L'italiano di Dürer

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vanni-merlin
00sabato 10 marzo 2007 01:18
L'italiano di Dürer

A Roma alle Scuderie Papali al Quirinale una grande mostra attraversa il percorso artistico del maestro con duecento opere: dipinti, incisioni, acqueforti



Roma - Dürer contro Dürer. Dürer incisore e disegnatore contro Dürer pittore. Una lotta dal risultato segnato, almeno nella testa della gente. Dürer è il più grande incisore (vien quasi da dire il più grande "pittore in bianco e nero" se non apparisse una definizione da "arti maggiori" e "arti minori"), non solo per la tecnica, ma per la potenza inventiva. Talmente inclassificabile che figure emblematiche e celeberrime "erano e sono di ardua comprensione", lasciate da Dürer prive di "riferimenti inequivocabili". Cosicché "in Dürer ci sono sovente più piani di decifrazione possibili".

L'affascinante scontro è in scena (dal 10 marzo al 10 giugno) a Roma, alle Scuderie del Quirinale, con la mostra "Dürer e l'Italia" (catalogo Electa) che già si presenta come la più importante mai organizzata su questo autore nel nostro Paese. Per il numero e la qualità di opere, oltre 210 fra incisioni e dipinti, sculture, pezzi antichi, di cui più della metà (125) sono di Dürer (di cui 21 dipinti garantiti, tre problematici e una decina di acquerelli). Dell'opera grafica di Dürer (circa cento incisioni a bulino, alcune acqueforti, circa 250 xilografie) sono in mostra ventiquattro incisioni, due acqueforti, trenta xilografie di cui due stampe, l'arco e il carro di trionfo di Massimiliano I, sono formate rispettivamente da trentasei e da otto fogli.
Forse un po' troppo assembleare il numero degli autori italiani che hanno crediti e debiti di soluzioni e ispirazioni con Dürer, 59 fra maestri, comprimari, personaggi e comparse, ma la mostra vuole diventare un punto di riferimento.

Per la prima volta è anche una mostra completa su Dürer perché al proverbiale incisore è aggiunto il disegnatore, il pittore, il pittore di acquerelli, il progettista di sculture, e, aspetto finora trascurato, il teorico che ha scritto e illustrato trattati di geometria, fortificazioni, proporzione umana. E questa completezza è ottenuta attraverso una doppia immersione che coinvolge in un dare e ricevere, Dürer, l'arte italiana, gli artisti italiani. Forse, nel caso di Dürer c'è da aggiungere immersione nella vita italiana, di Venezia per l'esattezza che nel Cinquecento è una parte d'Italia molto particolare. Ce lo ricorda Cristina Acidini, neo soprintendente del Polo museale fiorentino i cui Uffizi si sono "svenati" per la mostra facendo arrivare ben 56 fra incisioni, stampe e disegni di Dürer e nove dipinti fra cui la grande tavola di Dürer "risplendente con intensità di rosso vivo", restaurata per l'occasione, l'"Adorazione dei Magi" (quella senza San Giuseppe, con un asino mordace che pone qualche problema dottrinario e l'artista che si è ritratto nelle vesti del Mago più bello, più elegante e più visibile e che viene considerata il primo esempio di "chiarezza compositiva" nell'arte tedesca grazie agli stimoli dei maestri italiani assimilati attraverso l'insegnamento di Leonardo).

"Dai viaggi in Italia, - osserva Cristina Acidini -, Dürer non dovette riportare soltanto un inesauribile alimento artistico, ma qualcosa di ancor maggiore ed elusivo in termini di stile: non solo e non tanto di stile nel senso tecnico", "ma di stile personale, di presentazione di sé nel rapporto con gli altri, stile di vita insomma". E forse "a raffinare l'immagine di sé" "al punto che alla sua seconda partenza da Venezia poteva sentirsi gentiluomo, rammaricandosi in anticipo che non sarebbe stato così stimato in patria", nella natale Norimberga.

Nella Pasqua del 1494, Albrecht Dürer , ventitreenne figlio dell'orafo Albrecht il Vecchio, concludeva un viaggio di quattro anni fatto per affinare la formazione artistica iniziata nella bottega di Michael Wolgemüt, considerato il principale pittore della Franconia. Aveva visitato "con profitto" i grandi centri artistici del Reno superiore, Basilea, Strasburgo, Colonia, forse era stato nelle Fiandre. Al ritorno, nella bottega di Wolgemüt, scopre le incisioni del Mantegna, piene dell'intima potenza delle sculture classiche, e conclude subito di aver fatto uno "sbaglio capitale" ad andare a cercare la perfezione a Nord delle Alpi, nelle terre del tardo gotico. La nuova pittura è a Sud delle Alpi, in Italia.

Come gli allievi pigri che ricalcano i disegni sui vetri delle finestre, Dürer ricalca i contorni di due incisioni del Mantegna ("Lotta delle divinità marine" che è in mostra con il doppio di Dürer, e il "Baccanale con Sileno") e copia con successo i cosiddetti "tarocchi del Mantegna", di origine ferrarese, anche se lui non sa che non sono di Andrea (in mostra ci sono quattro carte). E Dürer parte subito, non importa se a poche settimane dal matrimonio celebrato in luglio con la facoltosa moglie scelta dal padre, magari con la scusa della peste scoppiata in città. E va a Venezia, dove lavora Giovanni Bellini, "la città più ricca dell'Occidente", città di quasi duecentomila abitanti, con la quale l'imperiale libera Norimberga ha un servizio di corrieri due volte la settimana. Perché qui si fanno affari con le genti più diverse d'Europa e del Mediterraneo anche orientale, perché i tedeschi sono una delle colonie più potenti, con un loro fondaco. Il primo viaggio si conclude nella primavera del 1495. E ci sarà un secondo viaggio, da pittore molto affermato, dall'estate-autunno 1505 al febbraio 1507, a Venezia, Padova e Bologna con un probabile allungamento a Firenze e Milano, forse anche a Pavia e a Roma a fine 1506 (ma non documentato). Fra i due viaggi anche in Germania l'atmosfera è cambiata. Nel 1500, l'imperatore Massimiliano I nomina a Norimberga pittore di corte il veneziano Jacopo dè Barbari che manterrà l'incarico fino al 1503 poi si sposterà alla corte dell'elettore di Sassonia. Anche Dürer entrerà in contatto con Jacopo, non senza effetti come confermano in mostra le incisioni dei due artisti dallo stesso titolo "Apollo e Diana".

Il caso di Dürer "sotto il profilo dei riflessi reciproci rispetto all'arte italiana è assolutamente unico nel suo genere" e la curatrice della mostra, Kristina Herrmann Fiore (connazionale di Dürer che ha preferito fermarsi in Italia prendendo stabile dimora alla Galleria Borghese), ha pensato una mostra che risponda al duplice problema: l'"importanza dell'ispirazione italiana per la formazione dello stile del Dürer, concorrendo a inverare la sua cifra personale". Con una risposta immediata: "L'arte di Albrecht Dürer non sarebbe stata possibile senza la formazione e la sfida continua costituita dall'esempio dei maestri del Rinascimento italiano". Come si scopre al primo piano delle Scuderie con opere di Bellini, Mantegna, Leonardo, Jacopo dè Barbari, Agostino da Lodi (il mago delle prospettive), ed altri artisti.

Seconda domanda (e secondo piano delle Scuderie per la risposta): quanto devono gli artisti italiani del Cinque e Seicento alle opere grafiche di Dürer diffuse con le stampe in tutta Europa e non solo? Dürer - risponde Kristina Herrmann Fiore - era "diventato la miniera ricca di invenzioni da sfruttare nelle più varie occasioni". E la mostra, anche qui per la prima volta, "fa comprendere come dal microcosmo delle stampe, spesso anche molto piccole, si sia potuta trasmettere una invenzione compositiva ad opere di grande formato. E questo è un fenomeno generale in Italia che non si limita a Venezia, ma raggiunge immediatamente all'inizio del Cinquecento anche regioni molto lontane" Sicilia compresa. Certo gli artisti italiani avevano anche ben altre fonti di ispirazione, Raffaello, Michelangelo, Leonardo.

Per la Sicilia c'è l'esempio della tavola del 1520 circa, "L'Assunta in gloria tra angeli" con fondo d'oro, attribuita al Panormita (Antonello Crescenzio), nella quale l'autore preleva elementi da tre incisioni di Dürer. Giorgio Vasari non si scandalizza di questo fenomeno imitativo o di ispirazione dalle mille soluzioni di Dürer, anzi. Kristina Fiore ci ricorda che nella biografia del Pontormo, afferma che l'artista non è da "biasimare perché egli imitasse Alberto Duro nelle invenzioni, perccioché questo non è errore, e l'hanno fatto e fanno continuamente molti pittori". E come prova in mostra c'è una delle grandi lunette datate al 1523-1525 che facevano parte delle storie della Passione nella fiorentina certosa del Galluzzo, un affresco staccato di 3,11 per 2,87 metri, "Cristo davanti a Pilato" (ridotto in stato di conservazione molto cattivo perché era esposto nel chiostro). Fonte di ispirazione era stata la cosiddetta "Piccola Passione", una serie di trentasei xilografie di Dürer di "immediato e duraturo successo, dimostrato dalle copie realizzate da Marcantonio Raimondi", altro grandissimo incisore (in particolare delle opere di Raffaello), ma con il vizio di aggiungere l'inconfondibile firma di Dürer al punto da provocare una querela presentata a Venezia da parte dell'artista tedesco. Querela che la giustizia della Serenissima risolse con una sentenza casalinga, non con la condanna di Raimondi (che diede la colpa della firma ai mercanti delle stampe), ma solo col divieto di non firmare le copie con la sigla di Dürer.

In mostra viene riproposta la "concorrenza sleale" di Raimondi. "La presentazione di Gesù al tempio" incisione di prima del 1510 accanto alla xilografia "La presentazione di Gesù al tempio" di Dürer del 1505 circa. Di Raimondi c'è sempre da ammirare il visionario, pauroso "Stregozzo", un bulino-acquaforte-puntasecca che è anche una mostruosità di bravura (e in cui la strega che cavalca lo scheletro è derivata da una incisione di Dürer).

Il fenomeno imitativo e di ispirazione non si limita al Cinquecento come dimostra il cosiddetto "Rinascimento di Dürer" intorno al 1600, "l'enorme stimolo delle stampe del Dürer sui pittori spagnoli del Seicento tra cui Velázques, Alonso Caño, Zurbaran e Pacecho". E "anche Rubens osservò le invenzioni del Dürer con notevole interesse che si riflette nelle sue opere".

Kristina Fiore osserva che nella mostra è "singolare che rappresentanti di campi opposti, Caravaggio e i suoi seguaci d'una parte e, dall'altra i Carracci e la loro scuola, considerino la grafica del Dürer esemplare nella resa della natura". Per Michelangelo Merisi da Caravaggio (anzi, da Milano) è esposto il cosiddetto "Bacchino malato" (il titolo è di Roberto Longhi) considerato autoritratto del pittore reso con una "cera" molto depressa.

La fama di Dürer come maestro in quanto tale e come fonte di ispirazione dura a lungo. Nel 1670 circa Jan de Bisschop disegna il ritratto del maestro ricavandolo dal bolognese Tommaso Vincidor, allievo di Raffaello, suo collaboratore alle logge Vaticane, autore di cartoni per arazzi realizzati a Bruxelles. E nel 1695 Giovanni Maria Morandi ritrae Federico Zuccari, fondatore dell'Accademia di San Luca, con il trattato di Dürer "Della simmetria dè corpi umani". Addirittura nel 1716-24, Filippo Minei rende omaggio a Correggio con un disegno dal ritratto del grande umanista di estrazione cattolica Erasmo da Rotterdam inciso da Dürer nel 1526 e che è in mostra insieme all'incisione ritratto dello stesso anno, di Filippo Melantone, capo del movimento luterano alla morte di Lutero. Erasmo e Melantone sono le due ultime incisioni a bulino di un Dürer sempre più malato.

Forse Erasmo non conosceva le esatte condizioni di salute di Dürer. Fatto sta che non fu soddisfatto del ritratto, monumentale, certo nobile, molto diverso da quello di Melantone "così intimo e umano". Fu una sorpresa perché Erasmo era stato uno dei maggiori ammiratori di Dürer del quale aveva scritto: "In grado di dire tutto quanto il maggiore pittore è in grado di dipingere, con un solo colore, il nero".
In mostra ci sono i capolavori più celebri e più noti di Dürer, sia fra le incisioni che fra i dipinti.

Il primo grande successo in Germania furono le sedici xilografie dei "Cavalieri dell'Apocalisse" stampate per la prima volta nel 1498 con sul rovescio il testo dell'Apocalisse di San Giovanni.
E poi "Il cavaliere, la morte e il diavolo" inciso nel 1513, "San Gerolamo nella cella" del 1514 e "Melencolia" sempre del 1514. Una delle più alte concentrazioni di arte nel più piccolo spazio (24-25 centimetri per 19) per la forza realistica di persone e oggetti "otticamente differenziati secondo la loro costituzione materica". In Germania sono definite "Meisterstiche", l'"espressione massima della creazione di un artista", l'apice della produzione grafica di Dürer che però ha lasciato nei guai chi deve interpretarla.

Per Dürer il cavaliere e i suoi due compagni erano "Il cavaliere". Faticosamente ci si è accordati sul fatto che le tre incisioni devono essere pensate insieme perché complementari: "Il cavaliere" rappresenta le virtù morali, "San Gerolamo" quelle teologiche, "La melanconia" quelle intellettuali. Ma "La Melencolia" ("una delle opere d'arte sulla quale è stato scritto di più e il cui significato è ancora lungi dall'esser chiarito") è per i moderni richiamo di tristezza, depressione, uno stato non certo favorevole alla creazione. O sì?

Dal punto di vista stilistico "Il cavaliere" rappresenta anche la conclusione degli studi teorici
condotti da Dürer nella ricerca della perfetta proporzione del cavallo su Donatello ("Gattamelata") e Verrocchio ("Bartolomeo Colleoni") e soprattutto Leonardo come provano studi preparatori all'incisione.
"Ritratto di gentiluomo con guanto" dal Prado, del 1521-24, può aprire la serie dei dipinti in mostra (e dei molti, straordinari, ritratti) perché è lo stesso Dürer raffigurato a ventisei anni con una cascata di lunghi capelli biondi incisi uno ad uno. Sullo sfondo paesaggi alpini incontrati nel primo viaggio in Italia. Dürer sembra sfidare l'osservatore nel deciso atteggiamento, e urlargli se anche lui ritiene che il dipinto che sta ammirando è un fatto di artigianato.

Un gioiellino di Raffaello (40 per 30 centimetri) da Palazzo Pitti, "La visione di Ezechiele" del 1518 in cui il profeta occupa una zona quasi puntiforme sullo sfondo, è messa a confronto con la xilografia dell'"Apocalisse", l'arcangelo Michele in lotta, di cui potrebbe aver utilizzato qualche idea del paesaggio. Raffaello e Dürer si erano scambiati delle opere (il maestro tedesco aveva mandato l'autoritratto che aveva molto colpito Raffaello per la tecnica a guazzo e acquerello su panno trasparente, con le lumeggiature non dipinte, e Raffaello uno studio di figura nuda).

La grande pala di Giovanni Bellini (2 per 3,20 metri), la "Pala Barbarigo" perché raffigura il doge Agostino Barbarigo che viene presentato da San Marco al Bambino in braccio ad una Madonna in trono (dall'aria altera), sotto gli occhi del vescovo Agostino, deve essere stata probabilmente studiata da Dürer nella chiesa di San Pietro Martire a Murano. Il maestro tedesco stava allora impostando la "Pala del Rosario (o Festa del Rosario)" destinata alla chiesa di San Bartolomeo a Venezia dove aveva sede la confraternita tedesca del Rosario da poco fondata.

Nella pala di Murano, Bellini ha avuto un colpo di genio con la balaustra di marmo sfondata che permette lo sguardo sul bosco sottostante. Straordinario anche il paesaggio dello sfondo con un primo castello pieno di torri e un secondo sui rilievi all'orizzonte.

La "festosa serenità" del colore e dell'impianto compositivo del Bellini non sembra aver trovato pieno seguito nella pala di Dürer anche perché i temi dei due dipinti sono diversi. Qui il papa e l'imperatore sono ai piedi del trono di Maria e del Bambino da cui ricevono coroncine di rose. I personaggi importanti o no sono una quarantina contro i sette (e dodici teste d'angelo) della pala del Bellini. E i castelli veneziani si sono trasformati in una città tedesca. Chissà se l'imperatore si è accorto del moscone che Dürer ha dipinto sul ginocchio di Maria, piccola esibizione di una delle caratteristiche fondamentali di Dürer, l'"acutezza di osservatore".

La rosseggiante, complessa "Pala del Rosario" viene considerata il capolavoro pittorico di Dürer non solo fra le opere del secondo soggiorno veneziano, ed anche quello di maggiori dimensioni (una tavola di pioppo di 1,60 per 1,93) realizzato dal maestro tedesco nel 1506, nel tempo dichiarato di cinque mesi che non convince tutti. Dürer si era ripromesso di superare l'alto livello della pittura veneziana e ci riuscì stando alle lodi ricevute dal patriarca, dal doge, dai colleghi fra cui lo stesso Giovanni Bellini che Dürer considerava il migliore dei pittori veneziani, che lo elogiò pubblicamente. E in una lettera del febbraio 1506 Dürer parla della stima professionale e umana per Bellini.

Purtroppo c'è da dire che la "Pala del Rosario" ha avuto una esistenza molto travagliata che l'ha ridotta in uno stato di conservazione e di godibilità cattivo o molto cattivo. Acquistata nel 1606 circa dall'imperatore Rodolfo II fu portata a Praga dove si trova tuttora nella Galleria nazionale e da dove non si muove, dopo aver subito danni bellici, vaste ridipinture anche in stile barocco, restauri non rispettosi. Quella in mostra è una delle due copie (su tela) fatte nel 1600 circa, del Kunsthistorisches Museum di Vienna. La seconda, a Lione, ha subito un destino ancora più curioso: papa e San Domenico sono stati sostituiti rispettivamente da Santa Caterina e dall'angelo dell'Annunciazione. Anche qui Dürer si ritrae in una posizione ben difficile da trascurare anche perché il pittore punta all'osservatore.

Una concentrazione di teste, barbe, bocche socchiuse, quasi caricature, di libroni e grosse mani, attorno a Gesù dodicenne, dai lunghi capelli, che sembra stia indicando le vere verità sulle dita senza bisogno di scartabellare i testi, le vecchie norme. Sei testoni e tre grossi libri anche questi rosseggianti, tranne una testa livida di giallo malato e dalla pelle del collo raggrinzita. In parte emergono dal colore nero, messi in cerchio e concentrati in una tavola di 64 per 80 centimetri: è il "Cristo fra i dottori" del museo Thyssen-Bornemisza, dipinto da Dürer nel 1506 rielaborando influssi veneziani. Mentre Lorenzo Lotto, nella "Madonna con Bambino e santi" della Borghese, anche questa dipinta a Venezia, si ispira decisamente ad un dottore di Dürer per il suo anacoreta a fianco della Madonna.

"Giobbe e la moglie con la tinozza d'acqua" è un miracolo che sia in mostra data la delicatezza della tavola-sportello (dallo Städel Museum di Francoforte). Giobbe nudo, pieno di piaghe, siede su della paglia mentre la donna gli rovescia addosso l'acqua di una piccola tinozza contro il tormento. Tutto sta crollando intorno a Giobbe che non sempre ha accettato il volere di Dio. Sullo sfondo la casa sta andando a fuoco e un messaggero sta correndo verso di lui per annunciargli la morte dei figli. Forse sta scoppiando un temporale con tuoni e fulmini, ma questo non lo sappiamo perché la tempesta è stata tagliata in alto. Giobbe è il simbolo di una "pazienza" che va oltre le disgrazie e la tristezza, "esempio di filosofica dignità" che "Dürer non avrebbe potuto concepire senza la lezione di Leonardo" commenta Kristina Fiore, che ha scelto per la mostra studi anatomici leonardeschi del 1485-87, provenienti dalla Royal Collection di Windsor. L'arrivo degli amici in veste di musici che convinceranno Giobbe a non ribellarsi più e "a riconoscere la grandezza dei piani divini" oltre le avversità personali, e per la quale il santuomo avrà "completa riabilitazione" in fatto di figli e di prosperità, è purtroppo sull'altra tavola-sportello che è rimasta a Colonia.

"Ercole in lotta contro gli uccelli stinfalidi" del 1500 è l'unico dipinto di Dürer di soggetto mitologico che ci sia arrivato perché allora in Germania si commissionavano solo dipinti di soggetto sacro o ritratti. Qui Ercole nudo (ancora una volta l'autoritratto di Dürer) è raffigurato nello sforzo del tendere l'arco contro creature alate con la coda da sirena, artigli e rostri di bronzo che dimoravano nella palude di Stinfalo in Arcadia. Per l'atteggiamento dell'eroe Dürer si ispira ad un Ercole saettante e agli uomini nudi delle stampe e dei dipinti di Antonio Pollaiolo. I "Tre orientali", un disegno a penna e acquerello del 1495-1500, Dürer li ha invece tolti di peso da Bellini (Gentile, fratello di Giovanni): sono un particolare, con poche varianti, dello sfondo della "Processione della reliquia della Croce in piazza San Marco" terminata nel 1496. Gentile, di ritorno dal soggiorno a Costantinopoli, deve aver fatto vedere a Dürer anche gli schizzi che aveva fatto durante il viaggio del 1479-1480. Tanto che si possono riconoscere altri disegni di "carattere esotico e tecnicamente confrontabili" come i cavalieri orientali.

Fra gli acquerelli ci sono un iris azzurro, un airone, il muso di un bue, un mulino di montagna ad acqua. Quelli importanti sono una veduta del castello di Trento (uscito per la prima volta dalla Kunsthalle di Brema), una veduta di Arco fra mura merlate che si saldano alla roccia con un altro castello (dal Louvre) e che hanno tutta l'aria di essere stati fatti nell'andata del primo viaggio a Venezia; una veduta della fortezza di Norimberga. Non sono soltanto curiosità. Queste sono fra le prime vedute autonome, cioè non sfondi, non riempitivi, della pittura europea.

Sicuro di sé, della propria funzione e qualità di artista, ottimo promotore di se stesso (spesso sistema nei dipinti l'autoritratto in posizione strategica), Dürer non visse a lungo per godersi la posizione di più illustre artista del Rinascimento tedesco e uno dei più grandi artisti in assoluto. A cinquant'anni cominciò ad avere seri problemi di salute e a 57 (sei aprile 152[SM=g27989] morì a Norimberga. Sulla tomba "è ancora leggibile l'epigrafe" dettata dall'amico Willibald Pirkheimer: "Quanto vi era di mortale in Albecht Dürer giace in questa tomba".

Poca cosa di mortale rispetto a tutto il resto di immortale nel senso umano sparso nel mondo. Ma forse alla fine vale la pena di ricordare il suo umorismo che si rifletteva "in giocose esercitazioni a penna nei disegni, o ai margini del libro di preghiere dell'imperatore Massimiliano o in divertite caricature e riprese della vita quotidiana". C'è anche una situazione in cui non ci si aspetterebbe certe variazioni che allora assumono il senso di una grande libertà di spirito. Nella xilografia dell'"Adorazione dei Magi" del 1511, un re Mago abbastanza sbalordito e una Madonna ancora più sbalordita assistono ai movimenti di Gesù Bambino che ha infilato una mano nel cofanetto che gli è stato presentato e fruga per sentire, per vedere cosa è arrivato, veramente come il più umano dei fanciulli che ha ricevuto un regalo.


di Goffredo Silvestri

Notizie utili - "Dürer e l'Italia". Dal 10 marzo al 9 giugno. Roma. Scuderie del Quirinale. A cura di
Kristina Herrmann Fiore in collaborazione con le soprintendenze per i Poli museali fiorentino, diretto da Cristina Acidini, e romano, diretto da Claudio Strinati. Catalogo Electa. Organizzazione azienda speciale Palaexpo. Commissione scientifica delle Scuderie presieduta da Antonio Paolucci. Sostegno della Compagnia di San Paolo e di Acea.
Biglietto: intero 10 euro; ridotto 7,50.
Orari: aperta tutti i giorni. Da domenica a giovedì 10-20; venerdì e sabato 10-22,30. Ingresso fino a un'ora prima della chiusura.
Informazioni e prenotazioni: singoli, gruppi e laboratori d'arte 06-39967500; scuole 06-39967200.

(9 marzo 2007)

da: www.repubblica.it/2007/03/sezioni/arte/recensioni/durer-italiano/durer-italiano/durer-itali...

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