Stati Uniti" e una mancata risposta "alla domanda di giustizia" che nasce dal caso Calipari. Massimo D'Alema critica le logiche dell'amministrazione Bush sulla vicenda della morte del funzionario del Sismi ucciso dai soldati americani a un check point vicino a Bagdad il 4 marzo del 2005 mentre tornava dall'aver salvato e recuperato la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena sequestrata da un gruppo terrorista.

D'Alema lo fa nel giorno in cui viene annunciato il suo prossimo viaggio a New York (20 marzo) per presentare all'Onu le proposte italiane "sul rinnovo della missione civile e umana in Afghanistan". E in questo contesto, le sue parole a margine della tavola rotonda su "Nicola Calipari, una vita per gli altri", suonano come un'ulteriore sottolineatura della politica estera italiana basata sull'amicizia con gli Stati Uniti, ma anche e soprattutto sull'autonomia di giudizio e il multilateralismo intesi come strade alternative a quelle americane per la pace nel mondo.

Il ministro degli Esteri, si diceva, ha parlato di occasione perduta per gli americani: "E' conosciuto il nome del militare che avrebbe sparato. Al di là della verità ci sarebbe bisogno di giustizia. Il governo si è già impegnato, ma non dipende dal governo italiano tradurre in giudizio l'imputato". E D'Alema ha paragonato la storia di Calipari alla tragica vicenda del Cermis: "Quando il militare imputato della responsabilità colposa dell'incidente della funivia del Cermis fu assolto, il governo degli Stati Uniti si assunse la responsabilità con un atto che ebbe, al di là degli aspetti risarcitori, un grande valore di carattere morale e politico. Un'assunzione di responsabilità che in questo caso non c'è stata".

Viaggio all'Onu. D'Alema si recherà il 20 marzo a New York per presentare le proposte "italiane sul rinnovo della missione civile Umana in Afghanistan".
"Abbiamo chiesto di essere il Paese che avvia la discussione, come membro non permanente del Consiglio di sicurezza. Ho ritenuto, d'accordo con il nostro rappresentante permanente presso l'Onu, ambasciatore Spatafora, di andare io stesso alla riunione del Consiglio di sicurezza per presentare le nostre considerazioni e proposte".




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04/03/2007 - "LA STAMPA", Pag. 12
D'ALEMA: PERSA L'OCCASIONE PER FARE GIUSTIZIA SU CALIPARI
di: GUIDO RUOTOLO

www.difesa.it/files/rassegnastampa/070304/DN52F.pdf




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04/03/2007 - "LA STAMPA", Pag. 12
WASHINGTON SMORZA "SAPPIAMO CHE ROMA E' SOTTO PRESSIONE"
di: . P.MAS.

www.difesa.it/files/rassegnastampa/070304/DN52N.pdf




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04/03/2007 - "CORRIERE DELLA SERA", Pag. 11
"ESISTONO ACCORDI CHE VANNO RISPETTATI"
Intervista a: RICHARD PERLE
di: E.C.

www.difesa.it/files/rassegnastampa/070304/DN533.pdf




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LA REPUBBLICA
4 marzo 2007
Ma l'Italia evita l'operazione verità
di GIUSEPPE D'AVANZO

Ora sono due anni ch'è stato ucciso Nicola Calipari. Era il 4 marzo 2005, a Bagdad erano le 20.55. Washington, dice D'Alema, poteva fare di più per dare una verità a quella morte: è un'occasione perduta di giustizia. Il "buffetto" del ministro degli Esteri apre più problemi di quanto ne avrebbe voluto e dovuto risolvere. Li crea al governo di Roma, non alla Casa Bianca. Per gli americani, il caso è chiuso e non sarà riaperto: l'Iraq è una zona di guerra e capita che in guerra si muoia per "fuoco amico".

A quel posto di blocco, un'auto senza alcun contrassegno, non segnalata dal comando, si avvicina a velocità sostenuta o così appare a soldati spaventati e inesperti. Sparano. Uccidono. E' capitato in migliaia di occasioni agli iracheni. E' capitato finanche ai soldati americani. E' una guerra. Punto. Da questo approdo, Washington non si muoverà di un millimetro.

D'Alema non può ignorarlo. Come non può ignorare che le sue parole declinano l'identità nazionale nei toni dell'orgoglio rivendicativo, come di consueto quando ci sentiamo patriottici.

Senza alcuna semplicità e naturalezza e, soprattutto, senza alcuna affidabile e consapevole verifica delle nostre responsabilità e dei nostri comportamenti. Come è già accaduto con il precedente governo, si evocano la reputazione e il coraggio dell'alto funzionario del Sismi soprattutto per nascondere le decisioni e le circostanze che hanno costretto Nicola Calipari ad affrontare la notte di Bagdad a bordo di un'auto a noleggio e in solitudine.

Si possono tacere i nomi di chi ha condiviso - anche fuori dalle regole e dai compiti istituzionali, come la procura di Roma - soluzioni avventurose aprendo la strada a quelle disperate "condizioni operative". Si può eliminare la decisiva e incontestata circostanza che, alleati fedeli, ci siamo mossi contro e alle spalle degli Stati Uniti: fino a prova contraria, può piacere o meno, il padrone del campo in Iraq. Si può infine dimenticare che la soluzione dei sequestri iracheni era diventata nel corso del tempo, per tutti e in modi diversi, una posta del marketing politico dai molti benefici a Roma e, a Bagdad, un affare ghiotto per una ghenga criminale-religiosa che aveva costruito una sorta di un'industria del sequestro italiano (gli stessi, sempre lautamente retribuiti, rapiscono le due Simone e Giuliana Sgrena).

La sensazione, oggi come due anni fa, è sgradevole. Proteggendosi dietro l'onore e il sacrificio di Nicola Calipari, diventato un'icona multiuso e salvatutti (come, nel passato, è capitato già a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino), ci si può abbandonare all'ostinato vizio italiano non solo del risentimento, ma della petulante fiera della protesta inconcludente. Il bersaglio è lì di fronte, gli Stati Uniti. E' tanto grosso che si può addirittura invocare, per ripetere le parole del predecessore di D'Alema, "la dignità del Paese" da difendere.

Il passo di D'Alema - c'è da dire - appare ancora più malaccorto perché non è benedetto dalle coincidenze. Purtroppo il nostro ministro degli Esteri chiede giustizia agli Stati Uniti nel giorno in cui appare evidente che il governo italiano e le sue burocrazie non hanno alcuna voglia di assicurarla qui, ora, nel cortile di casa - la giustizia.

Tre funzionari del Sismi (Pio Pompa, Giuseppe Scandone, Andrea Carpani), interrogati sulle trattative che hanno preceduto la missione di Nicola Calipari a Bagdad, oppongono il segreto di Stato e costringono il procuratore di Roma a chiederne conferma a Romano Prodi. Come può il governo italiano censurare "l'occasione di giustizia perduta" dagli americani quando lo stesso governo copre con il segreto di Stato quel che è accaduto, due anni fa, per liberare Giuliana Sgrena o, quattro anni fa, per sequestrare in Italia un cittadino egiziano protetto dal nostro asilo politico? Non è nemmeno la contraddizione peggiore perché appare più grave che il ministro degli Esteri scelga i toni della lode e dell'elegia per esaltare i servizi di sicurezza "visti - dice - come qualcosa di oscuro e minaccioso, invece poi si scopre che sono una struttura al servizio del Paese, una parte importante per la nostra sicurezza e per la vita dei cittadini".

Detto nel giorno del ricordo di Nicola Calipari, è soltanto una sorprendente gaffe. Nicola e i suoi uomini erano isolati nel Sismi di Nicolò Pollari, magnificato da D'Alema. Era, erano gli "alieni". Non condividevano né qualche metodo storto né le ragioni dei più influenti e, se Calipari è morto, gli altri, i "calipariani" - dopo la sua morte - ne hanno pagato le conseguenze. Anche quella notte, ci fu chi (Pio Pompa) tentò di far pesare a Nicola questa differenza e l'"estraneità" invitandolo a spostarsi in un misterioso e imprevisto luogo di Bagdad. Richiesta così sorprendente che Calipari sbottò:"Accidenti, questi vogliono farci ammazzare!".
L'entusiasmo del ministro per l'intelligence, ancora saldamente nelle mani del network di Nicolò Pollari, è del tutto eccentrica e fuori luogo.

E' quella stessa intelligence che, dimentica del dovere istituzionale di proteggere la sicurezza del Paese, lavora soprattutto in nome di un interesse partigiano; spia i politici incerti della maggioranza e quelli dell'opposizione; la magistratura di Milano; infiltra uffici giudiziari e ministeri per mettere le mani, in anticipo, sulle fonti di prova che i pubblici ministeri raccolgono nei processi contro Silvio Berlusconi; si avvale dell'outsourcing dello spionaggio della Pirelli/Telecom per mettere insieme dossier illegali (uno sui Ds, ad esempio). Come è evidente dai documenti rintracciati nell'ufficio di Via Nazionale di Pio Pompa, "l'orecchio di Nicolò Pollari".

Purtroppo, ai livelli infimi, il tempo non passa e, proprio oggi, si apprende che Pio Pompa è tornato in gran spolvero, nominato capo divisione alla Direzione del Personale Militare del ministero della Difesa. Il "sistema Pollari" è ancora vivo e molto energico, e non è - dunque - un caso il ritorno di quello spione infedele, mentre si vuole pensare che soltanto un'infelice sorte (e una cattiva conoscenza delle cose) abbia dettato a Massimo D'Alema le improvvide parole di oggi.





[Modificato da INES TABUSSO 05/03/2007 0.47]

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