Il dizionario del Dal Molin

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vanni-merlin
00mercoledì 22 agosto 2007 23:53
Il dizionario del Dal Molin


Dall'Antiamericanismo alla Zeta, una chiave per capire qualcosa di più sul caso dell'aeroporto di Vicenza regalato all'Us Army



La situazione è intricata e i protagonisti troppi: da una parte i favorevoli entusiasti, i favorevoli tiepidi, i favorevoli per polemica; dall'altra i contrari silenziosi, i contrari rumorosi, i contrari bombaroli: mancano, e in fondo è una buona notizia, solo gli indifferenti. In mezzo a tutto questo, la cosa più difficile è prendere una posizione, possibilmente sensata. Provo con un dizionario. Venti voci dalla A alla Zeta per capire che cosa sta succedendo davvero.



Antiamericano (tu vuoi fà l'). Termine dispregiativo con cui si etichetta chiunque sia contrario alla base Dal Molin. Basta dire: "Non ce l'ho con gli yankee. Ma abbiamo già: a) la caserma Ederle che occupa lo spazio di un quartiere; b) una base sulla Riviera Berica che occupa mezza collina; c) una base al Tormeno che occupa un'intera valletta. Non vi sembra abbastanza?"
Il discorso ti trasforma immediatamente in antiamericano doc e di conseguenza amico degli integralisti islamici, dei russi, dei cinesi e forse anche degli invasori alieni. Ormai mi ci sono abituato anch'io.
E poco importa se tutta la mia storia è intrisa di America: dai miei scrittori preferiti, Bret Easton Ellis e Raymond Chandler, agli attori, Jim Carrey e Kevin Spacey, ai musicisti, Neil Young e gli Everly Brothers, eccetera eccetera.

Base (per altezza). L'esercito americano ha voluto il Dal Molin per motivi logistici che nessuno ha voluto spiegare. "Non faremo mai volare un solo aereo da guerra" hanno promesso ambasciatori e generali di fronte alle proteste e paure dei vicentini.
D'altra parte i militari non hanno degnato di uno sguardo i siti proposti in alternativa. E il Dal Molin, di caratteristico, altro non ha che una lunga pista di decollo e atterraggio, una torre di controllo, radar e apparecchiature aeree.
"Ci serve per ospitare soldati - hanno detto i militari - non certo per missioni aeree di guerra". In attesa di altre ragioni plausibili, la pista e la torre saranno certamente indispensabili per effettuare foto aree della laguna veneta, a soli dieci minuti di volo, o per portare le uniformi a lavare nella vicina base aerea di Aviano.

Comitati (sì, no, forse). È la vera novità della storia vicentina: il Comitato scaccia Comitato. Alla creazione del "Comitato del No" contro l'aeroporto militare ha risposto la nascita del "Comitato del Si". Un colpo di genio che la nostra politica nazionale dovrebbe studiare. I "No Tav" bloccano le strade, occupano piazze e furoreggiano nei tigì? Scendano in campo i "Si Tav", altrettanto attivi ma meno maleducati, politicizzati e fastidiosi: giornali e tivù andranno a nozze, come dimostra la storia vicentina.
Il creatore del "Comitato del Sì", sorto in tempi record dopo le prime proteste anti base, si chiama Roberto Cattaneo, poco più di quarant'anni e un entusiasmo invidiabile. Per molti anni gestore di un locale in città, oggi lavora alla caserma Ederle. La sua battaglia, come ha ammesso tranquillamente, nasce dalla paura. La paura di perdere il posto di lavoro. Perché alla Ederle si lavora volentieri: tra il centinaio vicentini impiegato negli ultimi quarant'anni non si hanno notizie di dimissioni. Particolarmente apprezzati gli orari di lavoro, gli stipendi e la possibilità di muoversi liberamente all'interno della caserma tra negozi, locali e strutture sportive. Particolarmente apprezzata anche la singolare possibilità di tramandare l'impiego tra padri e figli, zii e nipoti.

Dimostranti (e buona educazione).
Al "Comitato del No", che ha mobilitato migliaia di persone tra marce, concerti, manifestazioni e spadellate, il "Comitato del Si" ha risposto colpo su colpo: un comunicato stampa per rispondere alla marcia, un'intervista per stigmatizzare la spadellata, una contromanifestazione all'indomani di una manifestazione. E che stile: gli altri sporcano tutto? Loro raccolgono pure i mozziconi. Gli altri gridano e insultano? Loro gridano sottovoce. Gli altri fanno il presidio all'aeroporto? Loro fanno presenza nelle redazioni dei giornali: si guadagna la stessa visibilità con meno fatica. Le parole d'ordine sono semplici e incontestabili: "Gli americani sono nostri amici" e soprattutto "Difendiamo il nostro posto di lavoro". Avendola mutuata da milioni di manifestazioni con le bandiere rosse, difficile obiettare a cuor leggero.

Emergenza (e posti di lavoro)
Se il Dal Molin che apre agli americani spacca la città, la Ederle che chiude agli italiani mette tutti d'accordo. Al punto che perfino il sindacato Cisl vicentino si è schierato a favore della nuova base "per difendere i 120 posti di lavoro a rischio della caserma Ederle".
Peccato che nessuno li avesse messi in discussione. Gli americani non si sono mai sognati di minacciare la chiusura della caserma. Neppure se il Governo avesse risposto picche al progetto Dal Molin. Lo hanno chiaramente spiegato i generali a cinque stelle dell'Us Army: "Dal dopoguerra la Ederle è fondamentale. E tale rimarrà".
Ma allora ci stanno forse prendendo per i fondelli?

F 16 (e fantasia). Tra le proteste più vibranti dei No Dal Molin: "Il Dal Molin è un piccolo aeroporto a pochi minuti dal centro città. Il decollo e l'atterraggio di aerei militari che sfioreranno il tetto della Basilica Palladiana sono uno scandalo". Gli americani hanno giurato che mai e poi mai. Staremo a vedere. Ma lo scandalo non è questo. I vicentini sopportano da decenni un centro storico che annega nel traffico, nello smog, nella pochezza di idee e iniziative culturali e sociali (per dire: la manifestazione culturale più importante è il "Festival biblico", la star musicale più esaltante è stata Donatella Rettore).
Lo scandalo è che la città con la prima associazione industriale d'Italia per numero di iscritti non sappia pensare a un futuro meno passivo e calato dall'alto. Dov'è finito il coraggio dell'imprenditore? Dov'è la fantasia? Possibile che bastino cento posti di lavoro e qualche commessa per convincere Assindustria a perdere un aeroporto civile e un enorme spazio verde a due passi dalla città?
Ma allora ci stanno forse prendendo tutti per il fondoschiena?

Good Bye (arrivederci)
Detto che gli americani non se ne andranno dalla caserma Ederle, sarebbe stato giusto considerare seriamente anche questa possibilità. Non solo i dipendenti italiani consideravano l'ipotesi con terrore. Ci sono anche i tantissimi proprietari di appartamenti in zona che, senza gli americani, temono di perdere un introito sicuro. Gli americani pagano bene e liberano le case dopo qualche anno. Cosa chiedere di più?
Ma proviamo a vedere i lati positivi. Se gli americani decidessero davvero di abbandonare la Ederle, Vicenza di ritroverebbe di colpo con un grande quartiere, bello e pronto, ottimamente realizzato, integrato e nel contempo autosufficiente. Non solo: un quartiere già dotato di:
a) centinaia di alloggi liberi, da vendere e affittare;
b) una piscina pubblica sportiva;
c) una palestra pubblica di qualità nettamente superiore alla media cittadina;
d) strutture sportive per calcio, pallavolo e rugby perfettamente attrezzate;
e) locali pubblici, bar e negozi;
f) supermercati;
g) strutture sanitarie;
h) spazi verdi attrezzati;
i) grandi spazi a uso magazzini, depositi, aziende industriali e artigianali;
l) strade e piazze di ottimo livello.
Come si può, di fronte a una realtà di questo genere, gridare allo scandalo per 120 posti di lavoro a rischio? Basta fare due conti per capire che dalla conversione della Ederle nascerebbero dieci nuovi posti di lavoro per ogni posto perduto.
Ma allora ci stanno davvero prendendo tutti per il culo.

Hüllweck (e il mistero dell'uomo ombra). Il sindaco di Vicenza sapeva tutto da tempo. Ma non disse nulla. Sapeva delle richieste americane. Ma dimenticò di parlarne alla città. Sapeva che il governo Berlusconi aveva dato il benestare. Ma scordò di farlo sapere. Sapeva che il governo Prodi aveva preso atto. E solo allora parlò. E disse: "Non posso farci nulla, la decisione non spetta a me". Che classe. Che stile. Che pena.

Industriali (e gli appalti appetitosi). Alla finestra. Nessuna presa di posizione a sfavore, timidi assensi "per la salvaguardia del lavoro" e soprattutto la speranza di entrare nell'affare. Gli americani fanno le cose in grande quando costruiscono. E consumano assai: energia, acqua, gas, materiali. È anche vero che oggi energia, acqua e gas si chiamano risorse e andrebbero risparmiate. Qualcuno glielo ha fatto notare ai nostri manager d'assalto?

Lavori in corso (e di corsa). Cosa ci guadagna la città dalla nuova base? La speranza di molti - soprattutto tra gli industriali - è che la base porti appalti ai costruttori, da sempre i veri padroni della città. Ma gli americani sono persone serie: appaltano a chi vogliono loro, con logiche che poco hanno a che fare con le celebri spartizioni di casa nostra.
Non resta che stare alla finestra. Per scoprire se l'appoggio degli industriali sarà ricompensato, basterà scorrere l'elenco delle ditte che seguiranno i lavori. Vediamo se ci sarà da ridere. O da piangere.

Marcia no base (e no bandiere). Le migliaia di persone che hanno marciato contro la base per le strade cittadine sono ormai parte della storia. Avendo seguito la marcia da cronista, mi aveva colpito un fatto: il numero altissimo di persone che mai avevano partecipato a una marcia in vita loro. Gente che a dargli del "pacifista", del "no global" o solo del "sinistroso" vi prenderebbe a sberloni nel muso. Gente che in fondo diceva solo: "Non mi sembra giusto sostituire uno spazio civile e pubblico come l'aeroporto con un'altra base americana". Che prevenuti, eh?

Negazionisti (e revisioni). Per un lettore affezionato di Repubblica come il sottoscritto, la sorpresa più amara di tutta la storia è stato un fondo di Eugenio Scalfari che, non più di tre mesi fa, riguardo al caso Dal Molin scriveva: "Le proteste sono insensate: in fondo non si tratta di una nuova base ma soltanto di un ampliamento".
Ho pensato: ma se Scalfari ha sempre scritto i suoi articoli con questa logica, che giornale sto leggendo da vent'anni?
Fortuna che se ne sono accorti pure loro: una settimana dopo Repubblica ha mandato a Vicenza Fabrizio Ravelli che ha scritto un signor pezzo capace di spiegare benissimo la situazione.
PS per i lettori affezionati di Giornale, Padania e altri quotidiani della stessa area che dopo il pezzo di Scalfari hanno sbeffeggiato per giorni: i vostri non hanno mai creato il minimo dubbio ai lettori. Seicento magnifici pezzi di pura ideologia e propaganda. E neanche una misera riga di giornalismo.

Omertà (e guai a chi parla). È la parola chiave di tutta la storia. I silenzi di Hüllweck e del governo Berlusconi, i silenzi di Prodi e del governo Prodi, i silenzi di chi sapeva e aveva il dovere di informare. Non sarebbe cambiato nulla, nei fatti. Ma noi, la gente, avremmo avuto un po' più di rispetto per loro. Loro non ne hanno avuto nemmeno una briciola. Ci voleva tanto a organizzare un incontro pubblico, una conferenza stampa, una chiacchierata per spiegare come stavano le cose? Avrebbero preso qualche critica e magari parolacce. Ma avrebbero guadagnato punti, credibilità, stima, fiducia.

Presidio (e le eterne questioni dell'umanità). Se percorrete la strada del Dal Molin da e per Caldogno, da mesi vi imbattete nelle quattro tende sgangherate del Presidio permanente. E scuotete la testa. Se la prima cosa che vi viene in mente è: "Ma quanto dureranno questi quattro sfigati?", "Ma a che potrà servire?", siete di sinistra, romantici e fuori dal tempo. Se invece pensate: "Ma questi non vanno mai a lavorare?", siete un medio-progressista molti sfiduciato. Se correte in Comune a spulciare carte per cercare un'improbabile occupazione del suolo pubblico, siete l'assessore Sorrentino.
Quo vadis? (restate a casa) Perdere migliaia di punti, e di voti, in tre minuti. È quello che ha fatto Romano Prodi quando, durante una visita nell'est europeo, rispose a una domanda sul Dal Molin dichiarando che la base sarebbe andata senza discussioni agli americani.
L'aria dell'est probabilmente fa male ai politici italiani: il celebre editto bulgaro di Berlusconi, che in un'occasione simile lanciò il suo anatema contro il giornalista Enzo Biagi, gli portò pessimi risultati e segnò l'avvio del suo declino. Per fare e dire cazzate non è meglio restarsene a casa?

Ripuliti (e smemorati). Ricordate lo slogan "Jankee go home?" Qualche vecchia scritta sbiadita la trovate ancora sui vecchi muri della città. La firma è cancellata dagli anni e nessuno ricorda se c'erano falce e martello, stelle rosse o croci di ordine nuovo. Perché a tutti in effetti piaceva questa filosofia. Oggi, ripuliti e incravattati, tutti hanno cambiato tiro.
Area Partito Democratico: "Siamo contrari ma dobbiamo accettare".
Area An: "Siamo favorevoli da sempre anche se siamo contrari fin dagli esordi".
Area Lega Nord: "Paroni a casa nostra! Ma pitosto che i slamici, mejo i mericani."

Satira politica (involontaria). La battuta più bella sul caso Dal Molin non è, haimè, quella che campeggiava su uno striscione durante la marcia No Dal Molin. Diceva: "Basi sì, ma con la lingua". Strappò un sorriso perfino ai benpensanti più integralisti.
Purtroppo fu annichilita da quella declamata da Luttwack, l'esperto di guerra americano, che a Radio 24 dichiarò senza nemmeno diventare rosso: "I soldati americani a Vicenza non devono preoccupare nessuno: il 95 per cento sono laureati, vengono solo per scoprire le bellezze architettoniche".
Se Luttwack è davvero un esperto di strategia militare, ora ci è finalmente chiarissimo tutto, dal Vietnam fino all'Iraq.

Terrorismo islamico (e letterario). Neanche questa battuta in fondo era malaccio. Da una lettera pro Dal Molin sul Giornale di Vicenza: "La nuova base sarà un ottimo deterrente contro i terroristi islamici: saremo tutti più protetti e sicuri".

Villaggio americano (e integrazione). Il generale americano Tal Dei Tali ha spiegato al Giornale di Vicenza che si lavorerà per un'integrazione sempre maggiore tra soldati e città. Parole sante. Avrebbe dovuto però aggiungere che l'integrazione esisteva già: un po' alla volta l'hanno cancellata loro.
Basta pensare al villaggio americano, piccolo e magnifico quartiere residenziale a Vicenza Est dove vivono ufficiali e sottufficiali della Ederle. Tipiche e semplici casette a due piani, traffico automobilistico con limite di 30 chilometri l'ora, spazi verdi a volontà, campi da tennis, una piscina.
Vent'anni fa noi italiani ci andavamo tranquillamente in bici o in auto a passeggiare, a giocare a tennis (gratis!), a nuotare, a respirare un po' di America. Da qualche anno - ben prima dell'11 settembre, del terrorismo e delle fobie - è tutto sbarrato, off limits. Ingresso proibito agli italiani. Perché mai, carissimo generale?

Za! (e siamo integrati). Za! Pare l'esclamazione di un giovane Lino Banfi davanti al posteriore di Gloria Guida, invece è la targa che distingue le auto dei soldati americani a spasso per la città. Fino a pochi anni fa le mastodontiche Buick e Cadillac in libera uscita erano immediatamente riconoscibili dalla targa AFI (American Forces Italy). Finché un giorno, dalla sera alla mattina, scomparvero tutte.
Scoprimmo più tardi che erano state sostituite da comunissime e anonime targhe italiane. Nuove norme internazionali? Voglia di integrazione? Macchè. Una banda di teppisti aveva preso di mira le auto americane parcheggiate ai bordi delle strade. Rigature, ammaccature, perfino incendi dolosi. Sconosciute le ragioni: di antiamericanismo, al tempo, non se parlava neppure per scherzo.
La soluzione fu presa in gran segreto: via le targhe AFI, al loro posto anonime targhe italiane. Al resto ci ha pensato la globalizzazione, che ha portato più Toyota che Pontiac anche tra i soldati americani.
Resta una domanda: possono cinque teppisti cambiare la logica di un esercito alleato che convive con noi da cinquant'anni? Tanto più che quest'operazione di mimetismo strategico sa da film di serie B e dimostra una scarsa considerazione dell'intuito italico. Il trucco infatti lo abbiamo scoperto: le targhe americane si distinguono dalle nostrane perché cominciano tutte con le lettere ZA. Morale: tutte le auto sono uguali, ma qualcuna è più uguale delle altre. Va a capire perché.

(22 agosto 2007)
Matteo Rinaldi



da: www.pennarossa.it/index.html

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