PIERO CALAMANDREI

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INES TABUSSO
00mercoledì 27 settembre 2006 20:08



LA REPUBBLICA
26 settembre 2006
CALAMANDREI L'ILLUMINISTA
LUCIO VILLARI
a pag. 49

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LA STAMPA
27 settembre 2006
Riannodò i fili tra la morale e la politica
di Giovanni De Luna
Tra il 1945 e il 1946 l’Italia passò dal fascismo alla Repubblica, dalla dittatura alla democrazia, attraversando le macerie di una guerra insensata e rovinosa. Si trattò di una di quelle «fratture» che segnano irreversibilmente la storia di un paese, fasi drammatiche e convulse in cui affiorano i «padri fondatori», personaggi-enzimi che aiutano una nazione a metabolizzare il brusco passaggio alla «terra di nessuno» di una nuova stagione politica e istituzionale, a interpretare le coordinate anche psicologiche al cui interno vengono vissute esperienze collettive mai sperimentate prima. Piero Calamandrei fu uno di questi. Lo fu come giurista, per il ruolo autorevole che assunse nell'elaborazione della nostra Carta costituzionale. Ma lo fu soprattutto nell’impegno intellettuale, negli articoli, nei libri, nelle lapidi, in tutti i segmenti di un «discorso» che puntava a restituire una religione civile all'Italia repubblicana, fondandolo sulla Resistenza e sull'antifascismo.

Rigenerazione etica
I suoi contorni si ritrovano nitidamente già nell'aprile 1945, nell'editoriale di presentazione al primo numero de Il Ponte, la prestigiosa rivista da lui fondata e diretta. «Nessuna vittoria militare, per quanto schiacciante, nessuna epurazione, per quanto inesorabile, potrà essere sufficiente a liberare il mondo da questa pestilenza \, se prima non si rifaranno nelle coscienze le premesse morali, la cui mancanza ha consentito a tante persone \ di associarsi senza ribellione a questi orrori, di adattarsi senza protesta a questa belluina concezione del mondo». Alla discontinuità politica e istituzionale sancita dal referendum del 2 giugno 1946 doveva accompagnarsi una rigenerazione morale. Il fascismo era morto, ma il costume fascista sopravviveva in tutti gli interstizi degli apparati statali e della società civile. Non bastava quindi all'antifascismo averlo sconfitto militarmente. Si trattava ora di sgominare «quell'atmosfera di prepotenza e viltà, di compromesso e di corruzione in cui era immerso l'ordine fascista».

Rifare gli italiani
Calamandrei non sottovalutava la pervasività e l'ampiezza del progetto fascista di «fare gli italiani». Sapeva benissimo che quel progetto aveva goduto di larghi consensi, che in quel «costume» si erano rispecchiati i comportamenti e le scelte collettive della larga maggioranza degli italiani. Si era trattato, diceva, di «un arido ventennio di diseducazione, passato sulle menti come una carestia morale». Ora, c'era il rischio che i suoi elementi essenziali continuassero a prosperare nella nuova Italia repubblicana e che la politica fosse ancora intesa come una «professione» atta a soddisfare in primo luogo interessi di parte e personali, con l'eliminazione della differenza tra impiego e ufficio pubblico, tra carica onorifica e guadagno professionale. Un tempo, quando si parlava di cariche pubbliche, si avvertiva, secondo Calamandrei, che nel senso etimologico di questa parola c'era l'idea di un peso, di un sacrificio gratuitamente sopportato per il bene comune e comunque «la professione era, almeno nell'ordine cronologico, un prius e la politica un posterius». Con il fascismo questo ordine era stato capovolto, «e si videro allora per la prima volta quelle subitanee fortune di gerarchi, che lì per lì meravigliarono, ma che poi diventarono un'istituzione normale del regime».
Certo, il Calamandrei giurista ebbe un ruolo importante. Pure il suo tentativo di riannodare i fili del rapporto tra morale e politica va oggi tenuto in maggiore considerazione dagli storici. La sua lezione fu tanto più efficace in quanto aveva conosciuto da vicino i «guasti» che denunciava e, grazie ai suoi rapporti accademici e professionali con il fascismo, conosceva da vicino il male da cui chiamava gli italiani a guarire. In questo senso, quando, nel 1982, furono pubblicati i suoi diari relativi al periodo 1939-1945, fu chiaro come, proprio attraverso l'esperienza esistenziale del personale «viaggio attraverso il fascismo», Calamandrei era riuscito a trasformare il tormento privato per il suo passato in una riflessione pubblica a cui seppe attingere la parte migliore dell'Italia del dopoguerra.




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LA STAMPA
27 settembre 2006
LA PASSIONE PER LA NATURA COME SOSTA NELLE LOTTE QUOTIDIANE: UN ARTICOLO DI BOBBIO
Il costituzionalista e la farfalla
di Norberto Bobbio

Il 20 marzo 1992, all’Accademia dei Lincei, Norberto Bobbio tenne un discorso su «Calamandrei uomo». Ne riproponiamo uno stralcio.

Rileggendole opere letterarie di Calamandrei, con l’aiuto di coloro che le hanno commentate, l’esistenza di un contrasto tra il mondo antagonistico della storia e il mondo rassicurante della natura mi è sembrato sempre più chiaro: un contrasto che è anche una chiave di spiegazione di quella che è sempre apparsa una certa divergenza, difficile da conciliare, tra il giurista, il moralista, l’uomo politico, da un lato, e il letterato dall’altro.

L’autore dell’Inventario della casa di campagna \ cerca nell’osservazione della natura quella regolarità che non trova nella partecipazione attiva alla creazione della storia, il ritorno del sempre eguale, le ore, i giorni e le stagioni, il prevedibile di contro all’imprevedibile, la quiete di un ordine meccanico di contro al tumulto delle passioni. Il ritorno alla natura, che è insieme con l’evocazione del mondo dell’infanzia tanta parte del Calamandrei letterato, rappresenta il desiderio di cercare un rifugio e, se non un rifugio, una sosta, nelle lotte quotidiane. Scrive Giorgio Luti: «Gli affetti familiari e l’amore per la natura trascorrono nella prosa autobiografica dell’Inventario con una forza ideale che sopravanza le vicende pur tragiche della dittatura e della guerra». Una citazione tra mille, che traggo dallo stesso articolo: «La felicità delle farfalle \ possono dedicare al canto tutta la loro breve vita, senza distrarsi nelle rivoluzioni... Sono ormai in quanto a politica, al di là del progresso: si sono liberate in eterno da questa ansiosa febbre di crescenza che gli uomini chiamano storia». La farfalla è un simbolo della bellezza, dell’incanto, della fantasia leggera, dell’agire disinteressato, e insieme del monotono riprodursi a ogni stagione del mondo naturale. [...]

La passione di Calamandrei per il mondo della natura era antica. Gran parte dell’Inventario è fatto di descrizioni di paesaggi, di storie di insetti e di animali. Più volte rievoca con una punta di orgoglio il prodigioso erbario che si era costruito quand’era ragazzo. Gli dedica persino un' ingenua poesia nei Poemetti della bontà: «... l’erbario fatto a quarta ginnasiale / quando, assai più del greco avevo cara / la variopinta Storia Naturale» (p. 117), e «con vascolo e vanghetta all’alba chiara / me ne partivo cacciator non reo / in cerca sol di qualche pianta rara». Il ritorno alla natura è dunque anche un ritorno all’infanzia. Il mito della natura e il mito dell’infanzia si rincorrono l’uno con l’altro. Anche l’infanzia, come la natura, è innocente. Il ritorno alla natura, così come il ritorno all’infanzia, è il ritorno al mondo non contaminato dalle passioni, dagli odi, dal delirio di potenza e di distruzione. Così si può spiegare l’ammirazione che egli ebbe per Pavese, umanamente così diverso, chiuso nella propria solitudine e nella indifferenza assoluta all’azione. Ma furono la nostalgia dell’infanzia e la contemplazione della natura rasserenatrice due temi essenziali anche della poesia dell’autore del Mestiere di vivere. Com’è noto, Calamandrei gli scrisse, dopo aver letto La luna e i falò, pochi giorni prima del gesto fatale, parlando di «grande arte», di «poesia vera», e commentando: «Gli artisti veri, senza proporselo toccano sempre le ferite della loro società, l’accento occasionale che prende nel loro tempo la eterna pena dell’uomo».

La «eterna pena dell’uomo»: breve e felice espressione che serve molto bene a penetrare nel fondo dell’animo di Calamandrei di fronte alla vita. La vita è pena, sofferenza, dolore. Ma di fronte alle inevitabili «ferite della società», l’uomo può trovare il proprio riscatto, o attraverso la poesia, o attraverso la vita morale. Di questa duplice via di salvezza egli ci ha dato un esempio, che noi, venuti dopo, abbiamo il dovere di non lasciar dimenticare.





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