Dino Campana...

altrodase
00venerdì 29 febbraio 2008 20:03
Dino Campana era figlio di Giovanni, insegnante di scuola elementare, uomo per bene ma di carattere debole e nevrotico, e di Fanny Luti, donna compulsiva e severa, affetta da mania deambulatoria, attaccata in modo morboso al figlio Manlio, fratello minore di Dino, natole nel 1887.

Trascorre l'infanzia in modo apparentemente sereno a Marradi ma, a circa quindici anni di età, gli vengono diagnosticati i primi disturbi nervosi che non gli impediranno comunque di frequentare i vari cicli di scuola.

Egli compie le elementari a Marradi, la terza, quarta e quinta ginnasio presso il collegio dei Salesiani di Faenza, poi gli studi liceali in parte presso il Liceo Torricelli della stessa città, in parte a Carmagnola in Piemonte presso un altro collegio, ma quando rientra a Marradi, le crisi nervose si acutizzano come pure i frequenti sbalzi di umore, sintomi dei difficili rapporti con la famiglia (soprattutto con la madre) e il paese.

Il futuro poeta a Carmagnola ottiene la licenza liceale. Nel 1903 si iscrive presso l'Università di Bologna, alla Facoltà di chimica pura, per passare - l'anno seguente - alla Facoltà di chimica farmaceutica a Firenze, ma non riesce a portare a termine la sua carriera scolastica e ha difficoltà a trovare un ordine interiore e una sua vera identificazione. Il suo unico punto di riferimento è la poesia e alla poesia dedicherà e sacrificherà - tra esaltazione e disperata follia - i suoi giorni.


La "fuga" [modifica]
Egli espresse la sua "diversità" con un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda. La prima reazione della famiglia e del paese, e poi dell'autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Ad ogni sua "fuga", che si realizzava con viaggi in paesi stranieri dove faceva i mestieri più disparati per sostenersi, seguiva, da parte della polizia (in conformità con il sistema psichiatrico di quei tempi e per le incertezze dei familiari), il ricovero in manicomio.

Tra il maggio e il luglio del 1906, Campana compie una prima fuga in Svizzera e in Francia che si conclude con l'arresto a Bardonecchia e il ricovero ad Imola.

Nel 1907, i genitori di Campana non sanno più che fare di fronte alla follia del figlio e lo mandano in America Latina presso una famiglia di compaesani emigrati (forse dei parenti). Non si tratta di una "fuga" del poeta, che non avrebbe potuto ottenere da solo un passaporto per il Nuovo Mondo in quanto era già ritenuto ufficialmente "pazzo". È la sua famiglia a procurargli il passaporto e ad organizzargli il viaggio, e Dino parte per la paura di dover tornare in manicomio. I coniugi Campana sostengono di averlo mandato in America con la speranza che questo viaggio lo potesse guarire, ma sembra che il passaporto fosse valido solo per l'andata, per cui si trattò probabilmente (anche) di un tentativo di sbarazzarsi di lui, poiché la convivenza con Campana era ormai divenuta insopportabile per tutti.

Il viaggio in America rappresenta un punto particolarmente oscuro della biografia di Campana: se alcuni arrivano a chiamarlo "il poeta dei due mondi", c'è anche chi invece sostiene che, in America, Campana non ci andò neppure. Numerose sono anche le opinioni sulla datazione del viaggio e sulle modalità ed il tragitto del ritorno.

L'ipotesi più accreditata è che sia partito nell'autunno 1907 da Genova ed abbia vagabondato per l'Argentina fino alla primavera del 1909, quando ricompare a Marradi, dove viene arrestato. Dopo un breve internamento al San Salvi di Firenze, parte per un viaggio in Belgio, ma viene di nuovo arrestato a Bruxelles e viene poi internato nella "maison de santé" di Tournai all'inizio del 1910. Chiede aiuto alla sua famiglia e viene rimandato a Marradi.


Canti Orfici [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Canti Orfici.

Tra il 1912 e il 1913 Campana compone i versi che diventeranno poi (dopo alterne vicende e diverse riscritture) la sua opera più significativa: i "Canti Orfici", una raccolta che contiene un poema in due parti (La notte), sette poesie intitolate I notturni, una prosa diaristica su di un viaggio alla Verna e altre dieci fra poesie e prose liriche. Segue una sezione di Varie che comprendono due frammenti, sette prose liriche e (in sette parti) il poemetto Genova. (In quest'ulltima sezione fu inserita dopo la morte di Campana una lirica di Luisa Giaconi, poetessa che l'aveva molto colpito. Questo fu dovuto ad un errore di attribuzione dell'editore, cui Campana l'aveva entusiasticamente inviata, senza menzionare con chiarezza il nome dell'autrice. Dopo alcuni anni, la poesia è stata correttamente attribuita e tolta dai Canti orfici)

Nel 1913 si reca a Firenze presentandosi nella redazione della rivista "Lacerba" a Giovanni Papini e ad Ardengo Soffici, cui consegna il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno". Non viene preso in considerazione e il manoscritto va perduto (sarà ritrovato solamente nel 1971 tra le carte di Soffici).

Riscrive i suoi testi, con modifiche e aggiunte, che pubblica nel 1914, a proprie spese, con il titolo, appunto, di "Canti Orfici". Il 1915 lo trascorre viaggiando senza una meta fissa: Torino, Domodossola, ancora Firenze.

Nel 1916 ricerca inutilmente un impiego. Scrive a Emilio Cecchi (che sarà, insieme a Giovanni Boine - che comprese subito l'importanza di Campana recensendo i Canti Orfici nel 1951 - e a Giuseppe De Robertis, uno dei suoi pochi estimatori) ed inizia con lo scrittore una breve corrispondenza. A Livorno si scontra con il giornalista Athos Gastone Banti, che scrive su di lui un articolo denigratorio sul giornale "Il Telegrafo": si arriva quasi al duello [1] Nello stesso anno conosce Sibilla Aleramo, l'autrice del romanzo Una donna ed inizia con lei una intensa e tumultuosa relazione, che si interromperà all'inizio del 1917 dopo un breve incontro nel Natale 1916 a Marradi.

Abbiamo testimonianza della relazione avvenuta tra Dino e Sibilla, da un tragico carteggio pubblicato da Feltrinelli nel 2000: Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918.

Il carteggio ha inizio con una lettera della Aleramo datata 10 giugno 1916, nel quale l'autrice esprime la sua ammirazione per i "Canti Orfici", dichiarando di esserne stata incantata e abbagliata insieme. Sibilla era allora in vacanza nella Villa La Topaia a Borgo San Lorenzo, mentre Campana era in una stazione climatica presso Firenzuola per rimettersi in salute dopo essere stato colpito da una leggera paresi al lato destro del corpo.

Nel 1918 viene internato presso l'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, presso Scandicci (Firenze). Lo psichiatra Carlo Pariani [2] lo va a trovare per intervistarlo. Nel 1938 la casa editrice Vallecchi pubblicherà "Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore" [3].

Dino Campana muore, sembra per una forma di setticemia dovuta ad una malattia mai ben chiarita, il primo Marzo del 1932, la salma è sepolta nel cimitero di San Colombano nel territorio di Scandicci.

Il 3 marzo 1942, su interessamento di Piero Bargellini la salma è tumulata nella cappella sottostante il campanile della chiesa di Badia a Settimo. Purtroppo, durante la seconda guerra mondiale, il 4 agosto 1944, i tedeschi, in ritirata, fanno saltare con una carica esplosiva il campanile distruggendo nel contempo anche la cappella.

Solo nel 1946 le ossa del poeta raggiungono la loro ultima dimora, all'interno della Chiesa di Badia a Settimo.

Per una biografia puntuale basata sui documenti e sulle lettere, vedi qui [4], per notizie sulla sua tumulazione qui [5].


La poetica [modifica]
La poesia di Campana è una poesia nuova nella quale si amalgamano i suoni, i colori e la musica in potenti bagliori. Il verso è indefinito, l'articolazione espressiva in un certo senso monotona ma nel contempo ricca di immagini molto forti di annientamento e purezza. Il titolo allude agli inni orfici, genere letterario attestato nell'antica Grecia tra il II e il III secolo d.C. e caratterizzato da una diversa teogonia rispetto a quella classica. Inoltre le preghiere agli dei (in particolare al dio Protogono) sono caratterizzate dagli scongiuri dal male e dalle sciagure.


I temi fondamentali [modifica]
Uno dei temi maggiori di Campana, che si trova già all'inizio dei "Canti Orfici" nelle prime parti in prosa - La notte e Il viaggio e il ritorno - è quello dell'oscurità tra il sogno e la veglia. Gli aggettivi e gli avverbi ritornano con una ripetitiva insistenza come di chi detta durante un sogno, sogno però interrotto da forti trasalimenti (si veda la poesia "l'invetriata", mirabile spleen baudelairiano).

Nella seconda parte - nel notturno di "Genova", ritornano tutti i miti fondamentali che saranno del Campana successivo: le città portuali, la matrona barbarica, le enormi prostitute, le pianure ventose, la schiava adolescente.

Già nella prosa si nota l'uso dell'iterazione, l'uso drammatico dei superlativi, l'effetto d'eco nelle preposizioni, il ricorrere alle parole chiave che creano una forte scenografia.


L'interpretazione della poesia [modifica]
Nel quindicennio che va dalla sua morte alla fine della seconda guerra mondiale (1932-1945) ed anche in seguito, nel periodo dell'espressionismo e del futurismo, l'interpretazione della poesia di Campana si focalizza sullo spessore della parola apparentemente incontrollata, nascosta in una zona psichica di allucinazione e di rovina.

Nei suoi versi, dove vi sono elementi deboli di controllo e di approssimativa scrittura, si avverte - a parere di molti critici - il vitalismo delle avanguardie del primo decennio del XX secolo; dai suoi versi, per la verità, hanno attinto poeti molto differenti tra di loro, come Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto.


Campana e Rimbaud [modifica]
Il destino di Campana è stato avvicinato a quello di Rimbaud. Ma, in verità, tra Campana e il poeta maledetto il punto di contatto (il bisogno di fuggire, l'idea del viaggio, l'abbandono di un mondo civile estraneo) è affrontato in modo molto diverso. Dove Rimbaud abbandona la letteratura per fuggire in Africa e prestarsi a mestieri avventurosi ed alternativi, come il commerciante d'armi, Campana alla fine dei suoi viaggi, senza una vera meta, trova solamente la follia.

E se Rimbaud aveva fatto una scelta, Campana non scelse ma fu sopraffatto dagli eventi che attraversarono la sua vita diventandone una vittima: senza però mai disertare la poesia, come, differentemente, aveva fatto il poeta francese. Campana, fino al suo internamento a Castel Pulci, lotterà per la sua poesia e per una vita che non era mai riuscita a donargli nulla in termini di serenità e pace; e anche la strada dell'amore, il suo incontro con Sibilla Aleramo, si trasformerà in una sconfitta.

Come scrive Carlo Bo nel saggio "La nuova poesia: Storia della letteratura italiana - il Novecento" (Garzanti, 2001):

« ... il destino così doloroso di Dino Campana risponde precisamente ad un problema sollevato dal giovane Victor Hugo, verso il 1834. La domanda di questo allora quasi sconosciuto Hugo era: "Jusqu'à quel point le chant appartient à la voix, et la poésie au poète?". Domanda di una inesauribile novità e contro cui nulla hanno potuto le innumerevoli esperienze poetiche in più di un secolo, anzi direi che rimane confermata dalle maggiori audacie degli esempi più usati: l'autorizzano Baudelaire, Rimbaud e la storia dei surrealisti. Noi sappiamo i nomi che mancano, quello di Dino Campana va fatto senza timore. »


Eugenio Montale fu tra i primi estimatori ufficiali, il più autorevole ad oggi, delle composizioni di Dino Campana, tanto da dedicargli una poesia o meglio un omaggio a chi meglio di lui aveva saputo piegare le parole fino a renderle ancora più oscure.

Sebbene i canti di Dino Campana affondano ben oltre il simbolismo francese, fatto di audaci freddi e monotoni alessandrini, direttamente nelle radici della nostra terra toscana, Campana guarda al Trecento dantesco, al Cavalcanti al Dante della commedia fino ad arrivare ai canti del Foscolo (Giacomo Leopardi ancora non era stato molto diffuso), ed è toccante l'allusione dantesca con cui Eugenio Montale chiude questa struggente lirica di stampo prettamente biografico (di Dino Campana si evitava di citare per motivi piccoli borghesi la sua vita e i suoi amori travagliati nonché il suo pacifismo antinterventista) e proprio per questo ancor più provocatoria: "fino a quando riverso a terra cadde!".


Dino Campana e l'arte [modifica]
La critica ha spesso indagato e continua ad interrogarsi su quanto vi è di figurativo nell'opera del poeta di Marradi, conosciuto dall'immaginario come il poeta folle e visionario.
Nel 1937 Gianfranco Contini scriveva [1] «Campana non è un veggente o un visionario: è un visivo, che è quasi la cosa inversa».
Nei Canti Orfici sussistono infatti elementi sia visivi che visionari con numerosi riferimenti alla pittura. Analizzando la funzione che questi aspetti hanno all'interno dell'opera si nota con evidenza come al lato visionario, con riferimento a Leonardo, a De Chirico e all'arte toscana, sia affiancato in perfetta coesione quello visivo che trova le sue allusioni nel futurismo.

Pasolini, che aveva riletto con molta attenzione l'opera di Campana, aveva scritto [2]«Particolarmente precisa era la sua cultura pittorica: gli apporti nella sua lingua del gusto cubista e di quello del futurismo figurativo sono impeccabili. Alcune sue brevi poesie-nature morte sono tra le più riuscite e se sono alla "manière de" lo sono con un gusto critico di alta qualità».

A proposito poi delle conoscenze leonardesche dell'autore si può leggere, in una lettera del 12 maggio 1914 scritta da Campana a Soffici da Ginevra «Ho trovato alcuni studi, purtroppo tedeschi, di psicoanalisi sessuale di Segantini, Leonardo e altri che contengono cose in Italia inaudite: potrei fargliene un riassunto per Lacerba».


Opere [modifica]
Poesia e varie:
Canti Orfici , Marradi, 1914
Inediti, raccolti a cura di E. Falqui, Firenze, 1942
Taccuino, a cura di F. Matacotta, Fermo 1949
Taccuinetto faentino, a cura di D. De Robertis, prefazione di E.Falqui, Firenze, 1952
Fascicolo marradese, a cura di F. Ravigli, Firenze, 1952
Il più lungo giorno, Roma-Firenze, 1973, 2 voll. vol.I: riproduzione anastatica del manoscritto ritrovato dei "Canti orfici"; vol. II: prefazione di E. Falqui, testo critico a cura di D. Robertis
Epistolari:
Dino Campana - Sibilla Aleramo, Lettere, a cura di N. Gallo, prefazione di M.Luzi, Firenze, 1958
Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, a cura di G. Cacho Miller, Milano, 1978
Souvenir d'un pendu. Carteggio 1910-1931, a cura di G. Cacho Miller, Napoli, 1985
Un viaggio chiamato amore - Lettere 1916-1918, Sibilla Aleramo, Dino Campana, a cura di Bruna Conti, Feltrinelli, 2000. Da questo carteggio è stato tratto il film Un viaggio chiamato amore (film) (di Michele Placido, 2002) con Stefano Accorsi nel ruolo di Campana e Laura Morante nel ruolo di Sibilla Aleramo.
Raccolgono la parte essenziale dell'Opera campaniana a prescindere da "Il più lungo giorno") i due volumi di "Opere e contributi", a cura di E. Falqui, prefazione di M. Luzi, note di D. De Robertis e S. Ramat, carteggio a cura di N. Gallo, Firenze, 1973.
L'edizione recente dei "Canti Orfici", con il commento di F. Ceragioli, Firenze, 1985, oltre che per il restauro del testo originario di Marradi 1914, si segnala per il tentativo (inconsueto per opere novecentesche) di un commentario perpetuo, con "cappelli" introduttivi ai singoli testi e note a piè di pagina.
Un'ottima Bibliografia campaniana (1914-1985) è curata da A. Corsaro e M. Verdenelli, Ravenna, 1986
Il ritrovamento del manoscritto de "Il più lungo giorno" tra le carte di Soffici fu annunciato sul Corriere della sera del 17 giugno 1971 e ha consentito nuove forme di indagini sul complesso degli scritti campaniani
Alla vita di Dino Campana è dedicato il romanzo La notte della cometa di Sebastiano Vassalli (1990), alla cui stesura l'autore dedicò 14 anni di ricerche e di lavoro. Si tratta di una biografia romanzata.


fonte web:
http://it.wikipedia.org/wiki/Dino_Campana


tiro stt
00domenica 2 marzo 2008 02:13

mio poeta preferito
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