LEGGIAMO INSIEME : SANGUE CHEROKEE di Sheri WhiteFeather

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Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 03:57
«Sei sicuro di volerlo fare?» chiese Tracy Calhoun al figlioletto di sei anni.

Parker annuì energicamente. Aveva una chioma di lisci capelli biondi sotto il berretto da baseball, e indossava una giacca sportiva abbottonata fino al mento. Il riscaldamento della vecchia Camaro di Tracy si era rotto di nuovo, e ora, nonostante all'esterno si gelasse, il condizionatore soffiava aria fredda anche all'interno dell'abitacolo.

«È Natale, mamma, e lui è tutto solo.»

«Ma certo, hai ragione. Chissà a cosa stavo pensando...» Come figlia di un pastore protestante, aveva allevato bene suo figlio. Ma oggi avrebbe preferito che lui non estendesse la sua buona volontà a tutti gli abitanti della cittadina. In particolare non gradiva molto l'idea di doversi avvicinare allo straniero che di recente si era trasferito a Orchid House.

La casa, di per sé, era abbastanza inquietante. Sorgeva completamente isolata su una collinetta ai margini della foresta. Quando Tracy la scorse, sentì un brivido di disagio correrle lungo la schiena, e dovette ricordarsi di restare calma. Orchid House era rimasta disabitata per anni e a Wyleville si raccontavano storie raccapriccianti sui fantasmi che la infestavano.

Si era interrogata a lungo, come d'altronde quasi tutti gli abitanti del paese, sul motivo per cui Daniel Crow avesse deciso di vivere là. Si era chiuso in quella vecchia enorme casa come in eremitaggio, separato dal resto del mondo e avvolto nel mistero.

Parcheggiò davanti all'entrata principale. L'edificio e lo stile del giardino ricordavano una piantagione del Sud, in contrasto con lo stile tipico di una cittadina della Pennsylvania.

Parker afferrò i dolci, pieno di entusiasmo. «Ho sentito dire che è un autentico pellerossa sai?»

Ecco il motivo per cui suo figlio era così affascinato da Daniel Crow, e aveva tanto insistito per fargli visita.

«Lo so, però penso preferisca essere chiamato nativo o indiano americano piuttosto che pellerossa. Anche se, a dire il vero, non so esattamente quale sia il termine appropriato. Non so mai cosa sia consideratoY politicamente corretto, al giorno d'oggi.»

Il ragazzino fece una smorfia e Tracy si rese conto che per lui stava parlando arabo. Che senso aveva chiedersi cosa avrebbe preferito Daniel Crow? Non sapeva proprio niente di lui, a parte gli aggettivi che altri avevano usato per descriverlo.

Alto, scuro, snello, misterioso, scorbutico...

Non era affatto incoraggiante, per una donna che stava per presentarsi alla sua porta con un ragazzino e una scatola di biscotti allo zenzero.

Un sentiero di mattoni portava verso l'ingresso, fiancheggiato da imponenti colonne. Gli alberi e i cespugli intorno alla casa conservavano ancora qualche foglia in lotta con il freddo pungente. C'era uno strano profumo di orchidee che aleggiava nell'aria, e Tracy rabbrividì ancora. Forse quell'odore era il segno delle presenze soprannaturali che abitavano la vecchia casaY

Bussò con decisione, mentre Parker stropicciava i piedi al suolo per scaldarsi. L'aria era decisamente pungente, quella mattina.

Qualche istante dopo la porta venne aperta e si trovarono di fronte Daniel Crow. Nessuno aprì bocca, neppure Parker che di solito aveva fin troppa parlantina. L'uomo era alto e la sua espressione non aveva nulla di incoraggiante. Il viso serio era circondato da lunghi capelli scuri e lisci, sciolti sulle spalle.

Furono però i suoi occhi ad attirare l'attenzione di Tracy. Scuri e impenetrabili, non lasciavano trasparire alcuna emozione. Si chiese quali segreti si nascondessero dietro quelle pupille di ossidiana.

«Posso aiutarvi?» chiese un attimo dopo. Il suo tono era asciutto, e aveva un leggero accento del Sud.

Rinfrancato, Parker gli tese la scatola decorata.

Daniel ebbe un attimo di esitazione, poi accettò il dono. Sembrava confuso, e guardò alternativamente la scatola e il bambino con aria interrogativa.

«Dolci» spiegò Tracy.

Lui la guardò negli occhi. Nessuno le aveva detto che aveva uno sguardo magnetico, e nemmeno che era il tipo d'uomo che ti lascia senza fiato. Era raffinato ma al tempo stesso s'intuiva in lui qualcosa di selvaggio. Era una perfetta mescolanza tra la grazia levigata di un gentiluomo del Sud e la fierezza guerriera di un Nativo. Il suo corpo aveva un atteggiamento indolente, ma il viso era attento e orgoglioso.

«Dovete avermi confuso con qualcun altro» commentò alla fine.

«Nemmeno per idea» intervenne Parker, facendo un passo avanti e fissando di sotto in su il padrone di Orchid House. «Lei è il signore indiano che non parla con nessuno. Mio nonno dice che va bene così, comunque. Anche lui è scorbutico qualche volta.»

Tracy non si scusò per suo figlio. Non voleva metterlo in imbarazzo davanti all'uomo di cui desiderava tanto diventare amico. Il piccolo Parker Calhoun era fatto così, sincero fino all'eccesso.

«E così mi avete portato dei dolci.» C'era una punta di divertimento nella voce sensuale di Daniel Crow, e l'accenno di un sorriso sulle sue labbra. «Cioccolatini, scommetto.»

«No» replicò il ragazzino. «Biscotti allo zenzero. Sono a forma di angelo, con la glassa bianca sulle ali e scorza di limone candito per l'aureola. È stata mia l'idea di venire qui, mentre la mia mamma ha pensato ai biscotti.»

Il sorriso scomparve dal viso di Daniel, che spostò lo sguardo su Tracy. Le si avvicinò e lei dovette impedirsi di fare un passo indietro. Non sembrava più divertito.

«Per l'amor del Cielo, donna» sussurrò come parlando fra sé. «Come le viene in mente di portarmi degli angeli?»

Daniel si rese conto che le stava troppo vicino. La sovrastava di almeno venti centimetri, quella graziosa signora dai riccioli di fiamma. La donna che gli aveva donato degli angeli.

Che sia un segno? si chiese turbato. Oppure era la sua immaginazione che lavorava troppo fervidamente? Niente era semplice a Orchid House, soprattutto comprendere le presenze che vi aleggiavano.

Si avvicinò ancora di più alla donna: aveva occhi verdi come la campagna irlandese, e il suo naso era lievemente spruzzato di lentiggini. All'improvviso desiderò sollevare la mano e accarezzarle il viso, sfiorare quella pelle liscia color avorio.

Strano momento per sentirsi attratto da una donna. Si era abituato a credere che il suo bisogno di una compagna accanto a sé fosse morto insieme a sua moglie. Invece, ora quel desiderio si risvegliava di colpo, facendolo sentire quasi in colpa. Scorreva nel suo sangue cherokee facendolo sentire bramoso e irrequieto come non si sentiva da anni.

«Perché mi avete portato degli angeli?» ripeté ancora. Intanto Non staccava gli occhi da quelli di Tracy.

«Perché siamo a Natale.»

La risposta gli richiamò un'immagine dolorosa dai meandri della sua memoria. Scacciò il ricordo con uno sforzo e si rese conto che stava probabilmente spaventando quella donna così giovane e gentile. E forse anche il bambino, che non smetteva di fissarlo. Doveva avere circa sei anni, rifletté Daniel. Sei anniYErano passati sei anni dall'incendio.

«Mi dispiace» riuscì a dire alla fine, arretrando di qualche passo. «Non ricevo molte visite.» E non festeggio più il Natale da secoli, aggiunse mentalmente.

«Perché lei è nuovo qui» commentò il bambino con estrema disinvoltura. «Ma posso dirle tutto quello che c'è da sapere su Wileyville. Viviamo qui da sempre. Conosciamo tutti.» Sorrise mostrando uno curioso spazio vuoto tra gli incisivi.

Il ragazzino aveva un sorriso limpido e aperto. Daniel ebbe voglia di ridere, affascinato dal giovane Parker. Sbirciò la donna e si sentì trascinato nuovamente da quella sensazione di calore, un'inattesa spinta sensuale che gli fece venir voglia di toccarla.

Incurvò le dita attorno alla scatola di metallo, trovando che fosse un sostituto troppo freddo e indifferente. Sperò che lei non fosse sposata. L'idea di desiderare la moglie di un altro uomo non gli piaceva.

«Da dove viene?» chiese quindi Tracy.

Da nessuno posto particolare, stava per risponderle lui, ma si trattenne in tempo. «Nord Carolina.»

«Ah, ecco spiegato il suo accento» commentò lei in tono di apprezzamento. «Le dispiace se le chiedo a quale tribù appartiene? Non abbiamo occasione di incontrare molti Nativi americani da queste parti.»

Daniel sorrise. «Cherokee.» Quella era un'eredità che aveva rinnegato ormai da molto tempo. Non poteva tornare alla Riserva, così come non avrebbe potuto ritornare alla buona società del Sud in cui era nata sua moglie.

«E il suo nome è Daniel Crow, vero? Lieta di conoscerla, mi chiamo Tracy Calhoun. E questo è mio figlio Parker.»

Daniel sobbalzò come se fosse stato colpito, e trattenne il respiro.

Parker.

Il bambino che aveva seppellito si chiamava così. Era uno scherzo del destino? Solo una dolorosa coincidenza? Era paralizzato, immobile come una statua. L'aria gelida lo sferzava come una lama d'acciaio.

«Si sente bene?»

Sentì la voce di Tracy ma non riuscì a formulare una risposta rassicurante. Fece un cenno, o almeno credette di farlo. Quella era pura stregoneria. Quando aveva comprato Orchid House, aveva creduto di dover affrontare semplici innocui fantasmi. Ma ora si trovava di fronte una graziosa rossa e un bambino dal sorriso irresistibile che si chiamava come suo figlio.

«Immagino sia meglio che andiamo, ora» gli disse. «Non dovrebbe restare qui fuori senza giacca. È meglio che entri dentro, altrimenti si prenderà un raffreddore.» Trascinò via Parker, che bofonchiò qualcosa a proposito di una zuppa di pollo mentre veniva guidato verso la macchina.

Daniel uscì dallo stato di trance e notò che l'auto non ripartì subito. Il motore tossì e scoppiettò a lungo prima di avviarsi con una nuvola di fumo nero. Guardandoli sparire dietro la collina Daniel aprì la scatola. Fissò le ali di glassa e le aureole di scorza candita chiedendosi che cosa diavolo avrebbe dovuto fare ora.
Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 03:59
Capitolo 2
«Accidenti!» Tracy prese a calci la macchina, colpendo con rabbia il pneumatico anteriore. Era proprio il momento peggiore per restare a piedi. Era esausta, dopo un turno doppio sul lavoro, e stava congelando nell'uniforme bianca e rosa che detestava. Il parcheggio era deserto.

«Problemi?»

La voce proveniva da un punto indefinito nell'oscurità, e Tracy si mise immediatamente in allarme. Si guardò intorno pregando che fosse qualcuno di sua conoscenza.

Certo, non era molto plausibile incontrare un maniaco a Wyleville. Il crimine più grave mai commesso da quelle parti era superare il limite di velocità.

L'uomo spuntò dal buio, alto e avvolto dalla bruma gelida. I suoi stivali risuonavano sul selciato. Tracy attese che le venisse più vicino, alla luce del lampione.

Riconobbe all'istante Daniel Crow. Sembrava imponente e selvaggio come un lupo, con i capelli mossi dal vento.

Da dov'era uscito? Non c'erano altre auto in vista. Aveva fatto a piedi la strada fino in città, come un predatore in caccia?

«La mia macchina non parte» fu tutto quello che riuscì a spiegare.

«Mi faccia vedere se possiamo fare qualcosa.»

Si introdusse nell'abitacolo della vecchia automobile, e armeggiò con la chiave. Scosse la testa e aprì il cofano. Tracy gli fece luce con una pila.

«Penso che sia lo starter» commentò pulendosi le mani in un fazzoletto.

«Grandioso... Sarà una riparazione costosa?»

«Posso farlo io, se vuole.»

Lo guardò confusa.

«Be'... perché farebbe una cosa simile?»

Il vento gli scostò i capelli dalla fronte, mettendo in evidenza il suo viso dall'ossatura forte.

«Sono bravo con le macchine, e non l'ho ancora ringraziata per essere venuta a darmi il benvenuto qui.»

«Se questo è il suo modo per ringraziarmi, accetto volentieri! Intanto, non possiamo cominciare dandoci del tu?» propose Tracy.

«Volentieri.» Le sue labbra disegnarono un lieve sorriso, prudente come la sua voce.

Tracy incrociò le braccia sul petto lottando contro il freddo. Si sentiva piuttosto imbarazzata. Aveva i capezzoli duri come nocciole per colpa della temperatura polare, e fin troppo visibili sotto quella stoffa leggera. Ma non era quello il punto. Lui non poteva certo saperlo, ma lei aveva fatto un sogno erotico che aveva il signor Daniel Crow come meraviglioso protagonista, perciò vederselo davanti la faceva sentire piuttosto a disagio. Si era svegliata eccitata, e quel ricordo l'aveva tormentata tutto il giorno.

«Sei sposata?» le chiese Daniel, come se avesse intuito il corso dei suoi pensieri proibiti.

«Sono divorziata.» E questo le dava tutto il diritto di fantasticare, si disse. Specialmente perché Bradley Calhoun era sparito quasi cinque anni prima senza più dare sue notizie.

«Bene. Voglio dire, l'avevo immaginato ma ho preferito chiederlo. Gli uomini tendono a essere piuttosto gelosi delle loro mogli.»

Non quelli come Bradley, pensò. Ma non fece alcun commento.

Daniel affondò le mani nelle tasche della giacca e Tracy guardò le proprie orribili scarpe bianche. Lui sembrava un affascinante cavaliere solitario con i jeans logori e gli stivali neri, e lei sembrava esattamente quello che era: una cameriera, una giovane provinciale divorziata.

Una donna capace di avere sogni erotici con protagonista un forestiero .

«E così sei bravo con le macchine...» commentò Tracy cercando di rompere quel silenzio un po' scomodo.

«Avevo un'officina un tempo» rispose Daniel fissando l'asfalto. «Ma ora non faccio più quel mestiere.»

Tracy fraintese la sua espressione.

«Hai... perso il lavoro?»

«No. L'ho venduta.» Fece una pausa significativa. «Mi hanno dato un bel po' di soldi.»

Si chiese se le voci che aveva sentito in giro fossero vere. In città si mormorava che Daniel fosse un miliardario eccentrico, così pieno di denaro da non riuscire a contarlo. «E questo è bene?»

Lui scrollò le spalle. «Ho imparato che essere ricchi non è la chiave per la felicità.»

Quest'uomo è un vero enigma, pensò. Un Cherokee del Nord Carolina oppresso dal peso della ricchezza... Non si poteva certo dire che corrispondesse allo stereotipo dell'indiano americano, specialmente dal momento che aveva comprato una tenuta in una piccola città della Pennsylvania.

Il vento soffiò una raffica violenta e improvvisa, facendo tremare i rami degli alberi. Tracy spostò una cascata di riccioli ribelli dal viso e notò che Daniel la stava fissando incuriosito.

«Che cosa diavolo ci fai in giro a quest'ora, a proposito?»

Stupita dal suo tono brusco, Tracy puntò il mento verso il ristorante. «Lavoro lì. Ho dovuto chiudere io, stanotte.»

«Da sola?»

«Il cuoco stava male e l'ho mandato a casa un po' prima.»

Daniel scosse il capo. «E cosa sarebbe successo se non mi avessi incontrato? Se al mio posto ci fosse stato un maniaco o...»

Be, se è per questo la gente pensa che anche tu sia pericoloso, pensò. E anche un po' matto. Solo un pazzo si chiuderebbe tra le mura di una casa stregata.

Daniel le porse un cellulare. «Se credi che non possa avvenire nulla di brutto in questo periodo solo perché siamo vicini al Natale, ti sbagli di grosso.»

Lei prese il telefono, chiedendosi cosa avesse trasformato Daniel Crow in un uomo così duro e solitario. Non c'era alcuna luce nei suoi occhi, nessuna scintilla di partecipazione alla festa.

«Da dove sei uscito?» chiese facendo un gesto verso il parcheggio deserto.

«Che cosa intendi dire?»

«Sei comparso come dal nulla.»

Daniel aggrottò le sopracciglia. «Ho parcheggiato di fronte al ristorante.»

«Cosa ti ha spinto a venire qui dietro a piedi?»

«Tu.» Daniel fece un passo avanti, avvicinandosi un po' a lei. «Non so spiegartelo, ma ho sentito che eri qui. Era come se qualcuno sussurrasse il tuo nome nella mia testa.»

Un brivido percorse la schiena di Tracy e per un attimo avvertì il profumo di orchidea nell'aria invernale.

Orchidee in inverno? si chiese. Daniel sollevò una mano e le accarezzò dolcemente una guancia. La sua pelle ardeva al suo tocco, proprio come nel sogno, ma ora non stava sognando.
Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:00
Capitolo 3
Era come un'esperienza di trance, pensò. Uno di quei momenti irreali, quando varchi il confine di un'esperienza pericolosa.

Meravigliosamente pericolosa.

La mano di Daniel era forte e gentile, calda contro la sua pelle. I capelli le ricadevano sul viso in una massa scomposta di riccioli rosso fuoco. Daniel ne prese uno tra le dita, attorcigliandolo con tenerezza.

I loro occhi si incontrarono e restarono fermi a fissarsi per lunghi attimi senza tempo. La luce dei lampioni era color ambra, soffusa, e nell'aria aleggiava ancora il profumo delle orchidee. Tracy immaginò che miriadi di petali profumati le accarezzassero il corpo, scendendo lenti dal cielo.

Daniel abbassò la testa e lei seppe che stava per baciarla. Le prese il viso tra le mani e quando le loro labbra si incontrarono lei gemette piano. Il suo bacio era fresco e sensuale, la sua lingua curiosa ed esigente.

Aveva la giacca aperta, e i lembi sembravano danzare nel vento. Tracy aveva bisogno di liberare le mani per poterlo abbracciare. Infilò il telefono in una delle sue tasche e lo circondò con le braccia.

«Cosa stiamo facendo?» gli chiese in un sussurro.

«Non lo so.» Il suo tono esprimeva indifferenza rispetto al fatto se fosse giusto o sbagliato, se entrambi stavano cedendo alla follia. «Apri il soprabito.»

Lei spalancò gli occhi, esterrefatta. «Cosa?»

«Voglio sentirti, voglio sentire il tuo corpo contro il mio.»

Le tremavano le mani, ma slacciò i bottoni del soprabito, aprendolo. Daniel la guardava, gli occhi colmi di desiderio. Erano due estranei, ma in quel momento non aveva importanza. Stava succedendo qualcosa tra loro, ed era troppo trascinante per lasciarsi andare a considerazioni razionali.

Daniel si appoggiò contro la macchina e allargò le gambe. Tracy scivolò contro di lui, ma nel momento in cui la abbracciò qualcosa sembrò cambiare tra loro. Non si baciarono, non scambiarono carezze. Rimasero semplicemente allacciati l'uno all'altra, e i loro cuori presero a battere all'unisono.

Il suo corpo era grande e solido, il corpo di un atleta. Il corpo di un guerriero, di un uomo che l'avrebbe coccolata e protetta. Chiuse gli occhi e abbandonò il capo sulla sua spalla.

«Tracy?»

«Hmm...?»

«Grazie.»

Sollevò il capo e ammirò la bellezza di quel viso mascolino. «Per cosa?»

«Per questo» spiegò con gli occhi fissi nei suoi. «È passato molto tempo dall'ultima volta che sono stato con una donna. Non parlo solo di sesso, intendo una vera intimità con una persona.»

Ecco, era quella la sensazione che provava anche lei. Un'emozione troppo forte, troppo... erotica per poterla catalogare. «Tu mi piaci, Daniel.»

«Mi conosci appena...»

«Non significa che tu non possa piacermi.»

Lui le sfiorò le labbra con le proprie, quasi in un bacio, poi si tirò indietro bruscamente. «È bello che diventiamo amici, ma non credo che dovremmo andare oltre. Sono troppo. be', lo sai.»

Eccitato, pensò improvvisamente lei, consapevole della prominenza sotto la cerniera dei suoi jeans. I loro corpi erano ancora premuti l'uno contro l'altro. Sentì il sangue affluirle alle guance e si rese conto di quanto fosse strana tutta quell'esperienza.

«Sarà meglio che chiamiamo il carro attrezzi.»

«Già, buona idea...»

Questo significava ovviamente staccarsi da lui e far finta di non essere stati sul punto di diventare amanti fino a pochi istanti prima. Se le avesse chiesto di andare a casa sua, lei ci sarebbe andata. E per Tracy sarebbe stato imperdonabile, una volta che si fosse ritrovata sola. Non era sua abitudine dormire con gli sconosciuti.

Daniel prese il telefono dalla tasca della giacca e lei arretrò di un passo, abbottonando il cappotto.

Fecero la telefonata e rimasero fermi ad aspettare il carro attrezzi, in silenzio. Dieci minuti più tardi, quando un veicolo bianco fece capolino nel parcheggio, il cuore di Tracy accelerò freneticamente i battiti. Aveva riconosciuto subito l'autista. «Oh, no.» Tracy fece una smorfia. «Con tutto quello che è successo, mi sono dimenticata di chiamare Tom.»

Daniel guardò il pick-up che si fermava a poca distanza. «Tom?»

«Sì, mio suocero.»

Un uomo tarchiato scese dal veicolo, chiudendo lo sportello con violenza. «Che cosa diavolo succede, Tracy? Mi sono preoccupato da morire! Avresti dovuto essere a casa ore fa.»

«Lo so, mi dispiace. La mia macchina non parte e sto aspettando il carro attrezzi. Dov'è Parker?»

«Sta dormendo. Mavis è rimasta a dargli un'occhiata.»

Ancora arrabbiato, l'uomo fissò Daniel. «Chi è ?»

Tracy fece una presentazione formale. «Si chiama Daniel Crow, e... si è offerto di aiutarmi con la macchina. Pensa che lo starter sia rotto. Farà lui la riparazione.»

«Vedo.» Tom osservò Daniel e si rilassò leggermente. «Immagino di doverla ringraziare, allora.»

«Non si preoccupi.» Era contento che l'uomo non l'avesse preso per un malintenzionato. Non aveva voglia di litigare, e il suocero di Tracy aveva l'aria di essere un formidabile antagonista. Non era alto quanto Daniel, ma era solido e muscoloso sotto la tuta da lavoro blu.

«Non è lei il nuovo proprietario di Orchid House?» chiese quindi Tom.

«Proprio così.» Nonché quello che ha trattenuto Tracy in un parcheggio al freddo per baciarla. Non si sentiva affatto il gentiluomo che la donna aveva presentato.

Chissà perché gli vennero in mente i profilattici che aveva comprato. Non che avesse avuto Tracy in mente in quel momento, ma era stata sicuramente la sua attrazione per lei a dargli l'idea. Se avesse ripreso un'attività sessuale, doveva essere preparato.

Già, questa era stata la scusa, ma ora che l'aveva baciata non poteva più negare che era lei che voleva. Non si sarebbe accontentato di una semplice amicizia, e lei non sembrava il tipo che si fa coinvolgere in avventure da una notte. Comunque, neppure Daniel amava le relazioni occasionali. L'ultima donna che aveva condiviso il suo letto era stata sua moglie.

«Lei ha fatto una grande impressione a mio nipote.»

Strappato alle sue meditazioni, Daniel si passò una mano tra i capelli. «Come ha detto, mi scusi?»

«Parker» spiegò quindi l'uomo. «Ha parlato di lei per giorni. Lei è il primo indiano che abbia mai incontrato, e la trova forte, secondo la sua espressione.»

«Oh...» Daniel non sapeva cosa dire, così sbirciò Tracy, che gli replicò con un sorriso timido. Non gli aveva detto che suo figlio l'aveva preso per una specie di eroe.

«Lui guarda un sacco di film western in televisione» continuò Tom. «Suppongo che sia normale che Parker si interessi al vecchio West. Ma ha sempre parteggiato per gli indiani, anche se in quei vecchi film non hanno mai la meglio. Così gli ho noleggiato quel film per ragazzi... sa, quello in cui c'è il disegno di un piccolo indiano. Insomma, è rimasto affascinato.»

Daniel non aveva mai visto quel film, ma suppose che l'indiano protagonista fosse la quintessenza della nobiltà d'animo e della fierezza, un quadro che certo non si adattava a lui.

Sentendosi un po' in colpa, volse lo sguardo verso le file di luci colorate che addobbavano la strada e il ristorante. Aveva abbandonato la riserva dov'era nato sedici anni prima, e non era più tornato a Quella Boundary da allora. Neppure a Natale. Ovviamente spediva soldi al padre, ma gli assegni tornavano sempre indietro.

Accidenti, perché si commiserava? Suo padre era un uomo testardo e non aveva mai capito che Daniel aveva bisogno di essere libero, di mettersi alla prova nel mondo dei bianchi.

Guardò Tracy e si chiese che cosa avrebbe dovuto fare per suo figlio. Come poteva corrispondere alle aspettative del ragazzo? Parker era affascinato dagli indiani, ma Daniel Crow non era più un Cherokee.

Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:03
Capitolo 4
Daniel era in piedi nel garage di Tracy, con indosso un paio di jeans logori e una vecchia maglietta. Aveva anche uno straccio infilato nella tasca posteriore. Durante la sostituzione dello starter, aveva notato una perdita d'olio. Forse avrebbe dovuto prestarle una delle sue auto. Ne aveva parecchie parcheggiate nella rimessa.

Parker fece irruzione le garage, le scarpe da ginnastica che cigolavano sul pavimento di cemento. «Ciao, Daniel! Non sapevo che fossi qui. Sono appena tornato da casa del mio amico Benjamin.»

Sovrastato dall'energia che sprizzava da ogni poro del giovane Parker, Daniel si pulì le mani nello straccio. «Davvero?» chiese. Non aveva esperienza di bambini. Suo figlio, il suo Parker, era morto quando aveva appena tre mesi. Ricordava ancora la sua pelle morbida e profumata di talco, e il modo il cui le sue ciglia si abbassavano sulle guance quando stava per addormentarsi.

«La mia mamma sta facendo una minestra per pranzo, ma io non mangio perché ho già mangiato i maccheroni a casa di Ben.» Il ragazzo si strofinò la punta del naso. Aveva le guance rosse per il freddo. «Hai riparato la nostra macchina?»

«Sì, ma ci sono altre cose che non vanno.» Se suo figlio fosse stato ancora vivo, avrebbe avuto la stessa età di quello di Tracy.

«E riparerai anche quelle?»

«Sì, se tua madre è d'accordo. Dovrei portare a casa mia la vostra auto, però, perché là ho tutti gli attrezzi necessari.» Daniel cominciò a mettere in ordine, tanto per tenersi occupato. Parker aveva una ciocca di capelli ritta in testa, e Daniel provò l'istinto protettivo di sistemarla.

«Ehi, Daniel...»

«Sì?»

«Tu sai anche parlare la lingua Cherokee?»

Daniel cercò di non far trasparire il proprio disagio nel sentire quella domanda. «Parlavo il dialetto Kituwah, quando ero più giovane.»

«Koala?»

«No, Ki-tu-wah.»

«E te lo ricordi abbastanza per insegnarmelo?»

Lo ricordava, naturalmente. Non aveva dimenticato la sua lingua madre. Semplicemente aveva smesso di usarla. Incontrò lo sguardo speranzoso di Parker e si asciugò nuovamente le mani. Daniel non voleva essere l'eroe di nessuno, ma a quanto sembrava non aveva scelta. Non se la sentiva di spezzare le illusioni di Parker.

«Se prendi un foglio e una matita, ti faccio vedere subito l'alfabeto Cherokee.»

Il ragazzo volò fuori dal garage, i capelli e la giacca svolazzanti intorno alla sua figuretta minuta.

Fu di ritorno a tempo di record, esibendo orgoglioso un blocco e una matita. Daniel sedette sul pavimento accanto a Parker, e cominciò a disegnare i simboli. «È stato un uomo chiamato Sequoyah a inventare l'alfabeto Cherokee. Ci ha messo dodici anni per renderlo perfetto, ma non si è arreso. Qualcuno pensava che fosse matto, ma alla fine si è guadagnato il rispetto della tribù perché aveva insegnato loro il modo per comunicare in forma scritta.»

Continuò a spiegare i suoni della sua lingua, paragonandoli all'inglese. Parker lo ascoltava con la massima attenzione, quasi rapito. Incapace di resistere, Daniel gli accarezzò la nuca per abbassare il ciuffo ribelle.

Il ragazzino si mise a copiare l'alfabeto su un altro foglio. Il suo viso assunse un'espressione concentrata e compresa. Daniel sorrise.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché il bambino sventolò trionfante il foglio. «Vado a mostrarlo alla mamma! E anche al nonno.»

«Ma certo, vai pure.»

Rimasto solo, Daniel continuò a riordinare il garage. Era sorprendente, ma la lezione di Cherokee non l'aveva minimamente infastidito. Non l'aveva fatto sentire in colpa per le proprie origini, come invece gli era successo quando aveva avuto a che fare con i turisti nel Nord Carolina. Probabilmente era stato merito dell'espressione entusiasta e innocente negli occhi del ragazzo.

Prese la cassetta degli attrezzi e si diresse verso il furgone per sistemarla. Mentre la spingeva sotto il sedile, si chiese che tipo fosse il padre di Parker.

Il nonno paterno abitava alla porta accanto, ma... dov'era il padre del bambino?

Incuriosito, decise di chiedere a Tracy. Entrò in casa dalla porta sul retro, seguendo l'aroma di pomodoro, spezie e cipolla che aleggiava nell'aria.

La cucina era in muratura, con un ampio piano di lavoro in legno massiccio. Il tipo di ambiente che si immagina progettato per raccogliere la famiglia intorno a cene casalinghe. Il luogo in cui ci si racconta com'è andata la giornata e ci si sente più uniti.

Tracy era di fronte al lavello, intenta a versare la zuppa in una ciotola di rame. Aveva raccolto i capelli in un nodo sulla nuca, ma qualche ricciolo sfuggiva alla presa, scendendo sulle sue guance e sul collo.

Esitante, Daniel si fermò sulla soglia. Improvvisamente voleva qualcosa di più di una semplice conversazione. Immaginò di premere le labbra sul suo collo delicato. Riusciva quasi a sentire il sapore della sua pelle, lievemente salato. Il sapore dolce di una donna.

Lei si voltò e lo fissò negli occhi, ma un attimo dopo il suo sguardo si spostò verso la porta decorata.

Daniel guardò in alto, e si rese conto di essere finito in una situazione imbarazzante: c'era un rametto di vischio legato con un nastro d'oro che penzolava sulla sua testa.

Daniel rimase immobile sotto il vischio, e tutto quello che Tracy riuscì a pensare fu che desiderava disperatamente baciarlo. Era così selvaggio e mascolino, con i capelli legati in una coda di cavallo, i jeans sdruciti e quella maglietta logora.

«Ti va di unirti a noi per la cena?» gli chiese.

«Ma sì, grazie.» Sembrò felice di poter entrare nella cucina, spostandosi da sotto il vischio. Era alto e imponente, la sua presenza sembrò riempire la stanza.

«Siediti, sarà pronto in un minuto.»

«Prima vorrei lavarmi le mani.»

«Oh, sì... prego.» Si fece da parte, lasciando libero il lavello.

Mentre Daniel grattava via il grasso dalle mani, Tracy apparecchiò per lui, ricordando con delizioso senso di colpa quanto solido e forte fosse il suo corpo quando l'aveva abbracciata.

Tolse gli involtini dal forno e lui lasciò libero il lavello. L'aveva sognato di nuovo, nudo e color del bronzo che scivolava tra le sue cosce, gli addominali ben visibili sotto la pelle d'oro...

«Posso aiutarti?»

La zuppiera tintinnò, e lei si scottò quasi il polso. «Come? No, è tutto a posto.» Niente, era solo sovreccitata e travolta dalle sue fantasie erotiche.

Daniel sedette e Tracy servì la cena per entrambi e poi, con un respiro profondo, si mise a sedere di fronte a lui.

Rimasero a guardarsi in silenzio, incapaci di superare l'imbarazzo di un'intimità che diventava ogni minuto più pericolosa. Sorrise, e Tracy capì che stava cercando di rompere il ghiaccio. Ricambiò il sorriso con gratitudine.

«È davvero ottima» commentò lui, dopo aver assaggiato la minestra.

«Grazie. Mia madre faceva sempre delle zuppe squisite, in inverno. La considero quasi una tradizione di famiglia.»

«Sul serio?» Daniel condì l'insalata. «Vivono qui vicino?»

«No. Loro sono missionari, quindi viaggiano molto.»

Lui scosse la testa. «Avevo pensato che fossi cresciuta qui.»

«È così infatti. Mio padre era il parroco del paese. Hanno cominciato a fare i missionari solo quando io sono stata abbastanza grande.» Le mancavano i genitori, ma rispettava il loro desiderio di fare qualcosa di buono per il resto del mondo. «Mi telefonano spesso. E adorano Parker, naturalmente.»

Daniel sorrise di nuovo. «In effetti è davvero un bambino simpatico.»

«Sono felice che la pensi così.» L'orgoglio di madre le sciolse il cuore. Voleva che suo figlio destasse sempre una buona impressione sul prossimo, ma questa volta l'opinione di Daniel contava più del solito. «È andato a far vedere a Tom quello che gli hai insegnato. Sei stato gentile a dedicargli del tempo. So che eri già occupato con la macchina e tutto il resto.»

«Come ti ho detto, è un gran ragazzino.» Versò l'acqua nei loro bicchieri. «È molto affezionato a Tom, vero?»

Tracy annuì. «Tom è un nonno fantastico. Non so che cosa farei senza di lui, specialmente dal momento che i miei genitori non vivono più qui.»

«Che ne è del padre di Parker?»

Il suo stomaco si contrasse immediatamente, nell'udire quella domanda. «Che... che cosa intendi?»

«Lui e Parker si frequentano spesso? Sono affezionati l'uno all'altro? Parker non ne parla mai.»

«No.» Tracy posò il cucchiaio sulla tavola come in segno di resa. «Bradley Calhoun ha lasciato la città quando lui aveva appena un anno.»

Daniel spalancò gli occhi per lo stupore. «Vuoi dire che se n'è semplicemente andato?»

«Già» confermò Tracy, sperando di non dovergli raccontare anche la triste storia del suo matrimonio.

Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:04
Capitolo 5
Tracy si servì l'insalata. «Siamo usciti insieme per anni» continuò lasciandosi quasi inconsciamente andare al racconto della sua relazione con Brad. «Eravamo molto giovani e... non abbiamo mai parlato di avere un futuro insieme. Quando sono rimasta incinta, lui rimase sconvolto. Mi ha sposato solo perché Tom l'ha costretto a prendersi le sue responsabilità.»

«L'hai più sentito, da allora?»

«Una volta, quando mi ha annunciato che voleva il divorzio...»

«Ah... mi dispiace.»

Tracy non riuscì a trattenere una smorfia. «Non lo amavo quanto avrei dovuto, ma ho desiderato davvero che la nostra storia funzionasse. Avrei voluto che il nostro rapporto fosse speciale.»

Daniel la guardò con simpatia. «Molti si sposano per il bene di un bambino, ma non sempre si rivela è un motivo sufficiente.»

«Io pensavo che per me sarebbe stato diverso.» Aveva cercato di convincersi che Brad fosse il grande amore della sua vita, anche se il cuore le aveva sempre detto che non era così. Ricordava ancora quando ingenuamente credeva che un figlio li avrebbe avvicinati. Invece la loro vita insieme era diventata ancora più stressante, dopo la nascita di Parker, e Brad non era quasi mai stato in grado di gestire una moglie, un bambino e i doveri che questa scelta comportava.

«Il matrimonio è stato un fallimento fin dall'inizio, ma spero ancora che le cose cambino... soprattutto per Parker. Brad non ha il diritto di abbandonarlo.»

Daniel smise di mangiare. «Parker ti chiede di suo padre?»

«Lo faceva una volta, ma ora si è rassegnato non più. Aveva solo un anno, per cui non ha alcun ricordo che possa farlo sentire triste. Forse proverà rabbia nei suoi confronti quando sarà adolescente, ma ci penserò in quel momento a come affrontare la situazione.» Prese un involtino e cominciò a tagliarlo, per tenersi occupata.

«Tom è quello che ha dovuto affrontare più problemi. Avrebbe voluto che suo figlio fosse più simile a lui, che apprezzasse le cose semplici. Ma Brad non era felice qui, non sopportava la vita di una cittadina provinciale. Discutevano continuamente, la lite peggiore è stata quando Brad se n'è andato.»

«E non hanno mai fatto pace?»

«No. È vero che, a volte, Tom era troppo duro con suo figlio, ma penso che Brad abbia ancora più torto per come ha trattato suo padre. Essere costretto a sposarmi non ha migliorato la situazione.»

Il silenzio scese nella cucina. Daniel scivolò in avanti sulla sedia e Tracy sentì il suo piede sfiorare il proprio sotto la tavola. Evitando il suo sguardo, si ritrasse in fretta e afferrò la saliera con espressione tesa.

«Ho detto qualcosa che ti ha ferito?» chiese. Aveva aperto troppo in fretta il suo armadio pieno di scheletri?

«Non voglio che pensi che io sia come Brad.»

Il suo cuore cominciò a battere più in fretta. «Perché dovrei?»

«Perché nemmeno io frequento mio padre. Non gli parlo praticamente da sedici anni.»

«Oh...» Lei era senza parole. Si sporse un po' in avanti. «È un periodo... lungo.» Troppo lungo, pensò.

«Per quali motivi non vedi più tuo padre?» gli chiese, ancora scossa dallo strano parallelismo tra il suo ex marito e Daniel Crow.

Daniel accarezzò distrattamente la saliera. «Sono cresciuto in una riserva indiana» confessò vedendo l'espressione scossa di Tracy. «Si chiama Qualla Boundary. Sono circa cinquantaseimila acri dalle parti delle Great Smoky Mountains.» Non era facile per lui trovare le parole adatte a descrivere il mondo primitivo da cui proveniva.

«E non ti piaceva vivere là?»

Lui scoppiò a ridere. Era una risata priva di allegria. «Lo odiavo. Mio padre è quello che si dice un indiano Cherokee tradizionale. Mi ha allevato ben lontano dalla civiltà. Tutto doveva essere fatto secondo lo stile degli Cherokee. Non c'era spazio per nessun comfort moderno, nella nostra vita.»

Tracy gli porse l'insalata. «E tua madre? Sei stato lontano anche da lei per tutti questi anni?»

«Purtroppo lei morì di polmonite quando ero ancora piccolo. Ricordo mio padre che svolgeva la cerimonia funebre per lei, cospargendosi il capo di cenere e bruciando i suoi resti. Tutto mi sembra così lontano, adesso... Quando ci siamo purificati nel fiume, io ho pianto. Non riuscivo a credere che se ne fosse andata per sempre.»

Tracy lo fissò. «Mi dispiace.»

«Anche a me.» Per quanti anni aveva anelato al tocco materno di una donna che lo tenesse stretto, consolandolo? «Le mie zie ci hanno aiutati, ma ovviamente non era la stessa cosa. Erano più vecchie, quasi delle nonne. Però almeno non erano tradizionaliste come mio padre.»

«Quindi non tutti vivono alla vecchia maniera, nella riserva?»

«No. Qualcuno ha costruito delle case abbastanza moderne, altri sono andati al College.» Bevve un altro sorso d'acqua. «All'epoca io e mio padre avevamo a malapena di che vivere, e dovevamo fare affidamento sul turismo, per mangiare. Quello che mi pesava di più, però, era il comportamento di papà. Era un artigiano dannatamente bravo, ma non voleva vendere i suoi gioielli al negozio di souvenir locale. Era molto umiliante, per me, essere costretto a intrecciare perline e dipingere magliette per procurarmi il pasto della giornata.»

Tracy annuì. «Suppongo avrete discusso tra voi di questo.»

«Quanto più cercavo di fargli capire che volevo lasciare la riserva, tanto più si arrabbiava. Questa è la tua terra natale, mi diceva. Questo è il posto a cui appartieni. Gli indiani Cherokee sono discendenti di coloro che si sono nascosti nel cuore delle montagne pur di non essere costretti ad abbandonare la loro terra.»

«È un'eredità importante, Daniel.»

«Lo so.» Un'espressione strana apparve per un attimo sul suo viso, l'ombra di un senso di colpa. «Ma io avevo il diritto di trovare la mia strada. Avrei voluto che mio padre capisse, che mi sostenesse, ma non l'ha mai fatto.»

«Così te ne sei andato?»

«Ma non prima di un ultimo grandioso litigio. E non senza rinunciare alla mia eredità, come la chiami tu.»

Tracy aggrottò la fronte. «Dove sei andato?»

«Nel Sud Carolina, a Charleston. Avevo diciotto anni ed ero deciso a diventare ricco. È diventato l'obiettivo della mia vita.»

Distolse lo sguardo da Tracy, incapace di parlarle del resto della sua vita, della moglie e del figlio che aveva sepolti. Daniel non voleva ammettere quanto si sentiva perso e disperato quando si era rinchiuso tra le pareti stregate di Orchid House.
Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:05
Capitolo 6
Il pomeriggio del giorno dopo, Tracy camminava dietro a Daniel e Parker verso l'ingresso principale di Orchid House. C'era un vento gelido e tagliente che sferzava i cespugli a lato del sentiero.

«Il proprietario originale era un baronetto» spiegò Daniel. «Costruì questa tenuta per la moglie, una gentildonna del Sud. Ma suppongo che voi lo sappiate già.»

Tracy infilò le mani nelle tasche della giacca per scaldarle. «Mi fa piacere sentire di nuovo questa storia» ammise chiedendosi per quale motivo Daniel avesse scelto una residenza così isolata.

Le voci su di lui erano vere? Teneva davvero una stanza chiusa al secondo piano di Orchid House, dove neppure la donna delle pulizie poteva mettere piede? Suppose che trascorresse ore isolato in quella stanza, chiudendo fuori il resto del mondo.

Si fermarono davanti a un cancello di ferro battuto, e Parker guardò in su. «Chi vive qui?»

«Nessuno, queste sono le vecchie scuderie. Un tempo ci tenevano i cavalli e le carrozze.»

«Perché ci sono tanti piani?»

«Serviva anche da residenza per gli stallieri. Però ho fatto ristrutturare l'edificio e ora lo uso come laboratorio e garage.»

Quello era il motivo per cui si trovavano lì. Daniel le aveva offerto di prestarle una delle sue auto. Anche se aveva ceduto l'attività, gli era rimasta la passione per le macchine, tanto che ora le collezionava. Un modo costoso per passare il tempo, rifletté rabbrividendo dal freddo sotto il cappuccio.

Entrarono attraverso le porte di legno verniciate di fresco e Parker trattenne il fiato. «Guarda, mamma. guarda quante macchine!»

Già, pensò Tracy incespicando. Le auto di Daniel erano splendenti e curate alla perfezione. Ogni esemplare era parcheggiato su una pedana di vinile bianco e nero, e l'ambiente sembrava una mostra d'auto d'epoca.

«Non vorrai prestarmi una di queste, vero?» Non riusciva neppure a immaginarsi di poter accettare in prestito qualcosa di tanto costoso e stravagante.

«Ma certo.» Si avvicinò a una Camaro rossa, la cui vernice era lucidata fino a scintillare. «Questa è uguale alla tua.»

«Non posso guidarla.»

«E perché.?»

«Già, perché no mamma?»

Tracy lanciò un'occhiata al figlio che aveva appena ripetuto la domanda di Daniel. «Perchè» spiegò a entrambi, «è troppo bella. Cosa succederà, se la graffio o la rovino?»

«Una bella signora deve guidare una bella auto» replicò Daniel. «Per di più si tratta di pochi giorni, il tempo necessario per riparare la vostra.»

Lei scosse la testa. «Apprezzo la tua generosità, ma hai fatto abbastanza. Mi arrangerò da sola per questo breve periodo.»

«Lascia che lo faccia per te» insistette Daniel gentilmente.

Lei lo guardò negli occhi e comprese che le stava offrendo più che una macchina. Voleva che lei avesse bisogno del suo aiuto, di lui, anche se per una cosa piccola come quella.

«Va bene» disse alla fine accettando il prestito.

«Bene» sorrise Daniel.

Tracy sapeva che non avrebbe dovuto permettere a se stessa di diventare così intima con Daniel Crow, perché l'attrazione che provava per lui poteva diventare pericolosa, ma non riusciva a stargli lontana. Era troppo carismatico, troppo affascinante e magnetico per resistere.

Chiuse gli occhi. Che cosa stava facendo, sperava di legarlo a sé? Un uomo che aveva lasciato tutto il suo passato alle spalle, che portava il fardello di problemi così profondi e laceranti? Non aveva speranza, eppure si stava comportando come una sciocca.

Daniel si sfregò le mani. «Torniamo verso casa, così ve la mostro nei minimi particolari.»

Camminarono in silenzio, ma Tracy credeva di avvertire il sussurro di voci nel vento. Quali segreti erano custoditi tra le mura massicce di Orchid House? E perché Daniel trascorreva ore chiuso in una stanza misteriosa?

Ebbe un attimo di esitazione avvicinandosi alla porta principale. Una volta attraversata la soglia, non avrebbe potuto tornare indietro: sarebbe entrata nel mondo di voci, fantasmi e misteri di Daniel.



La casa era grande, in ogni suo dettaglio si respirava lusso e opulenza. Nell'ingresso nasceva la gigantesca scalinata di marmo, e le finestre erano schermate da pesanti tendaggi di velluto. C'era un caminetto dalla cornice intagliata, mentre l'arredamento era composto da mobili massicci e chiaramente antichi.

Daniel non li invitò al secondo piano, ma li condusse al primo. La casa era in stile vecchio Sud anche all'interno, compresa una pittoresca veranda. Era piuttosto strano per Tracy, ma Daniel le spiegò che la moglie del primo proprietario era del Missisippi e ne sentiva la mancanza.

Si accomodarono nella veranda, godendosi la vista del giardino e del bosco. La foresta cominciava proprio in fondo al prato ben curato, e si estendeva a perdita d'occhio lungo la collina. Si chiese se davvero Daniel facesse delle passeggiate da solo al chiaro di luna, come aveva sentito dire in paese. Girava una serie infinita di pettegolezzi sul suo conto, alimentati dall'aura di mistero che lo avvolgeva.

«Avete freddo?» chiese lui interrompendo i suoi pensieri. «Possiamo andare dentro e farci una tazza di cioccolato.»

«Certo, buona idea!» approvò Tracy, sapendo che Parker avrebbe apprezzato.

Lo seguirono in cucina, che era grande e arredata con mobili antichi in stile con il resto della casa.

Daniel preparò tre tazze di cioccolata istantanea, mentre Tracy studiava l'espressione di suo figlio. Il ragazzino aveva osservato attentamente ogni dettaglio della casa: ogni candelabro, ogni divano rivestito di broccato, ogni cornice di marmo intarsiato.

«Fai mai le scivolate lungo i corrimano?» chiese poi a Daniel.

«No, non ho mai provato.»

«E cosa fai qui da solo tutto il giorno?»

«Non preoccuparti amico mio, ho un sacco di cose che mi tengono occupato!»

Tracy guardò il vapore che usciva dalla sua tazza. «È una casa. incredibile» commentò cercando di non pensare alla stanza sigillata. Daniel sembrava ancora più elusivo, ora che si trovava in casa propria, soprattutto sulla storia della donna di servizio. «Le decorazioni e l'arredamento sono magnifici, veramente raffinati.»

«Grazie.» rispose Daniel. «Ma non è merito mio. Ho comprato la casa già arredata. Era già tutto disposto come lo vedi ora.»

Erano seduti intorno a un grande tavolo di quercia, il cui piano portava i segni di secoli d'uso quotidiano. Tracy immaginò che fosse il tavolo dove i servi di Orchid House consumavano i loro pasti. All'epoca della costruzione, ovviamente, non veniva chiamata Orchid House. Il nome era venuto più tardi, insieme ai fantasmi.

Tracy non era certa di credere che la casa fosse davvero infestata. Nessuno aveva mai visto gli spettri e forse il profumo di fiori era solo uno scherzo della sua immaginazione.

Si diceva che i fantasmi fossero le figlie del baronetto e della sua bella moglie. La leggenda narrava che fossero due splendide fanciulle, leggiadre e corteggiate da tutta la buona società dell'epoca. Tuttavia avevano rifiutato tutti i pretendenti, convinte di non aver mai trovato quello giusto. Non riusciva a immaginarle sotto forma di spettri inquieti che vagavano per quelle stanze dove un tempo avevano ballato.

Quando si voltò, vide che Daniel la stava osservando.

«A che cosa pensi?» le chiese.

«A nulla» rispose lei, la mente ancora rivolta alle orchidee. Le due sorelle erano state appassionate coltivatrici di quei fiori rari, e avevano persino ottenuto una varietà chiamata signora della notte, dal profumo squisito che si sprigionava nelle ore notturne.

In quell'istante Tracy comprese perché le due sorelle avessero atteso per tutta la vita l'uomo dei loro sogni. Lei aveva sposato l'uomo sbagliato, ma quell'esperienza le aveva insegnato che cosa davvero volesse. L'attrazione, il desiderio, la passione e l'intimità che si raggiungono solo quando ci si innamora perdutamente di una persona.

E sapeva chi poteva darle tutto questo. Quell'uomo, però, era quasi un estraneo che lei conosceva a malapena.

Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:06
Capitolo 7
Daniel avrebbe voluto poter leggere nella sua mente. Era così graziosa in quel momento, sembrava quasi una principessa delle favole che sogna del suo Principe Azzurro. I riccioli color rame erano sciolti sulle sue spalle, e un maglioncino di lana evidenziava le curve del suo corpo minuto. Aveva le guance arrossate dal freddo e le sue labbra erano di un tenero rosso corallo.

Lei sollevò lo sguardo e la cucina improvvisamente divenne silenziosa come l'atmosfera di un convento di clausura. Sentiva quanto la desiderava? Ogni mattina si svegliava nel grande letto solitario, il pensiero rivolto a lei.

Tracy si inumidì le labbra con la punta della lingua e lui fece un movimento verso di lei. Se l'avesse baciata, si sarebbe riscossa da quella trance o avrebbe trascinato anche lui in quel sogno così sensuale?

«Ehi, perché vi state guardando in quel modo?»

Daniel e Tracy sobbalzarono. Avevano quasi dimenticato che il piccolo Parker era con loro.

«Non ci stavamo guardando!» negò subito Tracy imbarazzata, scostando un ricciolo dalla guancia.

«Sì, invece!»

«Be'... allora non ce ne siamo resi conto. Qualche volta capita, agli adulti.»

«Oh.pensavo che faceste il gioco di chi batte per primo le palpebre.»

Entrambi sorrisero, e il momento di imbarazzo scivolò via.

«Che ne dite di fare merenda? Posso preparare qualche panino...» propose Daniela alzandosi.

«Grandioso!» Parker lo raggiunse per controllare il contenuto del frigorifero.

Prepararono dei sostanziosi sandwiches con prosciutto e formaggio, maionese e fettine di pomodoro. Il ragazzino si divertiva un mondo, e con sua sorpresa anche Daniel si accorse che si stava divertendo. Gli piaceva essere in compagnia e vedere la cucina sprizzare vita.

«Ehi Daniel...» Parker leccò un po' di maionese dal dito, ricevendo un tovagliolo dalla madre.

«Che c'è?»

«Posso chiederti una cosa?»

«Certo, quello che vuoi.»

Il bambino prese una manciata di patatine fritte dal sacchetto e lo sistemò nel suo piatto. «Perché non hai un albero di Natale?»

Le ginocchia di Daniel tremarono all'istante. Si afferrò al bordo del tavolo nel tentativo di controllare l'emozione.

Natale sarebbe arrivato fra poche settimane. Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Ho intenzione di comprarne uno. Oppure: non ho avuto tempo di procurarmelo?

Guardò Parker con la coda dell'occhio. Come poteva mentire a un ragazzino di sei anni, che lo stava fissando con occhi innocenti, un ciuffo di capelli dritti sulla nuca? Parker non aveva voluto tendergli un tranello, aveva solo espresso una curiosità infantile.

«Io vivo da solo» gli spiegò quindi in tono gentile. «Quindi non ho bisogno di un albero.»

«Ma questo non significa nulla. Anche il nonno vive da solo ma ha un albero di Natale.»

Tuo nonno, però, non ha perso la moglie e il figlio cinque giorni prima di Natale, pensò Daniel con rabbia. Tuo nonno non è rientrato da un viaggio di lavoro e ha trovato la casa bruciata e la famiglia distrutta.

«Io e la mamma possiamo andare a prenderti un albero, se vuoi» insistette Parker. «E possiamo aiutarti a decorarlo. Vero, mamma?»

«Sì» rispose Tracy. La sua voce risuonò dolce e piena di partecipazione. «Se Daniel è d'accordo.»

«È un'offerta molto gentile, ma credo che rifiuterò.» Fece un respiro profondo, cercando una scusa che soddisfacesse il giovane Parker. «Babbo Natale non verrà a casa mia.»

«Perché? Sei stato cattivo?»

Sì, pensò, ma non poteva spiegargli per quale motivo. «Non ho chiesto nessun regalo, quest'anno.»

«Ma Natale non è solo per i regali. È una festa della famiglia e degli amici. Prendi un albero, Daniel, così capirai quello che ti ho detto.»

«Lo pensi davvero?» gli chiese per non deluderlo. Dentro di sé si domandò se il bambino che portava il nome di suo figlio avesse ragione. Se sarebbe stato realmente così facile trovare la pace anche a Natale.

***

Due settimane dopo Tracy restituì l'auto di Daniel. Si recò a Orchid House e trovò la sua Camaro parcheggiata sulla strada.

«Santo cielo!» esclamò piacevolmente turbata. Il suo vecchio catorcio scintillava letteralmente. Che cosa gli aveva fatto? Sicuramente non si era limitato a riparare una piccola perdita d'olio.

Daniel le venne incontro sorridendo, e lei sentì le ginocchia diventare improvvisamente deboli. Aveva i capelli umidi come se fosse appena uscito dalla doccia, e li aveva pettinati all'indietro. I suoi lineamenti forti risaltavano, gli occhi splendevano come carboni ardenti.

Teneva le mani infilate nelle tasche del giubbotto, mentre i jeans gli fasciavano i fianchi snelli. Era assolutamente, incredibilmente sexy... considerò Tracy provando un lungo brivido di desiderio.

«La mia macchina sembra nuova» commentò ancora estasiata.

Lui si avvicinò di qualche passo. «È incredibile cosa possa fare una buona passata di cera, vero?»

«Ma... come hai fatto a rendere così splendenti anche i paraurti?» Di solito erano coperti di fango.

«Semplice, li ho sostituiti.»

Tracy scosse la testa, incredula e divertita. «Non avresti dovuto.»

«Mi ha fatto piacere, invece. Ho un sacco di ricambi in garage, non è stato complicato.»

«Per me lo è, invece. Adesso non so come ringraziarti.» Avrebbe voluto abbracciarlo, ma lui aveva ancora le mani affondate in tasca.

«Ho riparato anche l'impianto di riscaldamento» aggiunse Daniel guardando l'auto. «Accidenti, Tracy, si gelava lì dentro! Avresti dovuto dirmi che non funzionava.»

«Non ci ho pensato.»

Il mese di dicembre era freddo e nebbioso, ma Tracy se n'era accorta a malapena. Aveva altri pensieri in testa. Sentiva che si stava innamorando di Daniel Crow, che stava perdendo la testa per un uomo che le sembrava perennemente in fuga.

Non aveva senso fingere che quei sentimenti non esistessero. Non l'aveva sognato fin dalla prima notte dopo il loro incontro? E non provava un desiderio travolgente ogni volta che lo incontrava? Le era entrato nel sangue, era parte di lei.

Perché proprio lui? si chiese. Perché quest'uomo complicato e tormentato?

Daniel mosse nervosamente i piedi sul selciato. «Ho un albero di Natale.»

Tracy lo fissò in silenzio per qualche attimo, stupefatta. «Sul serio?»

«Sì! Ne ho comprato uno con le radici e già addobbato, così non ho dovuto impazzire con le luci e le palline. Lo pianterò in giardino dopo l'Epifania.»

«Posso vederlo?» gli chiese istintivamente lei. Avrebbe voluto trovare il coraggio per confessargli i sentimenti che provava per lui, ma ancora non ce la faceva.

«Certo. Be', comunque è molto piccolo.»

Entrarono in casa e lui la condusse nel salotto, una stanza ampia e accogliente, traboccante di ricchi broccati e legni intarsiati.

L'albero era posato su un tavolino di mogano, e gli ornamenti scintillavano contro il verde scuro degli aghi. C'era un fresco profumo di resina nell'aria, e Tracy decise che era l'abete più perfetto del mondo, specialmente perché era stato suo figlio Parker a convincere Daniel a procurarsene uno.

L'albero completava la vecchia dimora. Sarebbe cresciuto indisturbato nel giardino, stagliandosi contro il cielo azzurro.

«Non posso credere che la gente pensi che Orchid House sia stregata.» Si guardò intorno, rapita. «È troppo bella per i fantasmi.»

Riusciva quasi a immaginare di vivere lì con Daniel, accoccolata tra le sue braccia nelle lunghe notti invernali. Avrebbero fatto lunghe passeggiate nella bella stagione. Avrebbero cresciuto insieme Parker, nell'amore di una vera famiglia.

Quando guardò Daniel, il suo cuore si fermò per un attimo. Il suo viso era serio, e dall'espressione dei suoi occhi sembrava lontano mille chilometri da lei.

«Tracy.» mormorò in uno strano tono tranquillo. «È arrivato il momento che ti racconti di mia moglie e di mio figlio.»
Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:06
Capitolo 8
«Sei sposato?» Tracy era sconvolta. «E hai un figlio?»

«No.» Daniel scosse la testa, pregando di riuscire a scacciare quei ricordi dolorosi che lo perseguitavano. «Sono.» Vedovo, provò a dire fra sé, anche se odiava quella parola. «Mia moglie e mio figlio sono morti sei anni fa, pochi giorni prima di Natale.»

«Oh, mio Dio! Mi dispiace, mi dispiace tanto.»

Cercò di prendere la mano di Daniel, ma lui arretrò. Non aveva lasciato che nessuno lo consolasse allora e non avrebbe permesso che Tracy lo compiangesse ora. Se gli fosse venuta troppo vicina, non sarebbe riuscito a resistere alla tentazione di abbracciarla, baciarla, coprirla di carezze.

E al desiderio di far l'amore con lei, appassionatamente e senza limiti. Ecco quello che voleva da Tracy, ma lei meritava più che semplice sesso.

«Mia moglie si chiamava Clarissa» continuò. «Era di Charleston. Una giovane bellissima debuttante della buona società del Sud. Non avevamo assolutamente nulla in comune.»

Si tolse la giacca e la appese a una sedia. «Nulla. A parte una attrazione così potente che aveva dell'incredibile.» Aveva voluto Clarissa dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lei. «Qualcuno pensava che io fossi troppo diverso, che non appartenessi al suo mondo. Certo, ero un miliardario, ma non vantavo una solida tradizione di potere e denaro. Ero un arricchito, ai loro occhi.»

Tracy si lasciò sfuggire un sospiro e sedette su una sedia in stile Luigi XVI. Daniel la contemplò per un attimo, pensando che i suoi abiti semplici e i riccioli rossi formavano un contrasto delizioso con i ricchi broccati e l'arredamento prezioso della casa. Sentiva la stessa straordinaria attrazione verso di lei, e la forza del proprio desiderio lo confondeva. Tracy era molto diversa da sua moglie.

«Era così importante che tu non fossi ricco di nascita?» chiese Tracy.

«Non lo era per Clarissa, ma si rivelò un problema con i suoi genitori. Non ero certo il marito che avevano sognato per la loro adorata figlia. Per loro ero solo un indiano pellerossa che veniva da una riserva.»

Aveva fatto di tutto per cambiare quello stereotipo, quel marchio che si trascinava dietro fin dall'infanzia. «Però Clarissa mi ha sposato lo stesso, e abbiamo comprato una casa nel centro storico.» Si guardò intorno. «Somigliava molto a questa.»

«Capisco» mormorò Tracy, rendendosi conto di quanto Orchid House doveva averlo affascinato.

«Non era abbastanza.» Daniel fece una smorfia guardando l'albero di Natale. «Dovevo dimostrare ai suoi genitori che il mio background - come si usa dire adesso - non era importante, ma l'unico modo era rendermi superiore a loro. Se avessi avuto più soldi di loro, insomma, avrebbero dovuto rispettarmi.»

Fece una breve quanto amara risata. «Avresti dovuto vedermi: capelli corti, abiti firmati, gomito a gomito con la migliore società di Charleston. Io amavo mia moglie, più di quanto tu possa immaginare, ma appartenere al suo mondo divenne una vera e propria ossessione.»

«E Clarissa ti ricambiava?»

«Sì.» Gli occorse tutta la sua volontà per scacciare il dolore che lo opprimeva come un peso sul petto. «Ma non capiva perché fossi così deciso a dimostrare chi fossi a quella gente.»

«E alla fine i suoi genitori ti hanno accettato?»

«No. Neppure quando è nato il nostro bambino. Gli volevano bene, ovviamente, perché era loro nipote, ma non sopportavano l'idea che fosse di sangue misto. Non importava che non avessi intenzione di parlargli del suo DNA Cherokee. Era proprio quella metà di sangue indiano che non riuscivano a mandare giù.» Daniel dovette fermarsi per impedire alla propria voce di tremare. «Si chiamava Parker. Il nome che avevamo dato a mio figlio era Parker.»

«Oh.Oh mio.» Tracy si portò una mano al petto. «Non so che cosa dire, sembra più di una coincidenza, ma non può essere.»

Lo guardò sconvolta, e Daniel avrebbe voluto abbracciarla, perdersi nella sua dolcezza. Era così buona e pura, così diversa da lui. Daniel si era sporcato per sempre con l'avidità e l'egoismo.

«Parker aveva solo tre mesi.» Chiuse gli occhi. «Non avrebbe dovuto succedere. Mia moglie e mio figlio non dovevano morire in quella casa.»

Tracy lo stava guardando con quegli occhi così innocenti, e Daniel sentì di doverle dire tutta la verità. Ammettere quello che lo tormentava da allora, avvelenando ogni istante della sua vita.

«E' stata colpa mia» disse. «Clarissa e Parker sono morti per colpa mia.»

«Non dirlo neppure per scherzo.» Tracy non poteva credere che Daniel fosse responsabile per la morte della sua famiglia.

«Sì, invece!» Guardò l'albero. «Clarissa mi aveva chiesto di non andare. Eravamo vicini al Natale e non capiva perché per me contasse di più una transazione d'affari rispetto alla nostra famiglia.» Si passò una mano tra i capelli. «Ma non l'ho ascoltata... solo perché non volevo rinunciare a un grosso guadagno. Per me era sempre tutto una questione di soldi.»

«Stavi tentando di farti accettare» lo difese Tracy. «Forse ci provavi nel modo sbagliato, ma eri confuso e ferito dal modo in cui i genitori di Clarissa ti trattavano.»

Non riusciva neppure a immaginare che cosa sarebbe successo a lei se per tutta la vita avesse dovuto vergognarsi di chi era o da dove veniva. E ancor meno poteva concepire di essere respinta dai suoi stessi suoceri. «Non eri presente quando tua moglie e tuo figlio sono morti. Non hai certo appiccato tu l'incendio.»

«Se fossi stato lì, forse avrei potuto salvarli.»

«O forse saresti morto anche tu.»

«Almeno non sarebbero stati da soli...» Si lasciò sfuggire un breve gemito. «Clarissa aveva la passione delle candele. Ne accendeva sempre la sera per profumare l'aria. Ma quella notte deve aver dimenticato di spegnerle, e forse una si è rovesciata, appiccando il fuoco a tutta la casa.»

Stese una mano e sfiorò un ramo dell'alberello. Tracy vedeva il dolore nel suo cuore, il rimpianto e la solitudine. Con quell'espressione distante negli occhi e i vestiti logori sembrava un fuggitivo che si nascondeva dal resto del mondo. E in effetti era proprio ciò che era.

«È tempo che tu ti dia pace, Daniel. Smetti di biasimare te stesso.»

«Non so. Non so some fare.»

Tracy osservò il modo gentile con cui toccava l'albero, facendo attenzione agli ornamenti.

«Stai guarendo.»

Daniel le lanciò un'occhiata e lei sentì l'impulso di andare verso di lui, cingere la sua vita con le braccia e posare la testa sulla sua spalla. Era così grande e forte, e così vulnerabile.

«Che cosa intendi dire?»

«Hai comprato un albero. Un albero vivo, che potrà crescere, che potrai nutrire per sempre.»

«L'ho comprato per te e per tuo figlio.»

«Allora noi siamo parte della tua guarigione» gli disse commossa. Voleva far parte della vita di Daniel, essere la sua amica, la sua compagna, la sua amante. Ma non era il momento adatto per dirglielo, non ora mentre piangeva ancora la perdita di sua moglie e del figlio. «Ma questo albero è anche per Clarissa e per Parker. Puoi piantarlo per loro.»

«Grazie» rispose lui semplicemente. La sua voce era calma.

Rimasero entrambi in silenzio a guardare l'albero. Tracy lo immaginò di nuovo alto e diritto che si stagliava contro il cielo azzurro.

Gli alberi avevano il potere di regalare la pace a Daniel. Tracy fu colpita da questa rivelazione istintiva. Il bosco circondava la sua casa. Forse quei tronchi snelli color argento avevano il potere di far udire il loro richiamo alle sue orecchie sensibili? Lo chiamavano fuori la notte quando non riusciva a dormire?

«Le voci che girano sul tuo conto sono vere? Vai davvero a fare delle passeggiate al chiaro di luna?»

«Qualche volta. La foresta sembra ancora più magica la notte.»

Sì, pensò. Riusciva a immaginarlo mentre camminava nella nebbia, il sentiero illuminato dalla luna e i capelli cosparsi di minuscole gocce di rugiada.

«Parlami di questa casa. Pensi anche tu che sia stregata?»

«Non nel modo che la gente pensa.» Le tese la mano. «Vieni con me. Voglio farti vedere una cosa.»

Lei si alzò e lasciò che la prendesse per mano. Sapeva che stava per mostrarle il secondo piano della casa, la stanza misteriosa che teneva chiusa.

Salirono lungo l'imponente scalinata e si ritrovarono al secondo piano. Daniel le teneva la mano e lei sentiva il calore del suo corpo trasmettersi al proprio.

Il secondo piano di Orchid House era arredato in uno stile più moderno, fine Ottocento. Oltrepassarono camere da letto dai pesanti cassettoni scuri e si fermarono di fronte all'unica porta ancora chiusa.

Daniel prese una chiave dalla tasca e il cuore di Tracy accelerò i suoi battiti.

Quando entrarono nella grande stanza, vide un ampio tavolo da lavoro coperto di pennelli e colori e tutte le attrezzature necessarie a un pittore.

C'era un cavalletto coperto da un telo bianco.

«Dipingi?» chiese a Daniel.

Lui annuì. «Lo facevo da giovane, poi avevo smesso. Ho ricominciato da quando mi sono trasferito qui.»

«È stata Orchid House a ispirarti?»

Daniel annuì di nuovo, e nei suoi occhi c'era una strana espressione intensa. «Ora voglio che tu veda i fantasmi.»

Tolse con cura il drappo che copriva il cavalletto, e Tracy sobbalzò.
Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:07
Capitolo 9
Angeli. Sulla tela erano dipinti due angeli.

Daniel aveva dipinto due gloriosi arcangeli, le ali spiegate in tutta la potenza del volo, la braccia cariche di orchidee candide.

«Sono meravigliosi.» Erano così reali, e allo stesso tempo così eterei. Avevano entrambi lunghi capelli fluttuanti e occhi blu come un cielo d'estate.

«Ho comprato la casa perché mi ricordava quella dove avevo vissuto con Clarissa. Ma volevo anche affrontare i fantasmi che dicevano la infestassero. Volevo chiudermi qui con loro.»

«Ma i fantasmi alla fine si sono rivelati essere angeli.» Lui viveva con due creature celestiali?

«Non li ho mai veramente visti» disse Daniel. «Ma li sento. sento la loro presenza, la loro aura. Li ho dipinti come immagino possano essere.»

«Ho anche sentito il profumo delle orchidee, la sera che ci siamo baciati» mormorò Tracy. «I fiori che si chiamano Signora della Notte. Hanno quei fiori tra le braccia?»

«Sì.»

Daniel coprì il quadro e prese la mano di Tracy. Senza parlare la condusse fuori dalla stanza e si fermò per contemplare il suo viso.

Lei sapeva che cosa significasse quell'istante. Sarebbe stato fondamentale per il resto della loro vita. Lei e Daniel dovevano decidere se le loro strade si sarebbero separate o se sarebbero diventati amanti. L'attrazione tra loro era troppo forte perché potessero restare sul piano di una semplice amicizia.

Si mosse per prima, avvicinando la guancia alla sua pelle color bronzo. «Ti voglio...» sussurrò.

Lui la guardò negli occhi. «Se lo facciamo, non posso prometterti nulla. Non sono pronto a prendermi un impegno.»

Ma lo sarai presto, pensò lei. Gli angeli avrebbero guarito la sua anima, e Daniel avrebbe ripreso a vivere.

Si slacciò la camicetta, offrendosi all'uomo che amava. Lui la guardava, gli occhi scuri e ipnotici, e nell'attimo in cui si tolse il reggiseno le sorrise.

«Verresti con me nella mia camera, dolce Tracy?»

«Sì, sì.»

Il letto a quattro colonne era coperto da un copriletto verde smeraldo, e la finestra spalancata faceva entrare l'aria fredda e profumata di resina.

Daniel chiuse i vetri e prese la bustina argentata dal cassetto. «Li ho comprati il giorno che ho incontrato te. In quel momento sembrava sbagliato, ma tu mi hai fatto capire che non posso restare solo per sempre. È stato il mio modo per dire a me stesso che avevo bisogno d'amore.»

«Capisco» sussurrò Tracy, lieta della sua sincerità. «Sono felice di essere io la tua prescelta.»

Si accarezzarono a vicenda davanti al grande letto di mogano. Lui le passò le mani calde sulla schiena e chinò la testa per baciarle i seni. Tracy gli passò le dita tra i capelli, guidando le sue labbra verso i capezzoli eretti.

Sapeva che su stava finalmente compiendo il suo destino. Lui era l'uomo che aspettava da tutta la vita. Sussurrò il suo nome, mentre Daniel la spogliava completamente con gesti lenti e sensuali.

Quando si inginocchiò di fronte a lei, Tracy afferrò una delle colonnine, gemendo eccitata. Sapeva che stava per baciarla nel modo e nel modo più intimo.

La lingua di Daniel fece esplodere il piacere in ogni centimetro della sua pelle. Tracy si abbandonò completamente a quelle sensazioni sconvolgenti, lasciando che l'eccitazione si impadronisse di lei e cancellasse ogni pensiero e ogni resistenza.

Si stese sul letto e Daniel si tolse gli abiti. Tracy lo guardò senza imbarazzo, godendosi la vista di quella pura bellezza virile. Era scuro e snello, i muscoli lunghi e scolpiti sotto la pelle liscia come legno lucidato. Voleva toccarlo, accarezzare il suo petto, il suo stomaco, il suo sesso eretto.

«Ti voglio da impazzire» ansimò Daniel quando lei gli sfiorò il membro rigido. «Ho bisogno di te.»

Le porse la bustina e lei la strappò fremendo. Non poteva attendere un istante di più.

Daniel entrò in lei rapidamente. Era caldo e incredibilmente potente, la sua essenza la riempiva fin nel profondo dell'anima.

Non c'era nulla al mondo di paragonabile alla sensazione della sua pelle contro la propria, i loro corpi fusi insieme nel piacere. Si mossero allo stesso ritmo ipnotico, baciandosi e toccandosi alla ricerca spasmodica di un modo per diventare una sola cosa.

L'orgasmo li raggiunse quasi nello stesso istante, le mani intrecciate. Rimasero a lungo immersi nel silenzio, assaporando la sensazione meravigliosa di essere insieme.

Tracy chiuse gli occhi. Non era un sogno, non si era sbagliata. I loro corpi si completavano alla perfezione, erano fatti l'uno per l'altra.


***

Tracy sorrise. Era meraviglioso essere nuda tra le braccia di Daniel. Gli accarezzò il torace ottenendo un sorriso soddisfatto. Era così sexy, rilassato e sazio.

«Come sei finito in Pennsylvania?» gli chiese. Nella sua piccola cittadina. Era troppo bello per essere vero.

«Ero di passaggio e ho visto la casa. Non era mia intenzione sistemarmi da queste parti, ma in effetti non avevo altri progetti. Pensavo di vagabondare un po'.»

Si stiracchiò come un gatto, stendendo il lungo corpo agile. Tracy lo voleva di nuovo, ma decise di aspettare ancora un po'. «Sei un artista incredibile.» E un amante meraviglioso, aggiunse nella sua mente.

«Grazie.» Si sollevò su un gomito. «Mia madre dipingeva, suppongo di aver ereditato le sue doti.»

«Pensi ancora alla riserva dove sei cresciuto, ogni tanto? Doveva esserci qualcosa che ti piaceva lì.»

Lui guardò fuori. La stanza era immersa nella quiete. «È bellissimo là, specialmente in ottobre. I boschi si colorano di rosso, giallo e arancione.»

Lei avvertì un'ombra di rimpianto nella sua voce. «Non ti manca tuo padre?»

«Io.» Daniel si scostò i capelli dal viso. «Sì, in effetti mi manca un po'.» Accennò un sorriso. «Mi chiamava Piccola Lince. Ero un bambino così selvaggio... E anche da ragazzino sono sempre stato più alto e robusto di mio padre.»

«Dovresti andare a trovarlo, prima o poi, no? Sedici anni sono un'assenza troppo lunga. Pensaci su...» lo sollecitò sperando di riuscire a convincerlo. «La famiglia è importante.»

«Lo so. E non è che non abbia tentato di restare in contatto con lui. Gli mandavo dei soldi, ma lui ha sempre respinto gli assegni.»

Tracy gli accarezzò una guancia. «Forse è te che vuole, non il tuo denaro.»

«O forse è solo un vecchio testardo.»

Lei sorrise. «Come suo figlio Piccola Lince?»

«Va bene, basta così. Ci penserò su.»

«D'accordo.»

Dopo un istante di silenzio lui le prese la mano e la fece scivolare lungo il proprio corpo. «Pensi che abbiamo parlato abbastanza?»

Lei si mise a ridere e chiuse le dita, continuando la carezza suggerita. Era meraviglioso essere nuda nel suo letto, confermò a se stessa.

***

Tre giorni dopo Daniel si fermò a casa di Tracy. Lei andò alla porta, rimpiangendo di non essere più carina. Aveva addosso l'uniforme del ristorante, e il rosa stonava con il colore dei suoi capelli.

«Ciao! Non ti aspettavo. Oggi devo lavorare.» Cercò di ravviarsi i capelli. Era sciocco preoccuparsi tanto del proprio aspetto. Nei giorni precedenti avevano esplorato ogni millimetro l'uno dell'altro. Avevano fatto la doccia insieme, insaponandosi a vicenda in una nuvola di sapone profumato. E poi...

«Hai un minuto? Vorrei parlarti.»

«Ma certo.» La sua espressione sembrava un po' troppo seria. Preoccupata lo invitò a entrare.

Sedettero fianco a fianco sul divano. «Va tutto bene?» gli chiese.

«Ho pensato molto a quanto mi hai detto sull'importanza della famiglia.» Si passò tutte le dieci dita tra i capelli. «Sto partendo. Vado nel Nord Carolina a trovare mio padre.»

Adesso capiva il perché della sua espressione così seria. «Vai a casa per il Natale?» Tracy avrebbe voluto che lo passasse con lei, ma era felice che avesse deciso di rappacificarsi con il padre. Era l'ultima fase della sua guarigione. «Per quanto tempo resterai lontano?»

«Non lo so. Se mio padre vuole che resti, mi trasferirò definitivamente alla riserva.»

Improvvisamente il respiro si spezzò nel suo petto.

Lui le prese la mano e lei cercò di non mettersi a piangere. Non riusciva a biasimare Daniel per quella possibile scelta, ma non poteva nemmeno impedire al proprio cuore di spezzarsi. Non gli aveva ancora detto di amarlo, e ora non avrebbe potuto.

«Hai fatto così tanto per me» continuò Daniel. «Mi hai fatto sentire di nuovo integro e vivo. Ma non puoi rendere migliori le cose tra me e mio padre. Solo io posso farlo.»

Lei si portò la sua mano alle labbra. «Mi mancherai.»

«Anche tu. Tu e Parker siete come la mia famiglia.»

Ma non lo erano veramente, pensò Tracy. Avevano fatto parte della vita di Daniel per poche settimane, troppo poco per convincerlo a fermarsi con loro.
Debbyna1972
00lunedì 23 aprile 2007 04:08
Capitolo 10
Daniel e suo padre erano seduti uno di fronte all'altro in un pub del Padiglione Cherokee. Il padiglione era nuovo, come il Casino chiamato Harrah's. La sua terra natale si stava trasformando in una specie di Las Vegas, pensò Daniel con un velo di amarezza.

Guardò l'uomo che aveva abbandonato sedici anni prima: George Crow era invecchiato, ma le rughe intorno agli occhi e il tocco di argento nei capelli lo rendevano ancora più affascinante.

«Allora, che cosa ne pensi di tutto questo?» chiese al padre, facendo un ampio gesto a indicare quanto li circondava.

George sollevò lo sguardo dal piatto. «È un bene per la Gente Vera come noi» rispose usando un termine tradizionale per definire i Cherokee. «Si dividono i profitti.»

Daniel sorrise. Suo padre era ancora un uomo all'antica, ma sembrava fosse riuscito ad accettare l'evoluzione della sua gente e il fatto che vivessero in un mondo sempre più moderno. Era sempre di più un saggio, orgoglioso guerriero Cherokee.

«Sei cambiato, papà.»

«Anche tu, Piccola Lince. Ma hai perso molto.»

Il viso di Daniel impallidì. A dispetto del suo successo finanziario, non poteva negare gli anni di turbamento e fatica che gli erano costati. Aveva raccontato a suo padre di Clarissa e del bambino, pregando che vivessero in pace nelle Terre della Notte.

Prese la tazza di caffè e guardò fuori dalla finestra. Il gelo avvolgeva ogni cosa, ricordando loro che Natale sarebbe arrivato tra pochi giorni.

Natale... Ora quella festa gli faceva pensare a Tracy e Parker, ai loro sorrisi e alle loro risate. Gli mancavano tremendamente. Aveva spedito a Parker qualche libro e dei giocattoli comprati in uno dei negozi della Riserva, ma non era riuscito a trovare un regalo appropriato per Tracy.

Non c'era nulla che potesse esprimere quello che sentiva per lei. Aveva cambiato la sua vita, spingendolo ad affrontare il passato.

«Ti ho rattristato?» chiese George intuendo i suoi tristi ricordi.

Daniel riportò lo sguardo sul volto del padre. Scosse la testa, sperando di non sembrare un uomo solitario come si sentiva nel profondo dell'anima. «No, sto bene.»

«Non mi pare affatto che tu stia bene.»

«Davvero. Mi sembra solo strano essere di nuovo qui.»

«È bello riaverti qui.»

Si guardarono, da uomo maturo a uomo maturo. Daniel sentì un nodo formarsi in gola. «Mi... mi sei mancato.»

«Anche tu a me.»

Prima di trovarsi a fronteggiare l'imbarazzo dei propri occhi umidi, Daniel tagliò la bistecca. Le emozioni sembravano scontrarsi in lui, cercando vanamente un equilibrio.

Non riusciva a ricordare quando fosse stata l'ultima volta che aveva cenato con suo padre in un ristorante. Allora non aveva abbastanza denaro. Si accigliò, sorseggiando il caffè. George Crow viveva ancora nella stessa casa modesta, sulla stessa piccola collina. «Perchè mi hai restituito gli assegni?»

«Che cosa avrei fatto con tutti quei soldi? Qui ho tutto quello che mi serve. I turisti vengono in estate, e gli inverni trascorrono sereni e tranquilli. È abbastanza per me.»

«Vuoi che resti con te papà? Che torni a vivere qui alla riserva?»

«È questo che vuoi anche tu?»

«Penso che sia parte della nostra vita, e io voglio essere di nuovo un Cherokee.«

«Puoi far parte della Gente Vera senza vivere qui. Prima non pensavo così, lo so, ma ora l'ho capito.» Posò la forchetta sul piatto, «Tu e io apparteniamo a generazioni diverse, ma siamo entrambi Cherokee dentro. A tutti gli effetti. E siamo ancora padre e figlio.»

Imbarazzato, Daniel posò le mani sul tavolo. «Come puoi dirlo dopo che ho rinnegato la mia eredità, il mio stesso sangue?»

«Perché hai superato la battaglia. Sapevi che era sbagliato e questa consapevolezza ha influenzato ogni cosa che facevi. E alla fine sei tornato.»

«È stata una strada lunga e difficile.» E lo stupiva il fatto che suo padre lo perdonasse così facilmente.

«Non avrei dovuto essere così duro con te, né così ottuso. Avrei dovuto incoraggiarti a provare le tue ali.»

«Grazie. Questo significa molto per me.»

«E il fatto che tu sia tornato significa molto per me.» George sorrise, ma rapidamente quella luce si spense. «Posso vedere che sei confuso. Chi è lei, figlio? Chi cammina nella tua anima?»

Daniel trattenne il respiro. «Pensi che io sia... innamorato?»

Suo padre lo fissò negli occhi. «Può succedere più di una volta. Tua moglie e tuo figlio se ne sono andati da molto tempo, e ora il tuo cuore batte per un'altra persona, vero?»

***

Il cuore di Daniel pulsava freneticamente contro le costole. Era in piedi davanti alla porta di Tracy, con suo padre dietro di lui.

Tracy li guardò entrambi, stupita. «Oh, santo Cielo, ma...!»

Indossava un abito color vinaccia, i capelli erano raccolti sulla nuca. I soliti riccioli troppo ribelli le ricadevano come una cornice dorata intorno al viso. Daniel avrebbe voluto abbracciarla e non lasciarla mai più.

«Ciao, Tracy!» disse invece. «Buon Natale.»

«Ciao.» Lei batté le palpebre, confusa, e Daniel le presentò suo padre.

George sorrise e le prese la mano. «Che donna graziosa hai scelto, figliolo» commentò fissandola intensamente.

«Grazie» replicò lei imbarazzata. «Entrate, vi prego.»

C'era un delizioso aroma di cibo nell'aria. Un tacchino stava rosolando nel forno, una torta di zucca si stava raffreddando sul davanzale.

Entrarono nel salotto, e nella penombra scintillavano miriadi di luci natalizie che decoravano un grande abete. C'erano nastri colorati e ghirlande appesi un po' ovunque, e sul pavimento giacevano decine di carte da regalo appallottolate. Parker e Tom erano seduti sul divano e stavano ammirando i nuovi giocattoli di Parker.

Tom sorrise e Parker balzò in piedi per correre incontro a Daniel. Lui sollevò il bambino tra le braccia e lo strinse forte, accarezzando il solito ciuffo ribelle. Ecco il vero significato del Natale, pensò. Famiglia, amici, e una sensazione di calore nel cuore.

Tom e George si piacquero immediatamente, e si misero a chiacchierare come vecchi amici. O forse come due vecchi saggi che apprezzano le cose semplici che la vita può offrire.

Quando lei andò in cucina a controllare la cena, Daniel la seguì. Si appoggiò contro il piano di lavoro e sospirò.

«Sono così stupita di vederti qui... E con tuo padre, poi!»

«Voleva conoscerti.»

«Davvero? Come mai?»

«Perché gli ho detto di te e Parker, e di quanto mi avete aiutato.» Daniel si accorse che era nervosa. Tracy sembrava stanca e preoccupata, e Daniel si augurò che avrebbe accettato il regalo che aveva per lei.

«Dopo le feste ti trasferirai nel Nord Carolina?» «No. Papà tornerà alla Riserva, ma io resto qui.»

Lei gettò indietro un ricciolo che le era caduto davanti agli occhi. «Davvero?»

«Sì.» Le si avvicinò. «E.Io.» Fece una pausa e frugò nella giacca. Le porse un piccolo pacchetto accuratamente incartato e attese che lo aprisse, troppo agitato per mettere insieme un discorso.

Tracy armeggiò con la carta e quando finalmente aprì la scatola lo guardò interrogativa.

***

Qualche ora più tardi Tracy e Daniel erano seduti sotto il portico. Aveva cominciato a nevicare, ma Tracy non sentiva freddo. L'uomo che amava le aveva appena chiesto di sposarla, e l'anello scintillava come una stella sul suo dito.

A volte i desideri diventano realtà, pensò estasiata.

«Quando l'hai capito?»

«Che ti amavo?» I capelli di Daniel ondeggiavano come lembi di seta nell'oscurità. «Non saprei. Forse è successo quando ti ho visto per la prima volta, semplicemente. Ma non volevo ammettere a me stesso di essere capace di amare ancora.»

Lei posò il capo sulla sua spalla e guardò i fiocchi di neve cadere a terra. «Dove abiteremo?»

«A Orchid House, se per te va bene. C'è un sacco di spazio là, e spero che.» Le sfiorò il collo con un tenero bacio. «Che tu mi dia una squadra di bambini, tesoro.»

Tracy immaginò Parker attorniato da tanti fratelli e sorelle. Quell'immagine la riempì di gioia. Si gettò tra le braccia di Daniel, pensando che sarebbe stato un padre premuroso e forte. «Bambini Cherokee» mormorò felice.

«Già.» Le sorrise, e l'orgoglio faceva splendere i suoi occhi.

Appena le loro labbra si incontrarono in un bacio appassionato, l'aria sembrò riempirsi del profumo di orchidea.

Tracy chiuse gli occhi per godersi quel dolce contatto. Ringraziò gli angeli di Daniel per averli benedetti con un amore che sarebbe durato per sempre.
@talia@
00martedì 24 aprile 2007 23:15
Mi piace, è una storia ben scritta e i personaggi, per quanto schematici, cosa inevitabile vista la brevità, sono ben delineati... sicuramente una lettura piacevole e divertente [SM=g27987].
Cry86
00giovedì 26 aprile 2007 11:23
Ammetto che non sono abituata a leggere " libri " così brevi.. ma devo dire che è veramente una piacevole lettura.. ottima idea capa!! [SM=g27987]
Cry86
00giovedì 26 aprile 2007 12:02
[SM=g27987] Bellissima e coinvolgente storia d' amore.. [SM=g27987]
Non è il genere che piu' preferisco.. ma questa mi è piaciuta particolarmente.. [SM=g27988]
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