PdV Quarta Partita

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AXL BARATHEON
00mercoledì 6 febbraio 2013 13:08
PROLOGO


in costruzione...
Albus Lupin
00mercoledì 6 febbraio 2013 14:13
VARGO I – Le Avventure Pregresse di Vargo Hoat

"No, non coscì!"
Vargo guardò l'uomo coi suoi occhietti malvagi e una dura piega della bocca.
"Più nero."
Il craprone ucciso per l'occasione era grigio scuro, ma Vargo lo voleva NERO e il povero allevatore non aveva potuto fare altro che trascinarsi pesto e sanguinante dall'altra parte di Qohor, nel quartiere dei tintori e pregare umilmente il cognato di esaudire i desideri di quel pazzo sconsiderato e armato, con quella brutta, bruttissima faccia e l'alito di fogna.

Il vello della povera bestia alla fine era nero per quanto sia l'allevatore che il tintore sapevano che alla lunga, sotto il sole e in balia delle intemperie, sarebbe tornato ad essere grigio scuro.
Speravano tuttavia che, quando questo piccolo dettaglio fosse venuto a galla, quello schifoso essere sarebbe stato a diverse leghe di distanza, troppo impegnato a combattere e a sbavare per tornare indietro a pretendere la loro pelle.

Vargo si era dimostrato assai munifico nel ricompensarli.
"Vi terrete le voshtre mani" aveva detto "e i piedi, anche, ma non la porta. E' schtretta per Zollo", la sua buffa collana aveva tintinnato ad ogni passo, come la spada e i coltellacci appesi al fodero.
L'enorme Dothraki che gli faceva da spalla aveva riso in modo sguaiato, distruggendo, tanto per far valere le parole del suo "signore" la porta d'ingresso della tintoria, emanando poi arie malavole dalle pudenda e uscendo in strada.
Vargo stringeva tra le mani il nuovo vello di capra *nera* che avrebbe presto issato sulla cima di una lunga asta, in modo da poter indicare ai suoi uomini la sua personalissima e indiscutibilmente carismatica presenza sul campo di battaglia.

Il sole cuoceva le pietre della stradina secondaria in cui il Capitano già sognava la sua gloria futura in battaglia quando un gruppo di Immacolati incaricati di mantenere l'ordine nelle fetide strade di Qohor gli si fece incontro, impugnando le lance tipiche del loro arte guerresca.
Quando succedono questo genere di cose, a Qohor, raramente si fanno domande: con gli Immacolati non si scherza, ma sono soldati rigidi e raramente, soprattutto se non ordinato, qualcuno di essi sviluppa abilità diverse dal semplice controllo e pattugliamento delle strade.
Non era questo il caso, fortunatamente: il capitano degli Eunuchi alzò la voce per chiedere a Vargo e Zollo di togliere le armi dai foderi e arrendersi, così come gli era stato insegnato dai suoi padroni.
Per tutta risposta Zollo il Grasso ruttò.
Il gorgoglio della sua gola fece capire a Vargo una cosa e una cosa sola: Zollo voleva sporcarsi.
Il capitano calcolò mentalmente la distanza tra il suo Dothraki e i 4 Immacolati e si fece da parte, sbadigliando e imprecando a bassa voce sciullo scelo ci scerte guardie shfortunate.

Il primo eunuco fu abbattuto con una brutalissima testata. Il rumore metallico della testa del Dothraki contro l'elmo dell'Immacolato fece sobbalzare Vargo: aveva pensato che la fronte del Dothraki fosse incredibilmente sudata, dato il calore della giornata, ma in quel caso avrebbe emanato un rumore più simile a uno straccio bagnato lanciato dentro un bidone di sugna.
Il rumore di ossa rotte "O forsce è un nasho?" rischiarò per un attimo la mente del Capitano proprio mentre Zollo infilava le sue grosse dita a salsicciotto nelle cavità oculari della sua..uno, due, TERZA vittima! Dopo averlo accecato E ushato come shcudo un paio di volte Zollo gli ha spaccato la testa contro la strada.
E adescio rimane sholo il quello con due punte sciull'elmo, Vargo si frugò a mano tra i denti trovando un frustolo di carne tra il canino destro inferiore e il primo premolare, lo osservò mentre Zollo veniva colpito una, due, tre volte e mentre il capitano Immacolato gli infilava la lancia nella spalla sinistra, poi se lo infilò di nuovo in bocca, masticò e deglutì.
I graffi e le cicatrici piacevano a Zollo ma le ferite da punta, soprattutto se così profonde, un po' meno. Potrebbero doverlo fasciare, potrebbero chiedergli di non tirarshi addosscio tutto quel vino ascido.
Il Grasscio potrebbe non prenderla bene, come non ha prescio bene la ferita di lanscia. Vargo lo vide alzare da terra l'Immacolato, strappargli la lancia dalle mani e piantargli l'Arakh "Ha fatto tutto queshto cashino scienza armi!" dritto nel sedere.

Quando qualcuno dei suoi si distingueva durante una rissa, Vargo pensava assai spesso a dove lo aveva conosciuto e in che condizioni era quando lo aveva trovato.
Zollo era sempre stato un punto interrogativo: sosteneva di essere figlio del figlio del figlio di uno di quei pazzi Dothraki di Khal Temmo, quello che si era schiantato ripetutamente contro tremila Immacolati proprio davanti alle mura di Qohor.
Vargo non sapeva quanti anni fossero passati da allora nè se fosse vero quello che Zollo raccontava. Sapeva solo che lo aveva trovato in un canale di scolo, magro come un chiodo e mezzo morto di fame. Qualcuno si era liberato di lui perchè non era capace a far niente e si era rivelato una schiavo violento e indisciplinato.
Per i Bravi Camerati, tuttavia, questi erano pregi, non certo difetti.
Tutto quel cercare di uccidere Zollo in una mezza fogna e disprezzarlo per le sue radici, dovevano averlo reso piuttosto maligno e ora, per lui, nato Dothraki e schiavo, doveva essere una sorta di rivincita, magari perfino un gioco, massacrare crudelmente Immacolati.

Una volta terminata la mattanza, Vargo si era allontanato dal cantuccio in ombra da cui aveva osservato la scena, aveva dato una pacca sulla spalla a Zollo, e lo aveva portato da Qyburn.

Ad onor del vero, nessuno dei Bravi Camerati sa esattamente se questa storia sia vera o meno, ma così viene spesso raccontata, vicino al fuoco, dai suoi protagonisti, anche se spesso gli Immacolati aumentano di numero e vengono uccisi in modo diverso.
Non è mai il caso, tuttavia, di dare del bugiardo a Zollo, soprattutto quando parla delle sue cicatrici: qualcuno, invero, ci ha provato, ma ora è morto.
Jon_Re
00mercoledì 6 febbraio 2013 15:41
Viserys 1: Nuovamente a bordo

L’aria era torrida mentre la chiglia fendeva le acque creando due onde verdi che si allontanavano l’una dall’altra andando incontro a quelle create dalle altre navi. Ero appoggiato alla murata della Fuoco di Drago ad osservare le onde e l’immenso mare che si estendeva a vista d’occhio.
<<Quanto manca allo sbarco?>>
Saltai per lo spavento.
<<Daenerys… mi hai fatto prendere un colpo!>> dissi rabbioso e sospirando allo stesso tempo <<Daario dice che ci vorranno almeno altri due giorni se il vento rimarrà favorevole>>
<<Non ne posso più!>> protestò lei mentre il vento le mulinava i capelli argentei.
Aveva quindici anni, quasi sedici, era esile, ma sarebbe sicuramente diventata una bella donna dagli occhi viola ed i capelli chiarissimi.
<<Nemmeno io, ma se vogliamo le truppe che ci occorrono per ritornare a casa dobbiamo necessariamente andare ad Astapor!>>
Eravamo partiti da Qarth, con dieci navi forniteci da quel grassone di Magistro Illyrio a Pentos ed una grossa flotta fornitaci dai Tredici di Qarth su insistenza di Xaro Xhoan Daxos un ricco mercante della città, e navigavamo da quasi tre settimane. Con noi a bordo c’erano Daario, comandante dei Corvi della Tempesta, e ser Barristan Selmy che aveva abbandonato la corte dell’Usurpatore ed era venuto a offrire la sua fedeltà al vero Re dei Sette Regni. Molti erano stati gli scali in vari porti lungo il tragitto e le città da ricche e prospere erano via via mutate in rovine asfissiate dall’edera. Velos era stata l’ultima presso cui avevamo gettato l’ancora. Si trovava sul margine nord di Isola dei Cedri ed era oramai un ammasso di piramidi erose dal tempo e sommerse dalla vegetazione. Dai libri che avevo letto nella magione di Magistro Illyrio sapevo che Velos nei secoli passati era stata una delle città più prospere della Baia degli Schiavisti prima che la pirateria la cancellasse dalle rotte sicure e la svuotasse da tutte le sue ricchezze.
<<Fa anche caldo!>> si lamentò ancora.
<<Noi abbiamo il sangue del drago nelle vene non patiamo il caldo!>> la presi per un braccio mentre le sibilavo in viso quelle parole.
La lasciai subito andare e lei si ritrasse gemendo e guardandosi il segno bianco che le chiazzava il braccio abbronzato. Calò il silenzio.
Mi appoggiai di nuovo alla murata e tornai con la mente a quindici anni prima: la nave solcava rapida il Mare Stretto fendendo le acque blu e profonde. Si trattava di una piccola nave mercantile trovata in uno dei pontili secondari del porto di Roccia del Drago poche ore prima che Stannis Baratheon seguito dai cani dell’Usurpatore attaccassero la fortezza. La guarnigione di Roccia del Drago, per avere salva la vita, aveva cercato di rapire me e Dany per consegnarci a loro, ma un manipolo di uomini fedeli al Re guidati da Ser Willem Darry ci aveva condotti al porto attraverso qualche passaggio nascosto nella roccia. Con varie ore di vantaggio, il tempo clemente dopo la tempesta di qualche giorno prima ed un’imbarcazione notevolmente più veloce delle pesanti navi da guerra per Stannis era stato impossibile raggiungerci. Per due settimane osservai quello scafo fendere quelle acque blu scuro circondato da uomini di tutti i colori: bianchi e neri; dai pizzetti viola, blu ed oro; dai capelli rossi, verdi e gialli. Alcuni avevano dei tatuaggi sotto l’occhio sinistro: remi, fuochi, corde, secchi e casse. L’acqua cambiò poi improvvisamente colore sfumando verso un azzurro chiaro e l’aria si riempì di odori che non erano il lezzo della nave o l’aria satura di sale. Giunsero anche suoni differenti da quelli che avevano affollato le mie orecchie nelle ultime settimane. Alzai gli occhi dall’acqua e vidi un colosso: stava li fermo con i piedi poggiati sulla solida roccia nera che formava un’alta catena montuosa che si tuffava a picco nel mare, le gambe erano scolpite nella stessa roccia e le anche erano avvolte da un gonnellino di bronzo verdastro che con la placca pettorale, anch’essa di bronzo, completava l’armatura, infine, la testa era protetta da un mezzo elmo con cresta. Una delle sue possenti mani era poggiata su un costone di roccia mentre l’altra protesa verso cielo impugnava una spada spezzata. Gli occhi, fissi sul mare, erano animati da un rosso bagliore. Tra le sue gambe il mare si collegava ad una baia dove la nave sospinta dal vento era diretta.
<<E’ il Titano di Braavos!>>
Saltai per lo spavento.
<<Ser Willem… mi hai fatto prendere un colpo!>> dissi rabbioso e sospirando allo stesso tempo, ma lui vi badò poco.
<<Ripartirete da qui per riprendere ciò che è vostro di diritto, ma dovrete pazientare ed attendere il momento giusto!>> disse, ma ero troppo piccolo per capire quelle parole.
Le notizie cominciarono, però, presto a correre. Fummo braccati di città libera in città libera, ma Ser Willem riuscì sempre ad anticipare le mosse delle “Lame dell’Usurpatore”, come le definiva lui. Veleni, lame e malelingue ci stavano intorno, ma qualcuno da Corte lo teneva informato, capì molto più tardi. Troppo tardi perché riuscissi a imparare da lui chi fosse e come fare a reperire quelle informazioni. Morì dopo sette anni dalla nostra fuga e l’evento giunse improvviso. Era malato, ma non lo aveva mai dato a vedere e nessuno lo vide morire nella sua stanza all’interno della casa in cui vivevamo in quel periodo nella città di Myr. Fui il primo a trovarlo quando alla sera rientrando con Dany per la cena, preparata e servita da due donne con una casa tatuata sotto l’occhio, passai dal suo studio per chiamarlo e lo trovai riverso sulla scrivania. In una mano stringeva ancora la penna intrisa dello stesso nero inchiostro che ricopriva il piano della scrivania e pian piano gocciolava per terra, mentre l’altra stringeva il collo della tunica come a volerlo allargare per farci passare l’aria. L’avevo chiamato e poi scosso, ma non aveva risposto e le lacrime avevano iniziato a rigarmi il volto. Sotto di lui c’era una pergamena su cui stava scrivendo qualcosa. La sfilai da sotto il suo corpo ancora caldo e notai che una grande macchia nera aveva oscurato una parte del messaggio su esso riportato, ma provai comunque a leggerlo.

Affettatevi Magis
sento che ogni gior
affievolisce. Viserys h
sarà un uomo. Sapete do
consiste l’accordo con Cas


La luce del tramonto che filtrava dalla porta si oscurò improvvisamente ed alzato lo sguardo vidi che un uomo grassissimo si stagliava sulla soglia della porta. Tremavo ed avevo paura. Mentre l’uomo si avvicinava dalla cintola di Ser Willem estrassi il pugnale, ma non riuscì nemmeno a puntarlo contro di lui che già mi aveva afferrato il braccio con la sua mano molliccia ed unta.
<<Non sono qui per farti del male>> disse nella lingua comune dei Sette Regni <<Cos’hai in mano?>> aggiunse prendendomi la pergamena.
La lesse e nella lingua comune di Braavoos disse guardando Ser Willem <<Maledetto te! Fosse caduta nelle mani sbagliate avresti rovinato tutto!>>
Entrarono dalla stessa porta per cui era passato l’uomo corpulento altri due uomini con sulle spalle due sacchi. Uno dei due dopo aver posto per terra il proprio sacco si diresse verso il corpo esanime di Ser Willem e gli piantò nel petto un pugnale lasciandolo li conficcato e sporcandosi le mani di sangue. L’altro uomo intanto aveva aperto i sacchi e ne aveva tirato fuori un bambino ed una bambina: entrambi morti. Il loro viso e le loro braccia erano ricoperti di uno strato di pelle grigia ed i vestiti erano chiazzati di sangue all’altezza del petto. Furono disposti a terra e cosparsi di olio.
<<Attendete il tempo pattuito e poi date fuoco alla villa. Andiamo Principe Viserys!>> disse l’uomo grasso tirandomi per il braccio, mentre io opponevo resistenza, ma all’improvviso tutto divenne buio.
Quando mi ripresi la nave era già a largo di Myr. Usci dalla stanza sotto il ponte di comando in cui ero stato posto e vidi la colonna di fumo nero che si innalzava nella periferia est della città. Mi ritrovai nuovamente a guardare la chiglia di una nave che fendeva l’acqua diretta a nord. Versai in quel momento le mie ultime lacrime.
Hamish Snow
00mercoledì 6 febbraio 2013 18:17
Nostalgia canaglia
Silenzio e attesa. Persino scontrosità e insofferenza, a volte. Ma a tutto questo, maestro Cressen era stato abituato, nei suoi lunghi anni di servizio presso Roccia del Drago. Fortunatamente, per ora lord Stannis era ancora impegnato a leggere la missiva che egli aveva consegnato pochi istanti prima. Solo silenzio dunque.. e attesa.
L’anziano erudito si guardò attorno, per ingannare il tempo che aveva deciso di disinteressarsi a tutto ciò che stava accadendo nella Sala del Tavolo Dipinto. Poco da vedere, in fin dei conti. Ormai abituato alle quattro finestre, alle pareti che formavano un cerchio perfetto.. alle grandi tende di pesante velluto, che negli ultimi mesi erano state più spesso raccolte e legate da spessi cordoni, che aperte a proteggere dal freddo.

“È risaputo che all’Estate segue l’Inverno. I tempi più fortunati portano con sé dei periodi di graduale passaggio, in cui le due stagioni combattono tra loro e permettono all’uomo di godere di un piacevole tepore o di organizzare con calma il proprio amaro futuro. Tuttavia, si ha ricordo della possibilità che più lunga risulterà essere l’Estate, più un rigido e lungo Inverno dovremo aspettarci. Anche da qui, aggiungo io, deriva il tono minaccioso nascosto nelle parole del motto degli Stark.. L’Inverno sta arrivando”. I ricordi di quando, ancora giovane, aveva assistito alle lezioni di maestro Walgrave – apprendendo non tanto nozioni e conoscenze che già aveva acquisito, quanto la capacità di dare spiegazioni in modo calmo, chiaro e semplice – minacciavano giorno dopo giorno di cadere nell’oblio. Settantanove anni.. Cressen ricacciò indietro il pensiero, guardandosi nuovamente attorno.

Quando erano entrati per la prima volta in quella sala, in cima al Tamburo di Pietra del terrificante e inospitale castello degli estinti Targaryen, il maestro aveva immaginato che Stannis non avrebbe utilizzato spesso un luogo del genere. Spoglio, freddo, con solamente un grande scranno e un tavolo mastodontico che, per quanto affascinante e caratteristico, sia nella forma che nella stessa idea di concepimento, risultava scomodo e poco utilizzabile. E così fu, almeno all’inizio. Cressen aveva notato la sorpresa e lo sconforto di Stannis nell’apprendere le decisioni di suo fratello, il Re.. aveva in ogni modo evitato qualsiasi commento sulla cosa, anche in presenza del solo secondogenito, proprio per non alimentare la sua rabbia e la sua frustrazione. La decisione aveva colto di sorpresa anche lui, ma preferì consigliare per il bene quello che era divenuto il suo prediletto, dei tre Baratheon. Così, i primi tempi aveva ricacciato nelle profondità del suo animo lo sgomento e il disagio di cui Roccia del Drago era madre sempre gravida, e aveva ripetutamente illustrato al suo Lord gli aspetti positivi di quel maniero: una struttura facilmente difendibile, una visuale piuttosto aperta sul mare, delle grandi sale e delle mura imponenti.. Aveva abbandonato queste ultime due argomentazioni, poiché con la prima sapeva non avrebbe mai convinto lord Stannis, il “lord cupo”, a dare banchetti, feste, o altro.. e con la seconda non faceva che alimentare in lui il ricordo delle mura, quelle si, davvero imponenti di Capo Tempesta, ora in mano a suo fratello minore Renly. In verità, aveva anche evitato celermente di citare nei suoi resoconti elogiativi, le profonde segrete.. gallerie degli inferi, una matassa di cunicoli e di celle, che Cressen stesso aveva visitato solo due volte e in cui era difficile persino respirare a pieni polmoni, a causa del calore infernale e del senso di claustrofobia. Stannis aveva iniziato a visitarle di tanto in tanto, accompagnato da qualche cavaliere.
Il fuoco brucia la mano inesperta e incauta. Ma lungi da me e dall’uomo saggio sperare di convincere Stannis Baratheon a non fare qualcosa che si è messo in testa.


Nella sala, il silenzio era rotto solo dal respiro pesante di maestro Cressen, dal lontano sciabordare del mare sugli scogli.. ogni tanto un timido e voluttuoso sospiro del vento, e il crepitìo del fuoco che arrancava, ormai stanco, nel grande braciere posizionato vicino alla finestra orientale.
Ecco.
Qualcosa era cambiato nella sala antica. La costante presenza del fuoco, un braciere grande di cui prima non si era sentita la necessità (all’occorrenza, numerose torce e candele potevano ben illuminare la stanza).. l’odore di incensi e di spezie che Cressen conosceva, ma cui Stannis non aveva mai dato importanza, né apprezzato. Tutto, da quando la “donna rossa” era giunta da oriente.. da Asshai delle Ombre, o dal Tempio Rosso di Selhorys, poco cambiava. Affascinante, bella, aggraziata, dai modi certamente convincenti.. ma era evidente come tutta questa forma nascondesse una sostanza ben più velenosa: cieco fanatismo, intolleranza, forse persino intenti sediziosi, o voluttuosi nei confronti di Lord Stannis. Da quando l’anziano maestro aveva deciso di tenere d’occhio l’agire dell’estranea, tuttavia quest’ultima non aveva fatto altro che accaparrarsi le simpatie di alcuni cavalieri, e soprattutto di lady Selyse. Da lì, ad una maggiore confidenza femminile (così era apparsa al maestro) alla conversione al culto di questo sospetto “dio della luce”, il passo era stato breve, troppo breve. Stannis aveva disintegrato qualsiasi forma di lamentela per la situazione da parte sua. “Non è tuo compito decidere chi può o chi non può abitare qui e far parte della mia corte. Se lady Selyse mia moglie ha trovato una donna, di condizione libera, con cui passare le sue giornate, così sia. Non parlarmene più”. Così aveva risposto, quando ancora Melisandre non era che una “donna, di condizione libera”, e null’altro.

Spostò il peso da una gamba all’altra, e infine si appoggiò delicatamente alla parete, tenendo le mani giunte dietro la schiena. Sospirò, senza farlo apposta. Il viaggio (perché di questo si trattava, ormai) dalle camere del maestro, nella Torre del Drago del Mare, fino alla sala dove Stannis passava buona parte del suo tempo, era uno sforzo immane e una dimostrazione di impegno, quasi di fanatismo, per un vecchio di ottant’anni.
Si accorse che il lord Baratheon, seduto ancora nella stessa posizione, con la pergamena ancora nella sua mano, srotolata, lo stava fissando, ancora in silenzio, finchè non chiamò con un accenno di irritazione (così parve al vecchio) lo scudiero che quel pomeriggio svolgeva il suo compito.
«Devan!». E senza attendere che il ragazzo entrasse nella sala: «Porta una sedia per maestro Cressen».
«Ti ringrazio, mio lord. Ormai non è più così facile per me ragg..». Si interruppe, quando Stannis alzò una mano in segno di silenzio, continuando e finendo di leggere la pergamena. Il principe Baratheon la lasciò senza molta cura sul tavolo davanti a sé, dove, scolpite con maestria, le onde del mare separavano Roccia del Drago dalle terre della Corona e da Approdo del Re.
Devan Seaworth, il ragazzo di ser Davos, entrò con fare spedito, quasi marziale, e appoggiò una sedia imbottita vicino al maestro, aiutandolo a sedersi, e ottenendo in cambio un sorriso e una stretta sulla spalla da parte di chi, saggio e anziano, sapeva apprezzare i buoni sentimenti anche quando non si faceva altro che il proprio dovere.

Stannis si volse, attendendo che chi doveva, finisse di accomodarsi. «Devan, manda a chiamare tuo padre. E che sappia che è urgente», e nel frattempo si avvicinò al vecchio con passi lenti.
«E così, alla fine, la proposta che aveva in mente Renly qualche anno fa.. l’hanno accettata..», sorrise Cressen, intrecciando le dita delle mani e tenendole in grembo. «Non so se essere più felice, per l’evidente benessere economico dei Sette Regni.. o più spaventato dal lungo viaggio che ci attende».
Stannis si appoggiò con le terga al tavolo, incrociando le braccia, senza che la tenerezza delle parole del maestro mutassero in qualche modo l’espressione del suo viso.
«Quindi secondo te è di questo che parla la lettera? Ed è Renly ad averla mandata?». In molti – e di questo, l’anziano studioso se ne era sempre addolorato – confondevano la durezza del tono e delle parole di Stannis, con uno spirito acrimonioso e sprezzante. Per affetto e per un dovere di coerenza, aveva deciso di trasferire anche nei comportamenti e nelle reazioni a quel tono la comprensione oramai acquisita di colui che aveva cresciuto, insieme a Robert e Renly, da quando vent’anni prima lord Steffon Baratheon e lady Cassana Estermont erano precipitati nel dolce abbraccio delle acque, di fronte a Capo Tempesta e agli sguardi dei loro due figli maggiori.
«Il tempo passa per tutti noi, e modifica corpi, voci, paesaggi. Ma non un certo tuo tono nel mandare a chiamare ser Davos..». C’era complicità e soddisfazione nelle parole di Cressen, ingabbiate però dalla rassegnata certezza che non erano queste cose sufficienti a liberare emozioni o sorrisi nel suo interlocutore.
«Questo è certo. Il tempo passa, e ci sei tu qui a ricordarmelo, con la tua sedia e il tuo fiatone dopo qualche rampa di scale, Cressen». Tornò verso lo scranno dopo essersi versato dell’acqua nella coppa, unico oggetto estraneo, insieme alla pergamena, ad ergersi tra i grandi paesaggi scolpiti sul Tavolo Dipinto.
«Si, è stato Renly a scrivere, ma riguardo a ciò che dici ha scritto poche righe. Non è quello l’argomento principale». Alcuni lunghi istanti di silenzio, in cui Stannis tornò a posare lo sguardo sul modello dei Sette Regni, con lo sguardo vacuo e immobile di chi riflette. «È vero, però. Dovremo salpare, entro pochi giorni. Ma tu dovrai rimanere qui, a governare Roccia del Drago in mia vece. Maestro Pylos ti aiuterà per tutte quelle incombenze che ormai affaticano il tuo corpo».
La decisione, che sarebbe sembrata perentoria se non fosse stata pronunciata da Stannis Baratheon, il che la rendeva irrevocabile, lo lasciò sorpreso e incuriosito. In sua assenza, ci sarebbe stata lady Selyse Florent.. in assenza di questa, ser Axell Florent, suo zio, rivestiva il ruolo di castellano da alcuni anni.. o anche ser Lomas Estermont, o persino ser Davos, il Cavaliere delle Cipolle.. non era amato quasi da nessuno, sull’isola e in quelle vicine, ma la parola di lord Stannis sarebbe valsa più di qualsiasi loro malumore. Perché invece un maestro, per giunta vecchio?
Perché io? Tutti gli altri che fine fanno?
Ma non furono queste le parole che disse.
«Bene, mio lord. Mi farò compagnia con septon Barre, e se mi lascerai maestro Pylos, avrò modo di far riposare il necessario queste stanche ossa. Ma.. posso chiedere cosa è successo? Qualcosa di grave? Quali nuove dunque da Approdo?».
Stannis sembrò faticare a staccare gli occhi dai Sette Regni, come fosse immerso in qualche ragionamento o calcolo complicato. Guardò Cressen, poi guardò la missiva che portava la firma di Robert, il re.
«Niente di grave» bofonchiò, a bassa voce, come parlando con sé stesso.
Quella non era una risposta. Il maestro a fatica si rimise in piedi, lasciandosi scappare un impercettibile lamento, e stava per mettere alla prova la pazienza di lord Stannis, il quale odiava l’insistenza nelle domande.
Sentì dei passi per le scale, e un leggero bussare alla porta. Più passi, anzi. Aspettavano ser Davos, ma quel tocco non era da Cavaliere delle Cipolle.
«Il sole sta calando, Cressen. Credo sia ora tu torni nei tuoi alloggi a mangiare e a riposarti».
La penombra era diventato un buio fastidioso nella sala.. presto qualcuno si sarebbe occupato di riaccendere a fiamma viva il fuoco nel braciere, e ad accendere qualche torcia. Lo sguardo di lei – fiamma ardente nei suoi occhi, come quelli dei gatti nel buio della notte, e il rosso così vivo dei capelli e delle vesti, da vivere di luce propria – si posò sul vecchio, e un sorriso mellifluo sollevò la sfida che da tempo ormai andava avanti.. e subito dopo, entrò ser Davos Seaworth, accompagnato da suo figlio Devan, il quale si affrettò ad avvicinare al braciere nuovi ciocchi di legno, e a portare nella sala un’altra sedia.

“È ora di mangiare e di riposare”.
Fu a quelle parole che Cressen pensò, nel lungo tragitto dalla Sala del Tavolo Dipinto, fino ai suoi alloggi, quando ormai spossato e con l’anca sempre più dolorante, si lasciò cadere sulla poltrona vicino al focolare e chiese che gli fosse portato del vino caldo e qualcosa di leggero da spizzicare.
Vai a mangiare e poi a dormire. Ciò che le madri dicevano ai bambini fin dalla notte dei tempi.. o che utilizzavano come abitudinaria scusa quando i piccoli non dovevano ascoltare le cose che i grandi si dicevano.
Forse è così che funziona, caro Cressen.. Forse la vita è come il sentiero che porta alla cima.. c’è un tempo in cui sali, e un altro in cui dovrai scendere di nuovo, passando per gli stessi luoghi già visti. Qual è stata la tua cima, mi chiedo?.. qual è stata..
Lord Stef
00mercoledì 6 febbraio 2013 18:57
Il Ritorno della Vipera


Il sole tramontava dietro le possenti mura di Lancia del Sole e dal porto indaffarato marinai mercanti e semplici popolani si avviavano verso le proprie dimore o verso le numerose taverne che fiancheggiavano le banchine e i moli.
Solo un piccolo gruppo di soldati ancora si soffermava nei pressi del molo Braavosiano.

Questa scena si presentava agli occhi del Principe Oberyn della casa Martell,il quale dalla prua della sua nave,la Regina della Sabbia,comandava la manovra d'ormeggio.

Il principe appena visto il drappello si girò verso il suo scudiero e disse: "Daemon ecco il comitato d'accoglienza di mio fratello Doran.
Niente sfugge al Signore del Dorne,sicuramente sarà già informato di tutto quello che il signore di Bravoos mi manda a riferire.
Potevamo benissimo stare un altro giorno o due in quella città,credo di non aver usato abbastanza la mia lancia nei bordelli del Titano.
Se poi penso a quella dolcezza di Lys da cui mi hai strappato...bah mi viene voglia di infilzarti seduta stante" concluse esplodendo in una tonante risata.

Daemon Sand suo scudiero si fece piccolo piccolo e con voce tremante cercò di scusarsi: "Mio Principe il messaggio di vostro fratello era chiaro, rientrate immediatamente nel Dorne,importanti novità in vista ,come avremmo potuto ritardare? se i miei occhi non mi ingannano addiritura il comandante della guardia del Principe comanda la vostra scorta sul molo, il prete barbuto Areo Hotah.
Davvero grande fretta spinge sua Altezza Doran se si priva del suo più fidato guardiano per mettervi fretta mio Principe
Ma eccoci alla banchina,marinai ormeggiate e preparate la passerella, la Vipera è tornata nel Dorne".

"Che annunciò pomposo Daemon" lo interruppe Oberyn "Mancò fossi la regina Nymeria.
Ma ecco il vecchio brontolone venirci incontro.
Caro carissimo Areo avrei preferito una scorta di baldracche di Lancia per allietare il mio ritorno ma a quanto pare dovrò attendere prima di generare nuovi sudditi per il mio amato fratello.
A proposito si muove o la gotta lo tiene ancora inchiodato a quella poltrona???"

Storcendo il naso Areo Hotah estrasse una pergamena e ne lesse immediatamente il contenuto ad alta voce per far smettere i troppi sollazzi del Principe: "Oberyn caro fratello,sò che giungerai questa sera al porto Bravoosiano. E so che come tua indole faresti passare almeno due notti prima di farti ricevere da me.
Ma questioni urgenti richiedono la tua presenza e quindi ti affido alle cure della mia Guardia in modo che al più tardi per cena ti avrò alla mia tavola.
tuo fratello il Principe Doran Nymeros Martell"
"Ecco Principe queste sono le parole del mio signore.
Ho due cavalli in più,uno per te e uno per il tuo scudiero.
Ho inoltre predisposto alloggi alla taverna Orgoglio della Rhoyne per i tuoi uomini e l'equipaggio della tua nave.Nulla verrà loro a mancare.
E ora ti prego di seguirmi."

"E allora andiamo,Daemon avverti ser Arron e ser Dickon di far alloggiare i Denti della VIpera e pregali di trovarmi qualche giovane donna bendisposta per allietare la mia nottata appena tornerò dall'incontro con mio fratello."

"Come ordini mio Principe."

"Ah dimenticavo già che ci sei porta questo messaggio a mia nipote Arianne e alle mie figlie. Vedrai che probabilmente le troverai tutte assieme. E come avrai capito ti dispenso da questa cena spiacevole. Compi i tuoi doveri e poi divertiti!" e così dicendo Oberyn lanciò una borsa di dragoni al suo scudiero e si diresse verso Areo e la scorta che già impazienti lo attendevano a cavallo.

"Andiamo mio caro Ser Areo...non facciamo attendere più di tanto Doran"

"Il principe Doran mio signore...e io non sono un cavaliere!" sbottò Areo prima di lanciare al galoppo la compagnia verso la fortezza di Lancia del Sole
Hamish Snow
00mercoledì 13 febbraio 2013 14:01
Ad Approdo. Parte I
Una fredda alba chiara, sottile, quasi onirica, si affacciava a risplendere sulle onde del mare. Da quando, tre giorni prima, erano salpati da Roccia del Drago, la forte tramontana aveva increspato la distesa azzurra del Mare Stretto, spingendo velocemente le otto navi di Stannis verso la loro destinazione, Approdo del Re.
Alla fine, aveva deciso di portare con sé Lord e Cavalieri, e i suoi scudieri, insieme a maestro Pylos. Sua moglie con sua figlia, e i suoi mai piacevoli parenti Florent, sarebbero rimasti a Roccia del Drago, insieme a Cressen e il septon Barre.
Forse avrei dovuto portare con me il septon e lasciare la donna rossa a Selyse e suo zio. Meglio così, un po’ di equilibrio e di normalità non gli farà male.
In verità, non era preoccupazione o interesse per i desideri di sua moglie, o del castellano della sua aspra e scura dimora a muovere certe considerazioni.. non in questo momento, soprattutto. Sentiva che qualcosa stava montando nei Sette Regni, e certe missive sembravano confermarlo.. ma era una sensazione forte, come l’alta marea ancor prima del suo arrivo si percepisce dagli odori, dal comportamento dei gabbiani e da altri segnali. Era doveroso pensare a ogni cosa, in modo da esser pronti a qualsiasi evento.

Scelse di non indossare i guanti che teneva ormai da alcuni minuti in mano, e li ripose tra la cinta e il leggero corpetto di cuoio morbido, inspirando profondamente e volgendo lo sguardo da poppa a prua. La baia delle acque nere non era lontana.. Inspirò ancora. Presto, se qualche miracolo non era occorso negli ultimi tempi a stravolgere quella che era una caratteristica ormai essenziale della città, le sue narici sarebbero state invase dalla puzza del pesce, delle fognature mai perfettamente funzionanti, del sudore e della legna bruciata.. e le sue orecchie, dalle inutili voci di migliaia di persone, popolani, mercanti, cavalieri tracotanti e nobili minori sempre pronti a esibirsi in gare di adulazione.
In fin dei conti, però, quella era la nuova casa dei Baratheon, prima ancora di Capo Tempesta.. per non parlare di Roccia del Drago.. da lì, il Re suo fratello dominava sui Sette Regni, lì riceveva richieste o preghiere; da lì emanava ordini.. lui, il fratello fedele, quello sempre pronto a servire la causa, anche stavolta si stava recando nel luogo dove era stato convocato.. ma nessuno lo avrebbe mai convinto a farsi piacere quel letamaio che era Approdo.
«Mio lord. Maestro Pylos dormiva ancora, arriverà tra qualche minuto».
Stannis a malapena si girò, facendo solo un cenno di assenso verso Godry, che da qualche tempo aveva accettato presso la sua poco numerosa corte come scudiero. Suo padre, ser Gilbert Farring, era un personaggio piuttosto anonimo, senza doti di livello straordinario, tuttavia un uomo d’armi leale, fedele e che conosceva l’arte della guerra. Non c’era stato bisogno di ragionare troppo a riguardo, entrambi i suoi figli, Godry e Bryen, lo avrebbero servito per qualche tempo, come richiesto dal padre, e in fondo, non c’era stato nulla di cui lamentarsi finora.
La Furia, su cui navigavano Stannis, maestro Pylos, Godry Farring e ser Perkin Follard, non sarebbe stata la prima nave a raggiungere Approdo. Con un giorno di anticipo, erano salpate da Roccia del Drago la Fantasma e la Lady Marya, sotto il comando di Dale e di Allard Seaworth, i due figli maggiori del Cavaliere delle Cipolle. Sarebbero giunte prima per raccogliere tutte le informazioni possibili sulla situazione. Lord Ardrian Celtigar, lord Monford Velaryon, e così anche lord Guncer Sunglass e persino il ragazzo di Sharp Point, lord Duram Bar Emmon, erano tutti accorsi ad Approdo, richiamati dalla notizia della Dieta Regale e dalle voci del grande torneo che lord Renly Baratheon, ora Voce del Re Robert, andava preparando.
E probabilmente, vedere accorrere tutti questi omuncoli dai titoli lucidi ti darà una profonda sensazione di dolcezza, eh fratello? A te basta questo, non ti serve conoscere cosa si nasconde sotto il mantello.
Erano comunque già tutti lì a quanto immaginava, e con loro anche numerosi cavalieri che da tempo servivano presso Stannis. Non dubitava che presto, quando le altre nobili casate dei Sette Regni avessero ricevuto la notizia, Approdo sarebbe divenuto un posto persino peggiore di quel che già era.
Perso in questi pensieri, tornò a focalizzare lo sguardo di fronte a sé. La Lord Steffon solcava le acque a poche centinaia di metri, e più a nord, la Cervo del Mare, la Harridan e la Cavallo marino seguivano la scia, cercando di sfruttare al meglio le folate di forte tramontana che gonfiavano le vele, senza per questo penalizzarsi l’una con l’altra. A sinistra della Furia invece, a quasi un chilometro, ser Davos aveva scelto di seguire altre correnti con la sua Beta Nera.
Una ben misera flotta personale per colui che, insieme a Paxter Redwyne lord di Arbor, aveva preparato all’annientamento la ribellione delle Isole di Ferro, anni prima. Nessuna lamentela, comunque. Suo era il dovere di difendere, proteggere de esaltare, quando possibile, la gloria del suo casato. Suo era anche l’onere di servire fedelmente il Re, ancor più in quanto suo fratello. Fin tanto che i Baratheon avessero prosperato, non sarebbe giunta alcuna lamentela da parte di Stannis. Non lo aveva fatto in passato, non lo avrebbe fatto ora. Tanto più ora che..

«Perdonate il ritardo, mio Lord. Pensavo di subire di meno il moto delle onde, e della mia testa con loro». La voce pacata del giovane Pylos risultò più debole del solito. Bastò uno sguardo veloce, per capire che il nuovo maestro di Roccia del Drago non aveva chiuso occhio e aveva buttato l’anima per tutta la notte. Il colorito giallognolo del viso e le profonde occhiaie parlavano chiaro.
In mancanza di una risposta di Stannis, che fece qualche passo verso il castello della nave e tornò a guardare verso occidente, Pylos si schiarì la voce e, seguendo il Baratheon, rivolse la sua attenzione nella stessa direzione.
«Oh! Bene» aggiunse dopo qualche istante, «gli dèi hanno ascoltato le mie preghiere. Quelle sono le Terre della Corona.. e quelle in lontananza sono le figure della Fortezza Rossa e delle grandi mura..».
«Senza il vento favorevole, ottime navi e un buon equipaggio, saresti rimasto nella stiva a invocare gli dèi per altri due giorni.. almeno..».
Che buongiorno.. almeno mi ha rivolto la parola..
«Se posso, mio lord.. da quanto mancate da Approdo?».
Stannis appoggiò entrambe le mani sull’impavesata di tribordo. A suo modo, era un leggero segno di nervosismo.
«Da circa due anni. Perché lo chiedi?».
«Per una mia curiosità. Non sono nato lì, e ammetto che la frenesia e il baccano di una città del genere sia.. come dire, disturbante. Eppure, la sua grandezza fa sempre il suo effetto, non trovate?».
Stannis lo guardò per alcuni istanti. Da sotto le sopracciglia dritte e scure, duri occhi blu fissarono il maestro.
«Un effetto a dir poco fastidioso. Non ti ho chiamato per una chiacchierata di prima mattina, comunque. Ser Follard e ser Rambton, che è sulla Harridan, sanno già cosa devono fare appena sbarcati. Accompagnali, e recati alla Misericordia. Lord Guncer Sunglass ha sicuramente delle cose da dirti.. e da consegnarti per me».
Pylos inizialmente rimase perplesso.. un arrivo così frenetico, e queste strane dinamiche.. poi cominciò a capire, e la sua espressione si rilassò, forse troppo evidentemente.
«Capisco, mio lord. Due anni in effetti possono essere pochi.. ma anche molti. In fin dei conti le novità.. di una città.. di una corte.. insomma.. Concordo, meglio sapere com’è la situazione nelle strade, se ci sono novità di cui non sei st..».
«Ti prendi confidenze e libertà di parola in modo piuttosto sfrontato, giovane maestro», lo interruppe bruscamente Stannis. «Non ti ho chiesto un consulto a riguardo, ti ho appena dato un ordine, Pylos. Quando hai fatto, raggiungimi nella mia cabina». Detto questo, il fratello del Re si mosse a passo veloce verso il boccaporto.
Se non fosse che ha sempre la stessa espressione, quando è di buon umore e quando non lo è, ci sarebbe da rimanerci male.
Il maestro si guardò intorno, ma l’equipaggio non aveva sentito nulla, o forse faceva finta di non sentire.
D’altronde se tratta così quelli appena sotto di lui, non oso immaginare questi cosa avranno subito di tanto in tanto.

Il sole si accingeva a raggiungere il punto più alto nel cielo, e complice anche la copertura della baia dal freddo vento del nord, la luce aveva cominciato ad infuocare vesti, teste e il legno e il ferro della nave. Finalmente, la Furia estrasse dai suoi fianchi, come aculei di un enorme insetto, i suoi remi – non tutti per la verità, dei trecento remi la metà era più che sufficienti – e iniziò a risalire il fiume, dopo esser passata sotto l’ombra della grande Fortezza Rossa. Anticipata dalla sola Beta Nera di ser Davos Seaworth, la nave di Stannis entrò infine nel porto.. un porto che ricordava molto meno affollato, quando circa un anno fa era partito dalla capitale per iniziare il suo lavoro a Roccia del Drago.
Le navi dei piccoli lord del Mare Stretto.. non le conosceva, ma conosceva l’araldica. Le stelle dorate che capeggiavano in lontananza da almeno due navi erano dei Sunglass.. Dalla nave più vicina, di cui Pylos cercò di comprendere le lavoratissime rifiniture della murata, sventolavano i granchi rossi dei Celtigar. Delle due navi, di cui una con un grande scafo forse di ferro lucido, forse di argento, non vedeva i vessilli, ma ad alcune centinaia di metri, risalendo il fiume per trovare, forse, un altro luogo d’attracco, c’era quella che doveva essere certamente la Pesce Spada dei Bar Emmon. Raramente una nave assomigliava così tanto nella sua forma al proprio nome e al simbolo della casata cui apparteneva.. un’appuntita e lunga prua, rivestita di ferro, nascondeva in modo davvero poco efficace un enorme rostro da sfondamento.
Quando la Furia finalmente rallentò, fino ad attraccare al molo, Pylos cominciò a indossare la mantellina e a sistemarsi la sua tunica, cercando di ricacciare dalla mente il dubbio se l’enorme quantità di navi che aveva intravisto per un attimo, in lontananza, dall’altra parte del fiume fosse solo il frutto di un’allucinazione momentanea o qualcosa di cui non era a conoscenza si stava muovendo….
Albus Lupin
00mercoledì 13 febbraio 2013 17:05
VARGO II – Le Avventure Pregresse di Vargo Hoat

Negli ultimi tempi, Vargo era spesso ubriaco.
Una volta di questo, una volta di quello, assai spesso di questo e quello.
L'inattività lo rendeva pigro, più violento e sicuramente più matto di quanto non fosse normalmente, il che era tutto dire.
In particolare, odiava il posto in cui gli Dei avevano avuto l'idea di sistemarlo: troppe colline, troppe guardie, troppa gente che guarda, spia, si fa idee strane e poi racconta a chi non dovrebbe quello che ha visto e spiato, in modo tale da far diventare una ridicola scaramuccia in cui erano crepati nove bifolchi piuttosto simile a un'invasione.

E' chiaro, avere seco più di ventimila uomini e novemila cavalli che cagano in ogni buco, mangiano tutto quello che trovano e si bevono interi torrenti non è piacevole per chi si spacca la schiena sulla terra, arrivando malamente alla fine della settimama.

Spesso i bifolchi si rivolgono ai loro Lord per essere liberati dalla piaga di puzzolenti vagabondi sfaccendati e ignoranti che rubano loro il poco che hanno..
A volte i puzzolenti vagabondi si chiamano Bravi Camerati e dove passano loro raramente le cose rimangono immutate.
Questa è una di quelle volte.

Un gruppo dei sordidi bastardi di Vargo si era dedicato all'esplorazione di quella ridicola penisola occidentale in cui gli Dei avevano avuto la simpatica idea di farli approdare.
I Bravi Camerati non brillano per intelligenza o acume e salvo i pochi (pochissimi) in grado di saper scrivere il proprio nome correttamente quasi nessuno si intende di araldica, motivo per cui, saccheggiare una cittadina con un leone o una trota su una bella bandierina di velluto importa poco, soprattutto se non si è al servizio nè di un leone, nè di una trota.
Si dà il caso che questi baldi giovanotti si siano imbattuti, tra le colline, in un ridente altopiano verde che svettava sull'altrettanto ridente penisola di cui parlavamo sopra e che tra loro fosse presente uno dei più variopinti uomini al soldo di quella canaglia di Vargo, ossia Shagwell il Giullare o Shagwell il Pazzo, che dir si voglia, col suo cappello verde e rosa e il suo brutto, bruttissimo muso.
Ora, per chi non lo sapesse, Shagwell è psicopatico.
Sarebbe da abbattere se vivesse in una comunità con usi e costumi civili, retta da leggi savie e utili.
Shagwell tuttavia è, dicevamo, un Bravo Camerato, e quindi, come nel caso di Zollo il Grasso, il suo essere completamente pazzo è un pregio, piuttosto che un difetto.

Tornando a noi..un gruppo di Bravi Camerati con a capo Shagwell il Giullare si era arrampicato sulla cima di questo bell'altopiano, imbattendosi in una distesa verde e marrone.
Verde per la tenera erbetta, marrone di sterco di cavallo.
Tonnellate di sterco di cavallo!
Shagwell è pazzo ma non scemo: dopo aver impiegato cinque minuti buoni a fare mente locale aveva fatto abbassare i suoi compari fino e a terra e li aveva fatti strisciare fino a uno di quei magici cumuli marroni.
Una volta raggiunto l'obiettivo, i Bravi Camerati l'avevano trovato tiepido e compatto, segno che le bestie erano in buona salute e piuttosto vicine.
La quantità di sterco suggeriva un grande allevamento mentre la disposizione totalmente casuale dei cumuli marroni, oltre che la totale assenza di divisioni di sorta o barriere, lasciava intendere che i cavalli venivano allevati allo stato brado.
Pazzo ma non Scemo.
Shagwell aveva lasciato i suoi sul luogo ed era tornato scampanellando come il Pazzo che effettivamente è all'accampamento, dove aveva trovato Vargo in stato comatoso (nella solita pozza di vomito) e Qyburn nei panni del "facente funzioni", visto che anche Urswyck era indisposto.. dove indisposto sta per "Sta crepando per la sifilide contratta da non si sa quale baldracca, speriamo che Qyburn lo salvi perchè fedele come lui ce ne sono pochi".
Qyburn, che al contrario di molti altri sa scrivere il suo nome e si intende di simboli su bandiere, aveva fatto due più due, aveva estorto una firma sghemba a Vargo, aveva spedito un corvo non si sa dove e aveva poi predisposto un piano per catturare diversi cavalli.
Dove diversi sta per TUTTI I CAVALLI.

Vargo si era quindi destato dal suo torpore sporco di succhi gastrici e bava rosata, con lo scalpitio di centinaia di cavalli in testa.
Potevano essere anche solo nella sua testa ma non era quello il caso.
Quel bastardo di Shag aveva fatto un grosso servizio, scoprendo quella miniera equina d'oro: c'erano già quasi mille soldati che stavano buttando i vecchi equipaggiamenti nei carriaggi per recuperare (spintonandosi e accoltellandosi) i pezzi di ricambio per i già settemila cavalleggeri presenti nella Compagnia.
Alcuni di questi novelli soldati a cavallo sembravano usciti da una tomba, con pezzi di equipaggiamento ammaccati e punte di lancia arrugginite ma avrebbero sicuramente trovato da rubacchiare, qua e là, a morti, morenti o vivi a cui avrebbero accorciato la permanenza sulla terra, quello che serviva loro.

Vargo si era quindi prodigato negli elogi per il suo umile e pazzo sottoposto, aveva sostituito la sua spadaccia con un assai più letale mazzafrusto a tre code e gli aveva tirato (nei denti, a causa dell'ubriachezza molestissima e dei cavalli che ora, era sicuro, continuavano a galoppare nella sua testa) un sacco d'oro di medie dimensioni.
Mentre lo aiutava ad alzarsi, nel suo ghigno maledetto riconobbe il muso di quel ragazzetto che una vita prima aveva tolto da quel barile in mezzo al mare, ormai pazzo per la sete e gli stenti.
Era già vestito da pagliaccio e aveva raccontato di aver avuto un compagno, proveniente dal lontano Oriente, con la faccia tatuata come si usa a Volantis, di cui ormai non sapeva più nulla.
Non sapendo cosa farsene, Vargo lo aveva lanciato in prima linea, dove il giovane si era distinto per diverse capriole con accoltellamenti che evano lasciato il suo superiore di allora, Urswyck, talmente basito da averlo costretto a promuoverlo a un posizione di maggior prestigio da quella di "carne".
Il Pagliaccio era diventato Luogotenente e aveva iniziato a portare a termine azioni folli e sconsiderate.
Non c'era avversario su cui non potesse precipitarsi dall'alto, brandendo i suoi coltellacci e menandoli con precisione chirurgica.
In molti cadranno ancora sciotto le sciue lame, si trovò a pensare Vargo, moltre teshte sciaranno shpaccate da queshto massciafrushto perchè dietro la pace che ci si affanna a mostrare e a mantenere, non sce pascie nel Weshterosh.
Gorgia Da Leontini
00mercoledì 13 febbraio 2013 18:04
Nell'attesa
Si svegliò presto quella mattina, quando il sole doveva ancora sorgere e il chiarore leggero che precede l'alba riempie il cielo. La sensazione spiacevole di quel lieve freddo che l'aurora porta sempre con se, anche durante l'estate, entrava di soppiatto, non invitato, nel suo letto.
Non era abituato ad alzarsi tanto presto, non era abituato ad alzarsi quando i contadini cominciano a preoccuparsi delle terre che coltivano per i loro signori e gli stallieri a mungere le vacche.
L'aveva fatto qualche volta, ma era una questione di forma, amava rendersi piacevole ai popolani ed era sempre rimasto colpito da quanto poteva fare una semplice visita ai campi quando loro meno se l'aspettavano. Ogni tanto dunque si era alzato controvoglia e spinto dalle voci dei suoi attendenti che gli ricordavano che quel giorno aveva deciso di andare tra la gente, per poi far finta di interessarsi a come crescevano le messi, a quella malattia che gli dicevano aveva colpito qualche animale, o a quella disputa sul confine di un fondo. Il Principe buono, il Principe del popolo, questa era la ricompensa a quegli sforzi, una ricompensa che apprezzava, a Renly piaceva essere amato, molto piu che essere temuto. Una cosa che lo aveva sempre reso differente dai suoi fratelli, soprattutto uno.
Certo lui piu di tutti amava la vita di corte, i balli le conversazioni con gli alti lord e i tornei, ma non aveva mai avuto la foga di Robert o il rigore di Stannis, per lui erano questioni estetiche, era la bellezza ad affascinarlo, e si era sempre premurato di donare alla sua Casata un aspetto maggiormente Regale, almeno per come lo concepiva lui, forma impeccabile, gusto estetico e una buona dose di scenografia per impressionare, c’erano altri, più adatti ad impersonare la brutalità e la forza.
Ma seppur convinto dell’importanza di quello che definiva la “foggia da mostrare ai Sette Regni” era ben consapevole che alla fine erano le enormi masse dei popolani quelle che potevano, pur senza averne titolo, forgiare i destini di un Re, se nei Sette Regni le genti avessero amato fino in fondo il Re Folle con quali uomini lo si sarebbe combattuto?
Quella mattina però erano altri i pensieri che lo avevano svegliato. La Regal Dieta per cui tanto si era speso alla fine si sarebbe tenuta e uno dopo l’altro Lord da tutti i Sette Regni sarebbero giunti ad Approdo, a partire da Stannis che era atteso da li a poche ore dopo aver solcato le acque che separavano il suo feudo dalla Capitale. Stannis che l’aveva sempre considerato un debole in fondo, un uomo troppo leggero e delicato per il comando, e che , pensava, forse ancora rimuginava su quello che anche Renly avrebbe visto con poco piacere, l’essere destinato a quello scoglio chiamato Roccia del Drago.
Si alzò dunque dal letto controvoglia e cominciò a vestirsi, da solo, come sempre in quelle che considerava occasioni importanti, occupò il giusto tempo a scegliere vesti che avessero una foggia di pregio, curava il colore, il taglio ed anche il senso di nobiltà che potevano donargli, nessuno vedendo Renly Baratheon doveva dubitare del suo rango, tantomeno il fratello

“Ma tanto tu non ti preoccupi di questo vero? Riesci ancora a credere che solo il ferro dia la misura di un uomo nella tua ingenuità”

I servitori si meravigliarono quando dopo aver delicatamente bussato alla porta si sentirono rispondere di portare la colazione immediatamente visto che il Principe era gia sveglio e pronto. Voleva farsi trovare sulla banchina all’arrivo di Stannis, non sapeva bene il perché, ma voleva essere il primo ad abbracciarlo, non sembrava che il desiderio venisse da un qualche semplice legame familiare, non era la gioia del vedere dopo tanto tempo una persona cui si era legati da affetto, era una strana spinta quella che lo muoveva, che non comprendeva bene nella sua natura, ma che sentiva doveva essere assecondata….
Charanna
00mercoledì 13 febbraio 2013 22:45
Lady Whent (I)

Si sciolse la lunga treccia di capelli corvini, sedendosi di fronte alla specchiera.
Erano ormai passati i giorni in cui inorridiva alla scoperta di ogni nuovo filo d’argento nella sua chioma, eppure Shella Whent non riuscì a trattenere un sospiro, rendendosi conto che aumentavano a vista d’occhio.
Spesso, riandava col pensiero agli anni trascorsi, al lord suo marito – che gli Dei preservassero sempre la sua anima – e ai suoi figli, caduti uno dopo l’altro come petali di un fiore, al sopraggiungere del crudo inverno.
Lady Whent sorrise amaramente: doveva essere quella, la sua maledizione. Sopravvivere a tutti coloro che amava. Appoggiò una mano al muro, immaginando le crepe che si rincorrevano, dietro ai malconci arazzi, per poi salire lungo le torri di Harrenhal. La fortezza stava andando in rovina, lentamente, costantemente, col passo del condannato che sale sulla forca.
Lady Whent prese un respiro profondo, tornando a sedersi. Afferrò una spazzola ed iniziò a passarsela apaticamente fra i capelli. Di solito, quello era un compito che spettava alla sua ancella personale, ma il fratello di Sezara si stava riprendendo da una grave malattia, e la lady di Harrenhal aveva concesso alla ragazza di trascorrere la notte a casa, al suo capezzale.
Inoltre, passare del tempo da sola era terapeutico. La sua tetra fortezza era un luogo solitario ed era inutile opporsi all’evidenza dei fatti. Era più saggio cercare migliori compagnie nella lettura e nella riflessione, accogliere la solitudine come una vecchia amica.
Shella Whent ripose la spazzola e lanciò uno sguardo fuori dalla piccola finestra.
Il sole era tramontato e soffiava una leggera brezza, che increspava le fiamme delle candele.
La lady contemplò il cielo per qualche istante: sembrava sereno, ma all’orizzonte già s’addensavano nubi cariche di pioggia. La donna si strinse nella spalle: non doveva per forza leggerci un presentimento. A volte la pioggia è solo pioggia.
Sfogliò un libro, lentamente, con cura: era un resoconto vagamente romanzato e davvero poco attendibile della vita e della morte di Aegon III “Veleno di Drago”. Assaporò il contatto della pergamena ruvida sui propri polpastrelli, poi ripose il libro.
Il giorno dopo sarebbe partita di buon mattino. Quasi le dispiaceva lasciare la sua cupa e ormai decadente dimora, ma sarebbe stato piacevole rivedere la Forca Rossa.
E poi, mai la famiglia Whent era venuta meno ai suoi doveri. Mai era fuggita dalla battaglia, mai aveva disonorato una promessa. Si coricò e prese rapidamente sonno, cullata da quel pensiero.

I suoi sogni furono confusi, caliginosi.
Lady Whent non ricordava l’ultima volta che aveva fatto un vero incubo o un vero sogno. Come se l’età avesse portato via anche l’immaginazione, oltre che il vigore e l’entusiasmo.
Qualche volta, in sogno, rivedeva le ombre dei suoi figli, risentiva la risata piena di suo marito, ma anche quelle emozioni erano soffuse di nebbia.
E quando si destava non ricordava altro che un panorama interminabile di chiaroscuri.
Quella mattina, non fu diverso.
Mance
00giovedì 14 febbraio 2013 12:28
La Partenza
Sole, cielo limpido, mare turchese e assenza di vento.
Salladhor Saan era coricato sulla parte superiore della polena della sua nave, della sua nuova nave, la Lyseniana. Apparteneva al passato solo quella vecchia polena a forma di donna, con un infante tenuto dolcemente al grembo dal braccio sinistro e il destro rivolto distrattamente in avanti quasi ad indicare con l’indice un punto indefinito oltre l’orizzonte, sperduto tra i confini del cielo e del mare. Il viso era maturo concentrato verso ciò che anticipava la prua, ma il tenue sorriso le donava un non so che di enigmatico. Il volto del bambino era calmo e sereno, quasi certo della sicurezza e della protezione che le dava la madre. Ed era per questo che ogni volta che un nuovo marinaio si legava alla compagnia doveva sottostare al “Bacio”. Lui amava chiamarlo così. Infatti ogni nuovo membro, sia esso semplice mozzo o capitano di nave, doveva recarsi sul ponte, vicino la polena e pregare il proprio Dio, inginocchiandosi e baciando la parte iniziale della polena chiedendo di intercedere per lui.
Ed era quello che avevano appena terminato di fare circa una novantina di marinai di quel piccolo isolotto. Attratti dalla possibilità di facili guadagni, dalla paura di morire di fame in uno sperduto isolotto dell’Essos o più semplicemente in cerca di avventura.
Nel mattino aveva reclutato oltre seicento marinai, di Lorath. Di questo era molto contento…erano tutti abili marinai e la stragrande maggioranza aveva esperienza. Vedendo la flotta di Salladhor al largo di Lorath avevano deciso di lasciare i propri posti per aggregarsi ad una delle più grandi flotte navali mai viste. L’opportunità era davvero ghiotta e Salladhor lo sapeva.
Il vero problema però, era che in questo momento, con una flotta di oltre 270 navi tra scafi lunghi e a conchiglia e un equipaggio abbastanza adeguato, non aveva la benché minima idea di cosa fare. Ma qualcosa doveva pur escogitare, poiché le stive avevano si scorte e oro per sopravvivere qualche mese, ma lui era sopravvissuto per troppo tempo e la tempesta del naufragio glielo aveva ricordato… lui ora voleva vivere!
Inoltre l’equipaggio doveva tenersi occupato per non creare problemi.
Non che le offerte di lavoro mancassero. Lo avevano infatti contattato quattro alti Lord del Westeros e persino il Re, Robert Baratheon primo del suo nome, lo aveva onorato di una missiva.
Tutti i corvi però, portavano semplici inviti a recarsi in un posto o nell’altro senza ingaggi di trasbordi o di razzie. La pace del Re era salda e per il momento si doveva accontentare e poi c’era quel debito contratto a Braavos, debito al quale non poteva sottrarsi.

Stava riflettendo su tutte queste cose quando un ombra sorvolò il suo corpo e Salladhor sorrise. Balzò in piedi sulla polena e distese distrattamente il suo braccio. Nonostante l’età non fosse più giovane, il suo fisico era comunque ancora agile e gli anni di mare gli avevano donato un non so chè di severo che solo il suo sorriso sardonico sapeva mitigare.
Ora, lì in piedi sulla polena, scalzo, con delle braghe di pelle verdi scure e una giubba a sbuffo in lino color panna, sembrava più giovane di quel che era realmente.
Hermano planò sulla sua mano… “Jo soi…”
“…Hermano, si lo so, amico mio… sono ormai più di sei mesi che me lo dici e credo di averlo capito” disse sorridendo Salla, mentre il Pappagallo variopinto si sistemava goffamente sulla spalla del suo padrone.
Hermano lo aveva comprato qualche mese prima a Lys, dove il suo padrone, un commerciante di animali che asseriva la sua provenienza dalle isole dell’estate, non aveva altro sogno che di liberarsi del pennuto. Infatti, comprato come pappagallo parlante, il povero Hermano non diceva altro che “Jo soi Hermano”. Salladhor ne aveva riso, però osservandolo incuriosito, aveva notato che l’uccello, giocando con un pallottoliere sul quale si era appollaiato, faceva col becco i calcoli che due bambini intenti ad ammirarlo gli suggerivano e non solo, ma quando uno di quelli gli porse una noce come premio, Hermano la ruppe e la spartì in parte con loro. Vedendo quello Salla volle il pennuto che divenne per lui come un’ombra, con il sommo piacere di Atir, che si lamentava sempre delle sue cacate in lungo e in largo per il ponte. Il fatto curioso era che quando l’uomo lo guardava con fare minaccioso Hermano faceva finta di morire girandosi a terra su se stesso, suscitando l’ilarità dell’equipaggio.

In quel momento, li sulla polena con Hermano sulla spalla, una lieve brezza gli accarezzò il viso.
Salla scese agilmente sul ponte, infilò i calzari e prese il suo cappello verdastro con la piuma variopinta. L’equipaggio sembrò destarsi da una sorta di torpore legato ai pensieri del suo capitano e attese istruzioni.
“Ciurma! Direzione Ovest, Sud-Ovest! E non sto neanche a dirvi quale deve essere il nostro posto nella flotta!”.
“Ayè!” risposero alcuni con fervore mentre altri sorridevano e i più cominciarono a muoversi come formiche sulla nave. Sul pennone di prua le vedette urlarono gli ordini e a poco a poco quel laborioso fremito si sparse sulle altre navi come un’onda lenta ma regolare, fino a che tutte cominciarono a muoversi dapprima lentamente e poi via via prendendo sempre maggior velocità.

Raggiunta la testa della flotta, sul ponte giunsero i “religiosi”, o almeno così li chiamavano lui e Atir con una sorta di reverenza mista ad ironia.
Maestro Benfred fu il primo, congratulandosi con Salladhor e asserendo che i sette lo avevano finalmente guidato ad una decisione. Poi venne Tyrek di Orkmond, secondo il quale il Dio Abissale era stanco di vedere tutte quelle navi all’ancora inutilizzate e Salladhor, per non adirarlo, aveva fatto bene a muoversi verso una meta, qualunque essa fosse.
Per ultimo, dopo un lasso di tempo considerevole, giunse Allerio, il prete rosso.
“Sei furbo marinaio”…esordì.
“Tutti credono che sai dove andare e cosa fare, ma i fuochi non mentono. Ti circondi di sacerdoti per placare gli dei… tutti gli dei, ma in realtà tu non hai fede in nulla. Lo fai solo per i tuoi uomini, affinchè credano, sperino e si fidino.”
“E questo che vedi nei tuoi fuochi, prete?” disse asciutto Salladhor.
“Questo e molto altro, ma non temere. Al mio Dio sta a cuore il tuo destino e a me il suo volere”.
“Mi stai facendo forse una dichiarazione d’amore? Sai, il rosso mi è sempre piaciuto, ma gli uomini no… forse, se mi avesse mandato una sacerdotessa…”
“Non prenderti gioco di me marinaio, né del mio Dio, verrà il giorno che tu avrai bisogno di tutti noi… uno a uno… di Benfred dei Sette, di Tyrek e del suo Dio abissale, di me e del mio fuoco e anche degli altri due. Prega fin che puoi!”, e detto questo se ne andò.
Salladhor rimase perplesso… chi erano quegli altri due? Non aveva altri religiosi sulla sua nave.
Allerio era pericoloso, aveva capito bene la situazione, era una persona riservata e devota ma non di certo stupida. Poi lui di pregare quegli Dei ne faceva volentieri a meno. Lui aveva la sua Dea, era raffigurata nella sua polena… madre, moglie e figlia… solo lei avrebbe implorato in caso di necessità, solo lei… perché lui… “Io sono Salladhor Saan” …sussurrò con un alito di fiato.
Hermano, che appollaiato sulla spalla lo aveva sentito, si lisciò il piumaggio della testa sulla sua guancia facendolo voltare. “Jo soi…”
Salla sorrise, “…si si, tu sei Hermano. Lo sappiamo tutti”. Dopodiché gli passò una noce, che il pappagallo ruppe e i due si spartirono osservando oltre la prua, nella stessa direzione indicata dall’indice della mano destra della Lyseniana, lungo il confine tra cielo e mare.

P.S. Se qualcuno fosse incuriosito da alcune cose non specificate, ho fatto dei mini prequel nel diario di bordo, nella mia sezione.
skarn87
00giovedì 14 febbraio 2013 15:18
Il Volo Del Falco

L’aria era limpida, fredda e pura. Il sole era già sorto nel cielo ma il suo cammino era appena iniziato e solo un debole chiarore ne rivelava la presenza, nella gola l’ombra era una presenza quasi costante e le ore in cui ci si poteva scaldare ai raggi del sole poche.
Una leggera brezza portò alle mie vecchie narici il familiare odore del porridge scaldato sui bivacchi da campo. Presto l’intero esercito avrebbe lasciato il passo, attraversato la porta di sangue e si sarebbe riversato nelle terre dei fiumi. Tutti i lord della valle avevano risposto alla chiamata e raccolto i loro uomini, preparandosi alla marcia e si erano diretti alla porta insanguinata.
Ora erano tutti riuniti nell’angustio spazio messo a loro disposizione da Lord Nestor, mentre i loro uomini avevano montato un grande campo che serpeggiava lungo la valle.
Corbry era stato l’ultimo ad arrivare e i suoi uomini non si vedevano tanto si erano accampati lontani, ma mi era stato assicurato che c’erano.
Non si poteva attendere oltre, la chiamata del Re era giunta improvvisa e come nello stile di Robert non ammetteva ritardi. Mentre guardavo il campo che si destava, dall’alto della fortificazione, ricordavo ancora le grida isteriche di mia moglie e i pianti del piccolo Robin, nessuno dei due era intenzionato ad abbandonare la sicurezza e le comodità del nido, ma il Re aveva chiamato e bisognava andare.
Prima di scendere nella sala sottostante e fare la colazione guardai un’ultima volta la mia splendida e amata valle, in alto tra i picchi un falco gridò al mondo la sua libertà e avvisò le sue prede che la caccia era iniziata.
Con un ultimo sospiro di rammarico mi girai e discesi le scale, seguii i corridoi affollati di servi intenti a servire nel modo migliore i proprio lord.
Quando entrai nella sala comune vidi i due fratelli Royce che come al solito discutevano animatamente, mentre altri lord mangiavano la loro colazione parlottando tra loro. L’argomento era sulle bocche di tutti nonostante il silenzio e i rispettosi saluti che mi rivolsero vedendomi comparire.
Salsiccie, formaggio e una focaccia mi aspettavano sul tavolo e decisi di dedicar loro tutta la mia attenzione ignorando i bisbiglii e le occhiate che mi rivolgevano.
Il formaggio aveva un retrogusto leggermente amaro ma con un po’ di buon vino avrebbe potuto essere meglio. Quando finii ripulii il mio coltello e attesi il silenzio dai miei lords che non tardarono a quietarsi per udire la notizia che tanto bramavano.
< Miei lord, ora che siamo tutti qui riuniti è giunto il momento che molti di voi attendevano con ansia. Date l’ordine a tutto il campo di muoversi il prima possibile, ci dirigiamo ad Approdo!> dissi mentre urla di gioia risuonarono nella sala.
Mentre tutti correvano a far eseguire l’ordine, fermai lord Corbry.
< Lord Corbry fermatevi un momento > chiesi
< Come desiderate mio lord > rispose mentre i fratelli Royce si allontanavano scoccandogli un’occhiata interrogativa.
< Voi siete il Lord di Gull Town, ed è mio desiderio che tale rimaniate. Siete un uomo onesto e coraggioso e sapete svolgere per bene il vostro compito. Ho bisogno di uomini fidati a cui lasciare la custodia della valle e voi siete l’uomo perfetto > gli annunciai senza preamboli
< Ma mio signore, credevo che avremmo tutti abbandonato la valle come richiesto dal Re > mi rispose.
Lo sconcerto e la delusione sul suo volto erano tangibili e potevo ben capirne i motivi ma avevo ponderato a lungo la mia decisione e non sarei tornato indietro.
< Infatti è proprio quello che faremo. Ci dirigeremo tutti nelle terre dei fiumi ma tu resterai al guado di harroway e di lì controllerai l’accesso a tutta la valle. Nessuno dovrà violare la valle fino a quando non faremo ritorno, ti lascerò una forza più che sufficiente per difendere la Porta Insanguinata, ma resterai nelle terre dei fiumi per coordinarti con mio cognato, Lord Edmure. >
< A che scopo farmi fare tutta questa strada? Potevo benissimo difendere la valle da Gull Town! > mi rispose.
< É vero > dissi, < Ma la città è facile preda di pirati o attacchi navali, mentre la porta è salda e sicura, difendendo la porta difenderai la valle e in caso di attacco al porto potrai comunque difendere tutta la valle senza correre rischi eccessivi. >
< Ma è lord Nestor il difensore della porta! Perché non lui? > mi incalzò.
< Perché lui è bravo quanto te a difendere la Porta Insanguinata ma non sa nulla di Gull Town, della ricchezza che produce e della sicurezza di cui ha bisogno. Voi Lord Lyn siete la miglior difesa che la valle possa avere e gli aiuti dalla terra dei fiumi vi forniranno tutto ciò di cui avete bisogno. >
< Quindi sono l’unico che rimarrà a difesa della valle quando tutti gli altri si godranno i fasti della corte e il torneo! > mi rispose seccato.
“ecco il vero problema, quel maledetto torneo! Dovrei torcere il collo a Robert per tutto questo scompiglio! Mai che riesca a fare qualcosa con un minimo di criterio senza creare casini! Non c’era alcun bisogno di fare un torneo! Ma invece no! Lui doveva far qualcosa per potersi divertire!”
< Lord Corbry questa è la mia decisione e questo farete! Ci seguirete nelle terre dei fiumi e vi stabilirete lì con gli uomini del vostro seguito e quelli che vi lascerò, e adesso potete andare ad avvisare i vostri uomini che partiremo a breve. >
< Come ordinate mio signore > e con passo rigido e indignato se ne andò.
Si questo formaggio aveva decisamente un gusto amaro, meglio mangiare un alto po’ prima di affrontare Lysa e la lunga discesa.

Dopo tre giorni di marcia l’esercito avanzava spedito e fiducioso intonando canti di gesta eroiche, sapevano che ad Approdo avrebbero trovato l’avventura che tanto andavano cercando per spezzare la monotonia della Valle.
Con i vessilli che si muovevano timidi nella leggera brezza che spirava, la colonna di uomini percorreva gaia la lunga discesa che li conduceva nelle terre dei fiumi ma anche verso il torneo.
Era da poco passato il mezzo dì e il pasto era stato frugale, nessuno voleva sostare più del dovuto in quei posti, tutti non vedevano l’ora di arrivare all’agognata meta.
Un esploratore si fece strada attraverso la colonna di uomini in controcorrente fino a raggiungere la mia posizione e annunciò dopo un breve inchino sul cavallo
< Mio signore una piccola pattuglia di uomini di lord Edmure ci attendono oltre quella curva, li comanda Lord Piper, ci condurrà per un sentiero fino a Padelle Salate dove siete richiesto da Lord Edmure in persona. > detto questo attese eventuali ordini
< Molto bene > annuii, < Lord Corbry > Urlai < Le nostre strade si dividono oltre quella curva, vi auguro buona fortuna e ricordate che ho immensa fiducia in voi, non deludetemi! >
< E ora ragazzo conduci la colonna incontro a Marq Piper e poi fai strada a lord Corbry > dissi poi rivolgendomi all’esploratore.

Poco dopo la lunga colonna di uomini si era divisa in due tronconi e mentre uno proseguiva lungo la strada principale, l’altro guidato da Lord Piper si diresse lungo un tortuoso sentiero fino a sfociare nella pianura della terra dei fiumi, il fiume era lontano sulla destra ma il suo nastro blu solcava luminoso la pianura fino a sfociare nel mare stretto, ed era proprio alla foce che ci stavamo dirigendo. Il sole stava ormai calando quando uscendo da un fitto bosco vedemmo il porto, anche se con il sole alle spalle era più simile ad una macchia scura sul limite del mare. Nel giro di una mezz’ora ci avvicinammo abbastanza da capire che la macchia scura non era il villaggio che si affacciava sul mare ma bensì una grande flotta all’ancora sulla baia e nel porto. Il villaggio diventò visibile poco dopo ed era una ben misera cosa in confronto alla flotta stipata nella baia vicino alla foce del fiume.
Giungemmo nel villaggio brulicante di soldati, la foce del fiume era un mormorio costante nel sottofondo dello sciabordio delle onde che si inoltravano placide nella baia. Molti uomini guardavano a bocca aperta quel magico spettacolo, il fiume che con la sua acqua torbida e scura usciva dalla terra e proseguiva indisturbato nel mare blu, trafiggendolo come una lancia.
Ordinai ai miei uomini di accamparsi a nord del villaggio e ben presto un campo di tende azzurre era sorto accanto a quello già presente e più grande di tende blu e rosse, gli stendardi del falco andarono ad unirsi a quelli della trota e gli uomini fecero lo stesso.
Io seguii Piper verso la torre di vedetta e protezione del villaggio che era stata scelta per ospitare lord Edmure. La torre sorgeva sulla via principale e girandomi vidi le grandi navi che ancora fresche di pece raccoglievano la luce del tramonto e del riflesso del sole nell’acqua, un istante prima che il sole sparisse oltre l’orizzonte la luce trasformò la nera pece in rosso sangue colante e un brivido mi attraversò la schiena a quella vista. Con quella visione impressa negli occhi mi apprestai ad affrontare mio cognato e una lunga notte di discussioni.
Gudrod Skiria Haraldson
00venerdì 15 febbraio 2013 18:18
Davos Seaworth - PDV I - Non ci sarà mai Pace

Da mesi nulla lo preoccupava maggiormente del giudizio del Maestro Cressen. Non c’era altro che generasse in lui più vergogna dello sguardo dolce ma allo stesso tempo divertito dei figli quando lo vedevano con una penna in mano. La rabbia era un sentimento che difficilmente aveva provato ma era l’unica possibile risposta silenziosa allo spregio che emanava dagli occhi della donna rossa.
Preoccupazione, aspettative e disdegno erano tutti motivi di sprono. Doveva solo imparare a leggere e scrivere… solo.
Come avrebbe potuto servire ancora il Principe Stannis? Come avrebbe potuto farsi chiamare Cavaliere se nemmeno era in grado di leggere un Editto Reale?
Maestro Cressen aveva riesumato dalla biblioteca un enorme volume rilegato in pelle, probabilmente di capra perché puzzava ancora, dove era riportata tutta la cronologia del Westeros e l’Araldica delle Casate maggiori e minori. Erano passati alcuni mesi da quando aveva intrapreso quel viaggio: navigare attraverso le lettere, risalire fiumi di inchiostro, leggere, copiare e scrivere. Avevano iniziato proprio con quel tomo poiché Davos aveva preferito non usare il materiale solitamente utilizzato dai piccoli figli di lord e cavalieri. L’erudito era sempre stato molto paziente, a volte lasciava il ruolo di insegnante al giovane Pylos, ma era una responsabilità che si era preso personalmente e soprattutto il Cavaliere delle Cipolle era l’unico col quale poteva liberamente sfogarsi riguardo alla Sacerdotessa di Asshai.

“Non adesso Cressen, non all’interno di queste mura.” Davos annusò l’aria gettando lo sguardo oltre la finestra, osservò persino le neri pareti della stanza e non tralasciò la porta. Era sempre stato prudente, ma tutto ciò rasentava la paranoia. Questi pensieri percorsero velocemente tutta la spina dorsale, provocando un lungo brivido mentre si ritrovò a fissare lo stemma di Casa Baratheon.
Chiuse con uno schianto il tomo e i pochi e pallidi raggi di sole che penetravano le nuvole palesarono lo stato d'animo dell'erudito, evidenziando senza pietà quanta polvere si era accumulata negli ultimi tempi nel laboratorio.
“Dovresti aver più cura di questo tuo spazio. Ti mando a chiamare qualcuno che pulisca e sistemi le cianfrusaglie… io vado al Giardino di Aegon, continuo da solo.”

Ora nemmeno con lui. Nemmeno con lui ne posso parlare. Cressen passò l’indice sul piano del largo tavolo di quercia. Le sue parole ormai erano come quella polvere: stantie e fastidiose, bastava però un dito o magari un soffio per spazzarle via. Era inutile... superfluo.
Il Cavaliere percorrendo il corridoio incrociò il giovane scudiero del Principe, suo figlio Devan. Il pesante tomo non gli permise di salutarlo a dovere quindi gli rivolse solo un cenno e proseguì senza fargli perdere tempo.
Ancora una volta inspirò col naso. Questo era l’unico luogo dove l’odore delle ceneri, che fossero del vulcano o dei fuochi della donna rossa, non permeava l’aria. Il profumo acre dei pini era più forte, più pungente, più tenace anche del suo stesso spirito. L’unico luogo dove non si sentiva osservato, sapendo di illudersi.
La coda del Drago gettava un'ombra inquietante sui cespugli di mirtilli. Ironico pensare che probabilmente, senza la sua protezione, non si sarebbe mai generato l'habitat adatto a farli fiorire e fruttificare. Shireen ne andava ghiotta, era un ottimo espediente per farla stare zitta in certi frangenti e Maestro Cressen ne raccoglieva moltissimi per uso officinale, sosteneva fossero ottimi per la circolazione del sangue. I pini erano rigogliosi e verdissimi, le radici robuste e poco profonde avevano permesso ai giardinieri di scavare molto a fondo e piantare una gran quantità di roseti, chissà quale Targaryen amava questi fiori, erano meravigliosi. Pylos si occupava della potatura o quantomeno indicava quando fosse necessaria.

La luce era ancora sufficientemente forte da permettere al Cavaliere di riprendere la scrittura, la sua vista era sempre stata decisamente acuta.
Aperto il volume, distese la pergamena sul freddo e umido tavolo di pietra, intinse la penna nel calamaio e riprese a scrivere. Non si trovava sulla sua Betha Nera, non sentiva il profumo del legno bagnato e l’odore della salsedine era quasi impercettibile ma il rumore ruvido della punta sulla pergamena, accentuato dalla pietra, era altrettanto rilassante e piacevole. L’odore del passato lasciava spazio al suono della novità… inevitabilmente tutto stava cambiando.
Non poteva essere altrimenti, lo aveva imparato leggendo e scrivendo. Quel tomo era un succedersi ciclico di eventi ed accadimenti perentori, era tutto scritto là. Asettico, privo di ogni genere di commenti. Lo stile della scrittura e delle decorazioni era cambiato da trecento anni a questa parte, ma così accade per molte cose quando un popolo viene sottomesso da altre genti. Bisogna adeguarsi, abituarsi, comprendere e accettare almeno fino a quando il cambiamento è sostenibile. Quante volte negli ultimi trecento anni è stata necessaria una scossa? Quante guerre?
129-137 la Danza dei Draghi, la più imponente e cruenta guerra civile dell’Era dei Targaryen.
Nel 157 Daeron è partito per sottomettere definitivamente il Dorne e la Casata Tyrell ne ha approfittato rivoltandosi contro il Trono.
Nel 184 furono i Bruti a iniziare una guerra.
Nel 195 Daemon Blackfyre innescò la seconda sanguinosissima guerra civile.
Nel 212 Blackfyre ci riprovò, il tentativo fu soffocato sul nascere al prezzo di molte vite.
Nel 255 scoppiò la Guerra dei Re dei Nove Penny.
Poi nel 270 la Sfida di Duskendale e da lì fino al 282 l’Inferno.

No… non ci sarà mai pace. Non ho imparato nulla di nuovo in realtà.
In verità non è ancora cambiato nulla se non le mani che manovrano gli stessi burattini.

Hamish Snow
00sabato 16 febbraio 2013 04:21
Approdo. Parte2
[da considerare il proseguio diretto di Approdo.Parte1. Qualora master o moderatori volessero unire le 2 parti, a me va benissimo]

Lord di Roccia del Drago ed Erede al Trono di Spade.
Stannis odiava quel sigillo a ogni maledetta missiva che scriveva. Essere il lord di un vulcano in mezzo al mare, abitato da solo settemila anime era causa forse di ammirazione.. per il coraggio di aver accettato un simile onere. Non era fonte di ricchezza, né fonte di una certa pressione politica, e non poteva suonare come una minaccia. Quanto all’eredità.. il seme di Robert aveva sparso per i Sette Regni figli e figlie bastarde, non sarebbe passato troppo tempo prima che un matrimonio venisse sancito e un figlio legittimo venisse partorito.
«Bene, ti ho già detto, la prima missiva ad Altogiardino. Per la seconda, assicurati che giunga ad Haystack Hall, e nelle mani di lord Sebastian Errol. Ci rivedremo qui per l’inizio del torneo».
Nella penombra della sua cabina, si sporse in avanti senza alzarsi dalla sedia, e consegnò la lettera nelle mani di ser Justin Massey.
Attese che il cavaliere fosse uscito, e si appoggiò allo schienale della sedia. Nell’ultima mezzora il mal di testa aveva cominciato a martellargli il cranio, tanto da decidere di passare da tre lampade a una, e sull’ampio tavolo della sua cabina personale c’era una sola grande candela, ormai mangiata da numerosi utilizzi.
La nave era pressoché immobile, e così l’interno della stiva. Fuori, il lento e ripetitivo sciabordare delle onde sugli scafi, il via vai, tutt’altro che silenzioso, dei marinai dalle banchine ai ponti delle navi.. e poco più in là, il chiassoso mercato del pesce, le folle di mercanti, pescatori, cittadini, garzoni.. e ora anche di marinai, cavalieri, guardie cittadine e mendicanti, allontanati dalla Porta del Fiume. E in tutto questo, il chiasso devastante dei pensieri che si affollavano nella mente di Stannis.

Afferrò le carte che ser Rambton gli aveva fatto avere, e passandole in rassegna, nuovamente, una ad una..
Così, lord Mace Tyrell, a causa del suo fresco lutto, non verrà ad Approdo, mandando suo cognato ser Fossoway.. non i Tyrell per il momento, nessun Hightower, né un Redwyne. Un Fossoway, di una casata di cavalieri terrieri.. senza alcuna richiesta o aspettativa. Che a lord Tyrell sia bastato quel che ha.. mm.. è un comportamento ambiguo.
“Dal Dorne arriveranno la Vipera Rossa e lord Yronwood, sembra che entrambi si propongano come”
.. Stannis rilesse il passaggio, e strinse i denti serrando la mascella. Quel gottoso vuole che il mondo giri intorno a lui.. il Dorne inviolabile, sua figlia nubile, lui seduto comodo in poltrona all’ombra, tra una spremuta di limoni e un soffio di vento a portar via l’aria infuocata.. e invia parenti e vassalli a prendere posizioni di potere per lui.
Stannis non aveva mai avuto in simpatia il casato dei Martell. Doran aveva sicuramente delle qualità profonde come politico.. il problema era se tali qualità lo avvicinassero di più alle qualità del principe regnante o a quelle del cospiratore. Di sua figlia Arianne si dicevano molte cose.. la metà delle quali non interessavano, e anzi, infastidivano Stannis.. e l’altra metà la rendevano ai suoi occhi una fanciulla poco idonea a rivestire il ruolo di regina. Per fortuna, sembrava che il suo infermo padre la volesse trattenere ancora tra le sue braccia e sulle sue gambe. E poi.. la Vipera.. un grande combattente, esperto e determinato.. ma senza alcuna moralità, che si parlasse dell’utilizzo di una lancia, o dell’“altra”.. veleni e figli bastardi per tutti i Sette Regni.
Quantomeno Robert ha la dignità di piantarti un martello in testa, non di avvelenarti come farebbero cortigiane viziose.
I Tully si sarebbero presentati numerosi, ma dalle notizie rimediate, sembrava che anche lord Edmure avrebbe declinato l’invito.. e poi c’erano gli Arryn e gli Stark.
Edmure Tully.. Eddard Stark.. Jon Arryn.. erano tutti amici, alleati, fratellastri o padrini acquisiti.. di Robert. Gente che, per quanto onorevole potesse considerarla, risultava estranea a Stannis.
Tutti qui mi sono estranei. Approdo del Re non è la mia casa, e questi ultimi anni hanno rischiato di rendermi estraneo persino ai Sette Regni stessi.
Cercava di mantenere la giusta freddezza e impassibilità di fronte a queste considerazioni, lasciandole in un limbo tiepido e sbiadito di calcoli razionali.. tuttavia, ogni volta, dal profondo dell’animo sorgeva un moto di fastidio e di rabbia. La maggior parte dei Lord non era altro che un insieme di viziati nobili, cresciuti nel tepore di una corte, nell’abbraccio protettivo dei genitori, che si erano ritrovati in età da matrimonio con una bella moglie giovane, pronta da sposare e da rendere madre.. e con terre fruttuose e ricche, da far coltivare e sfruttare dal popolo che suo padre, suo nonno, persino i suoi antenati avevano governato. E a questa fornitissima platea, facevano eccezione ben pochi lord..
Lord Tarly, nonostante tutto.. forse lord Crakehall, sempre pronto a buttarsi nelle guerre, a quanto pareva, e che porta con sé un buon numero di truppe alla causa Lannister.. a loro modo, gli Stark e le casate del Nord, che abitano aree desolate e certamente non facili.. a loro modo, anche alcune famiglie delle Terre della Tempesta… i Dondarrion, i Grandison, i Gower.. pochi altri.
Questo era il motivo per cui i Baratheon dovevano regnare. I Baratheon, tramite i Durrendon, avevano preso le Terre della Tempesta, secondo la leggenda Durran aveva persino sfidato il dio del mare e la dea del vento per erigere Capo Tempesta.. lui e Robert avevano visto spezzarsi il legame con i genitori nella maniera più tragica possibile.. Renly era cresciuto senza quel legame. Erano lord di terre tempestate dalle piogge e dal vento, che rendevano molto meno rispetto ad altre terre come l’Altopiano, le Terre dei Fiumi, erano meno popolate delle stesse e persino del desertico Dorne.. e non avevano giacimenti minerali importanti, come l’Ovest. Erano loro quelli che avevano avuto per primi la forza di ribellarsi agli scempi folli e sadici di Aerys II, erano sorti scatenando la loro furia e avevano abbattuto il regno Targaryen, stabilendo quello che ormai era, fatta l’eccezione dell’episodio con i Greyjoy, un quindicennio di pace.
La mente ripercorse ogni attimo… la guerra.. l’assedio di Capo Tempesta, le sofferenze dei suoi soldati e la visione nera e cupa della perdita della speranza, che aveva iniziato ad annebbiare la vista di Stannis prima dell’arrivo del Cavaliere delle Cipolle.. la ribellione Greyjoy, conclusasi persino troppo generosamente, secondo quello che era il suo punto di vista..
Selyse.. Roccia del Drago.. Shireen.. povera Shireen.. le risate di Robert.. il sorriso compassionevole e imbarazzato di Renly.. Approdo, sguardi estranei e vacui di migliaia di cavalieri e di lord, che mi osservano senza riconoscermi..

Un tonfo sordo ma potente sopra la testa. Stannis aprì gli occhi di scatto, mettendo a fuoco immediatamente la porta della cabina. Chiusa. A giudicare dai rumori e dalle voci, era stato solo un incidente sul ponte.. La candela era praticamente allo stesso punto di prima, il via vai che notò volgendo lo sguardo fuori dalla finestrella identico a prima.. Doveva essersi appisolato solo per pochi minuti.
Aria. Ho bisogno di aria.. che sia anche quella vomitevole del porto di Approdo.
Prese la brocca di terracotta, che aveva fatto riempire con acqua e un quarto di vino rosso, e trangugiò una coppa. Tempo di muoversi.
L’aria fresca gli riempì i polmoni.. e la sorpresa gli sistemò per qualche istante l’umore: ricordava una puzza molto più insopportabile di quella che effettivamente veniva oggi dalle sponde della capitale. L’equipaggio era già da tempo al lavoro nello scaricamento delle merci, veloci nell’opera a causa dell’improvvisa comparsa del loro Lord, forse ancora di più nella speranza di raggiungere il prima possibile le taverne e i bordelli di Approdo.
Stannis salì gli scalini verso il castello della Furia, da cui avrebbe avuto uno sguardo più ampio verso il porto e il resto del fiume.
L’Artiglio Rosso dei Celtigar. I Velaryon con la Balda Risata, e la Orgoglio di Driftmark. La Pesce Spada di lord Duram.. e le navi di lord Guncer. Le navi delle casate con cui aveva più stretti rapporti c’erano tutte.
Risalendo con lo sguardo il fiume, verso occidente, vide molte altre imbarcazioni.. familiari, dopotutto, e riconoscibili. Alcune di quelle le aveva condotte lui stesso, verso occidente e contro le temibili navi lunghe dei Greyjoy. La Demone del Mare, la Terzo Tridente, la Scettro, la Corvo Rosso.. la Veleno di Drago era stata rinnovata perfettamente.. da così lontano, era difficile riconoscere le altre.
È un peccato che queste navi debbano semplicemente far mostra di sé.
Tuttavia, dopo un rapido calcolo, si accorse che si trattava di un numero consistente di imbarcazioni.
«Mio lord». Maestro Pylos rimaneva sulla scaletta di accesso al castello, con un’aria stanca ma soddisfatta. «Perdonate il ritardo, ma sembra che lord Guncer non abbia resistito a recarsi presso il tempio di Baelor a pregare. Ho dovuto attendere un’intera ora, o forse più».
«Sali. Sei riuscito a parlare con il nostro pio lord?».
«Si. Beh.. in verità, ha preferito venire direttamente lui a parlarvi. Gli ho specificato che mi avevate mandato a parlare con lui, ma mi è sembrato.. come dire, piuttosto deciso. Oh, appunto..», volgendo lo sguardo aldilà dell’impavesata e facendo un cenno di assenso,«..sta arrivando».
Sulla banchina, camminava con passo deciso e rumoroso lord Guncer, della casata Sunglass, avvolto nelle sue vesti bianche, grigie e dorate, seguito da alcuni armigeri. Stannis rispose alle occhiate interlocutorie degli armigeri solo con un cenno della mano.
«Lord Sunglass».
«Mio lord Stannis». Il viso dall’espressione composta, lineare, anonima, colorato solo da grandi baffi e da ciuffi di capelli scomposti, che manifestavano il passare dalla giovinezza alla piena età matura con alcune striature color cenere, non sembrava deporre a favore di una grande salubrità nelle continue preghiere e nel respirare le spezie che i septon bruciano nei templi. «Ho preferito parlavi di persona. Vi sono importanti novità di cui dovete essere messo a conoscenza. Novità, e.. ordini, se possiamo definirli così..».
Stannis rimase qualche istante immobile, osservando il comportamento del pio lord di fronte a lui. Nessuna invocazione a nessuno dei Sette Dei, per il momento. Doveva essere qualcosa di realmente urgente.
Qualcosa si sta muovendo nei Sette Regni.
Jon_Re
00domenica 17 febbraio 2013 10:50
Astapor

Ero in groppa ad palafreno bianco ed attendevo in mezzo alla via che conduceva alle porte di Astapot. Al mio fianco su un enorme sauro Ser Barristan attendeva con la mano sul pomolo della spada e dietro di noi vi erano cinque dei giovani cavalieri che stava addestrando. Ci vennero incontro tre uomini in groppa a tre bei cavalli marroni. L’uomo che mi aveva definito “Sua Maestà Re Viserys” era il primo di essi: colorito scuro della pelle, capelli e barba bianchi, naso rotto ed occhi Dothraki erano i suoi segni distintivi. Indossava la cotta di maglia, una piastra pettorale color oro ed argento, dei bracciali oro, una maglia nera e dei pantaloni verde-marrone legati in vita da un cinturone con borchia in oro ed una pietra color giada al centro, gli stivali erano neri e da poco lucidati ed infine al fianco portava una lunga spada con impugnatura a croce. Accanto a lui c’erano due uomini armati. Quello a destra alto e magro mentre quello a sinistra era più possente e muscoloso tanto che dava l’impressione di poter spezzare qualsiasi cosa gli si parasse di fronte.
A meno di una decina di passi da me quello che sembrava il capitano arrestò il cavallo e smontò, facendo segno ai suoi due uomini di fare altrimenti.
Attesi ed alla fine l’uomo scuro si decise a parlare.
<<Altezza!>> esordì chinando leggermente il capo <<Il mio nome è Ben Plumm, capitano dei Secondi Figli. Questo è Kasporio e questo Tybero>> disse indicando prima l’uomo alla sua destra e poi quello alla sua sinistra <<La mia compagnia ed io vi offriamo i nostri sevizi>> concluse poi, facendo un impercettibile cenno a all’uomo che stava alla sua destra. Questi avanzò verso Ser Barristan che si era portato avanti col cavallo e gli porse una lettera. Egli la srotolò e me la porse. La missiva, indirizzata a me, mostrava la scrittura di Magistro Illyrio. La lessi velocemente e poi alzai lo sguardo verso Plumm che sorrideva visibilmente contento.
<<E così Plumm siete pronto ad appoggiare la mia pretesa al Trono dei Sette Regni, o almeno così sostiene Magistro Illyrio!>>
<<Vostra Maestà, tra le tante gocce di sangue che scorrono nelle mie vene vi sono alcune tracce di sangue occidentale. Questo sangue mi spinge nella direzione che voi seguite!>> rispose sempre con quel suo sorriso beffardo.
<<Bene dovrete guadagnarvi il prezzo che richiedete e già oggi avrete la possibilità di dimostrare qualcosa! Astapor richiede sangue!>>
<<I Secondi Figli sono già pronti a regalarvi la città!>>
<<Plumm tutto ha un costo, nessuno regala nulla! Cominciate a schierare i vostri uomini sul lato Est della città, se quegli sciocchi non apriranno le porte è li che c’è bisogno di uomini!>>
<<Come comandate!>> rispose il mercenario facendo un inchino e dirigendosi verso i cavalli cominciò a discutere con Kasporio e Tybero.
Quando si furono allontanati voltammo i cavalli a nostra volta e ci dirigemmo verso la città.
<<Vostra Maestà, posso chiedervi quanto è stato loro promesso?>>
<<E’ stato promesso quello che tutti vogliono pensando all’occidente!>> risposi passandogli la lettera di Illiryo.


La città era stata cinta d’assedio fin dalla mattina per evitare che qualsiasi persona potesse uscire da essa e dirigersi verso altre città ed avvertirle dell’arrivo delle mie armate. Ogni via d’uscita dal porto, sul cui cancello d’accesso era posta la statua cadente di un’arpia simbolo della città di Astapor, era stata bloccata ed ogni nave che vi si avvicinava veniva catturata per evitare che riferisse la situazione della città. Oltre al cancello del porto vi era un unico accesso alla città delle piramidi rosse e si trovava nella zona nord delle mura di fronte al Fiume Verme, ma il ponte levatoio era subito stato alzato. Avremmo dovuto crearci una breccia o riuscire ad abbassare quel ponte. Molte richieste di resa erano state inviate agli Astaporiani, ma nessuna di esse aveva trovato accoglimento da parte loro neppure dopo che le fila dell’esercito assediante si furono espanse coi Secondi figli e con migliaia di Dothraki al comando di Khal Drogo giunti alle porte della città a metà mattinata. Sarebbe stato sangue decisi. Molto sangue valutai siccome la battaglia si sarebbe combattuta lungo e sulle mura per la conquista dell’entrata e del ponte.
Nel tardo pomeriggio, quando la temperatura fu scesa e la strategia d’azione e di allocazione delle truppe fu decisa diedi inizio all’attacco. La strategia proposta da Daario ed affinata da Ser Barristan portò presto i suoi frutti cosicché le porte furono presto aperte dai Corvi della Tempesta e mercenari e Dothraki entrarono in città spargendo altra morte nonostante la popolazione Astaporiana si fosse presto arresa. Una volta che fui entrato in città scoprì che il grosso delle truppe della città rossa non era scesa in campo e si trovava nella Piazza dell’Orgoglio a difesa della piramide in cui si erano rintanati i Buoni Maestri che governavano la città. Feci inviare loro un messaggero per trattare la resa e l’acquisto degli Immacolati in loro possesso e presto tornò con le loro richieste. Avrei dovuto prensentarmi a loro in cima alla piramide e trattare il prezzo dello scambio. Io Viserys Targarien avrei dovuto presentarmi di fronte a certa feccia? Chi credevano che fossi? Rimandai il messaggero a riferire che non ero al loro servizio come i loro sporchi schiavi e che se non si fossero presentati al mio cospetto entro l’ora in cui il sole avrebbe cominciato a toccare il mare, avrei arso la città e scuoiato loro, le loro mogli ed i loro figli. Non tardarono a presentarsi sei uomini abbigliati con uno strano abito che mi dissero fosse chiamato tokar. Cominciammo a discutere in alto valiryano delle condizioni di vendita e giungemmo ad un prezzo di quaranta milioni di Onori, valuta utilizzata nella Baia degli Schiavisti a Qarth ed in alcune città libere, per gli Immacolati, mentre la città sarebbe stata governata ancora dai sei Maestri Buoni in mio nome. Firmammo l’accordo redatto da Kasporio sia in alto Valyriano che nella lingua comune dei Sette Regni, decisione per la quale i sei avevano protestato a lungo, ma infine si dissuarero che era necessario che l’accordo fosse redatto anche nella lingua del Regno che sarei andato a riprendermi.
<<Ora ciò che e mio cominci ad andare fuori dalla città>> dissi mentre si voltavano per dirigersi alla piramide.
<<Prima i nostri soldi!>> disse il più grasso dei sei agitando il suo lardo in un tokar rosso.
“Non avrò nemmeno il piacere di poter distinguere il colore del sangue che sgorgherà da lui dopo il guaio che sta per combinare!” pensai.
Aggirai il tavolo da campo su cui avevamo firmato l’ultima copia dell’accordo che Asporio aveva preso in custodia allontanandosi dal tavolo ed andando a posizionarsi alle spalle di Ben Plumm.
<<Quali soldi, mi pare che essendo pari il prezzo degli Immacolati ed il risarcimento che mi dovete per gli uomini che ho dovuto schierare in questa battaglia possiamo pure passar sopra allo scambio di denaro!>> dissi.
<<Di cosa parli Mendicante?>>
“Ecco il tuo secondo errore, ammasso di merda”
<<Avete appena firmate l’accordo e già volete infrangerlo? Lasciate che il caro Kasporio “l’Astuto” vi rinfreschi la memoria!>>
<<Re Viserys Targaryn, legittimo Re dei Sette Regni e signore di Astapor, si impegna al versamento di quaranta milioni di Onori quale prezzo per l’acquisto dei diecimila Immacolati di proprietà dei Maestri Buoni di Astapor a cui è concesso il governo della città a suo nome purchè versino bla bla bla>> cominciò a leggere Asporio saltando la parte sul versamento di tasse e derrate e cominciando a tradurre poi in alto valiryano quanto era stato scritto nella lingua comune dei Sette Regni <<I Maestri Buoni di Astapor si impegnano altresì a versare quaranta milioni di Onori a Re Viserys Targaryen quale penale per la mancata accettazione delle missive di pace ed a risarcimento degli uomini che hanno perso la vita nella battaglia per la conquista della città. Vista la parità delle somme da versare è deciso di comune accordo che debito e credito siano eliminati vicend…>>
Non finì di leggere che il grassone mi prese per la spalla e cominciò a sbiascicare in ghiscariano.
Una freccia gli si piantò in fronte e con un gran fracasso egli si schiantò al suolo di fronte ai miei piedi.
“Terzo errore!”
Gli altri cinque presi dalla frenesia e dall’istinto estrassero dalle ampie maniche delle daghe.
<<Lui ha commesso tre errori prima di essere steso, a voi non concedo la possibilità di compiere il terzo>> dissi loro mentre cinque dardi mi sibilavano accanto.
Nella piazza di fronte a me nessuno degli Immacolati mosse un muscolo, ormai erano miei.
<<Kasporio mi pare che coloro a cui avevo concesso questa città non si vedono più, dovremmo trovare qualcuno per sostituirli!>>
<<Come voi dite, Maestà!>> rispose lui con un gran sorriso. Sapeva che avrebbe ricevuto una gran ricompensa per la sua trovata, ma accanto a lui c’era qualcuno che si sfregava le mani più rapidamente di quanto facesse “l’Astuto”.
Mi avviai verso gli Immacolati ed una volta individuato l’uomo che li comandava: Verme Grigio.
<<Ho appena acquistato i vostri servigi da questa feccia traditrice ed è ora che vi prepariate a riordinare la nuova città del vostro Re!>> dissi rivolto a lui.
Questi si inginocchiò e rispose: <<Sire, sono Verme Grigio pronto a servirvi con i miei Immacolati fino alla morte!>>
<<Finalmente un uomo con un minimo di cervello in questa città! Dieci dei tuoi uomini mi scortino nella piramide gli altri vengano dislocati in città secondo le necessità!>>
<<Come ordini, Maestà!>>
Dwavolin
00martedì 19 febbraio 2013 19:45
l'Arrivo del gelo.
‘Jon era nel suo talamo.Il cielo era bianco.Non c’era nessun filo di vento ma c’era freddo:un freddo che faceva congelare ossa,viscere e sangue.Non riusciva a muoversi e non riusciva a vedere nell’oscurità della stanza.Solo quel cielo bianco ed immobile. Si stava innervosendo ma la sua voce non aveva forza,non emetteva alcun suono.Due occhi.Due occhi di ghiaccio lo stavano fissando!’ Jon Umber si svegliò nel bel mezzo della notte,guardò il cielo e sebbene facesse un freddo che la gente di Dorne non poteva nemmeno immaginare le stelle confortarono il suo cuore scosso da quell’incubo strano ed enigmatico.


“Chissà se questo sarà l’ultimo pasto che farò…e fa anche schifo”. Quella mattina il cuoco di Ultimo Focolare era malato così, in sostituzione, un giovanotto si era dilettato a rovinare buona parte delle vivande delle dispense degli Umber. In teoria doveva essere zuppa di cipolla e pollo arrosto ma al palato sembrava merda di cavallo:sia dal colore che dalla consistenza.
“Siamo arrivati a questo punto” disse Jon Umber a uno dei suoi attendenti mentre, desinando, si muoveva nervosamente sul proprio seggio . Il giovane a cui si era rivolto era figlio di qualche mercante che,accumulata una piccola fortuna, aveva comprato una ‘degna posizione’ al proprio primo genito’come se l’onore si potesse acquisire vendendo gioielli di conchiglie e capi di bestiame!’. Era un giovane magro e gracile e al confrondo di Jon,il Grande Jon, sembrava uno stelo d’erba cresciuto vicino ad una grande e grossa quercia. Non gli stava simpatico, come tutti coloro che non avevano mai mostrato il loro valore in una battaglia. A causa della sua stazza si sentiva goffo e impacciato sullo scranno dove soleva stare: ascoltali, parlaci, rifletti e decidi. Erano sagge parole di un uomo saggio: Lord Eddard Stark. Un uomo che credeva in lui e che gli aveva concesso la nomina di “Portavoce del Nord”.
Ma lui era un Umber: fatto per stare in piedi o a cavallo: spadone in mano e con un avversario davanti;non per stare seduto a sentire ciarlatani. Più cercava di sistemarsi sullo scranno più si sentiva ridicolo e maldestro. “Devo far sostituire questa trappola che voi chiamate scranno: sembra un seggiolo per bambini! Se non lo cambio finirò per ritrovarmi con vestiti di seta ricamati e a ciucciare le tette molli di una balia”.
“Siamo arrivati a questo punto”ripetè all’attendente . “Cosa intendete dire Lord Umber?” rispose . “Intendo che è infine giunta l’epoca in cui i compiti vengono ormai svolti da persone che non sono adatte: magari, alla fine di quest’inverno che ormai è giunto vedremo lord vestiti da mignotte e troie che indossano corone e tengono scettri” disse grande Jon guardando il pasto deludente.
‘Che sia così davvero?’si chiese. Voci di estranei erano giunte da Nord. Incursioni dei Bruti. Instabilità politica tra i sette regni.
‘Ed io sono pronto?’ .
La bufera stava per abbattersi sul Nord e quando la parola “freddo” acquistava lo stesso valore della parola “morte” bisogna solo prepararsi a tragici avvenimenti. “L’inverno sta arrivando…e per i sette se Eddard non ha torto a ripeterselo sempre!”. Jon diede una lunga sorsata di birra chiara che zuppò parte della barba e del farsetto. ‘Presto e saremo pieni di merda di corvo: ali nere, notizie nere e tanti tanti escrementi di uccello”riflettè.
La sala di Ultimo Focolare era fredda e poco luminosa e ormai quasi vuota:i ciarlatani se n’erano andati, chi soddisfatto chi non, e oltre le guardie pochi erano i presenti: l’attendente, Jon e qualche coppiere. “Ne ho abbastanza per oggi” disse Umber alzandosi dall’odiato scranno “torno nei miei appartamenti…fatemi portare carta, inchiostro e un po’ di birra per mandar giù le brutte notizie” e guardando uno dei coppieri aggiunse “Ragazzo ho detto birra, non piscio, mi raccomando attenzione a queste parole”.
Ritiratosi nei suoi appartamenti, il grande Jon, prese la penna d’oca e inizio a scrivere. Non Amava stare tra le scartoffie e non era nemmeno un abile scrittore ma di certo doveva fare pratica per non apparire un gigante in catene davanti agli altri Lord che magari avevano preferito allenar le dita alla scrittura piuttosto che a brandire mazze spacca cranei.
Tirò un sospiro dopo aver stilato la missiva e si soffermò sulle ultime frasi “Lord Eddard Stark, confermo le voci che provengono da Nord: gli estranei non sono più una favoletta per far pisciare addosso i bambini:sono tornati e noi siamo così vicini da sentire gelare il sangue nel corpo: come dite voi Stark: L’inverno sta arrivando…sta arrivando davvero.”
Albus Lupin
00venerdì 22 febbraio 2013 17:59
VARGO III – Le Avventure Pregresse di Vargo Hoat

"Derubati, Capitano"
"Derubati? Shiamo noi di sciolito a far shparire monete."
Vargo era stato ripulito diverse volte in passato: da soldati di ventura, da avversari vari o eventuali, da se stesso, quando era ubriaco e non si ricordava di aver speso quasi tutto l'oro della Compagnia in cianfrusaglie metalliche, arcigne, appuntite o affilate di seconda (sesta) mano.
Per questo e altri problemi, Vargo aveva recuperato uno schiavo che sapesse contare, gli aveva messo in mano un libro, lo aveva rifornito di inchiostro e gli aveva gentilmente intimato di registrate i "dati" e le "firme" (un "sciacco di X" a sentir lui) dei Bravi Camerati.
Lo schiavo non aveva nome, così Vargo l'aveva battezzato Sciacco di Icsh, che detto dal Capitano, vi posso assicurare, riusulta piuttosto divertente.

Lo Stato Maggiore dei Bravi Camerati era stato riunito nella tenda di pelle di Vargo.
L'accampamento era appena stato spostato e la tenda piantata, quindi, su un territorio non ancora inquinato dagli umori venefici di Vargo: niente vomito, niente sudore rancido, niente pisciate in angoli sconsigliati.
Per l'occasione erano stati radunati: Urswick il Fedele (con colorito terreo, borse sotto gli occhi, odore di qualcuno che sta morendo e piuttosto male), Zollo il Grasso (testa, pancia, tette sudatissime, treccia unta, nudo come un verme), Sacco di Ics (ubriaco con puttana al seguito, entrambi con retrogusto di cipolla), Qyburn (occhio infossato di chi non ha dormito, vesti sgualcite) e Shag (coperto di sangue, non suo, dalla testa ai piedi, con flagello a 3 teste in mano, ghigno folle e lingua tra i denti). Nel complesso, tralasciando Qyburn che è sempre una spanna sopra, stanchezza a parte, al resto dei Bravi Camerati, il miglior in arnese era nientemeno che il Prode Vargo.
"Sciacco, com'è shuccesscio?"
L'ex schiavo aveva preso un bel respiro, sapendo cosa accade a chi delude il Caprone e con voce ferma aveva sostenuto l'impossibile.
"Solite guardie all'entrata, niente tracce, tenda intatta, forziere scomparso"
"E quanto ci rimane intaschia?"
"Meno di quanto ci serva, Capitano"
"Trova un modo per passciare, Sciacco, o mi toccherà ussciderti malamente."
"Si, Capitano"

La notizia , nel frattempo, era dilagata in modo orribilmente rapido nell'accampamento, scatenando malcontento e risse: spesso pestaggi e regolamenti di conti turbavano il delicato equilibrio degli accampamenti dei Bravi Camerati ma questa volta in particolare una notizia di relativo poco conto come "oggi non abbiamo denaro, domani razziamo qualcosa" era stata utilizzata come scusa per tirar fuori una tonnellata di problemi pregressi, scatenando una serie di accoltellamenti e cazzotti senza precedenti.
Vargo ci stava giusto bevendo su, scivolando in quel delizioso stato di torpore proprio delle sue vomitose serate quando Qyburn gli aveva annunciato che Lord Tyrell non aveva affatto risposto al corvo che gli era stato inviato.
Il capitano aveva congedato il suo ex maestro con un brutto cenno della mano, pronto a sprofondare nel torpore accogliente della sbronza, non proprio certo di cosa sarebbe successo il giorno seguente, sulla riva settentrionale del Mander.

Nessuno seppe mai a quale oscure divinità si fosse rivolto Sacco quella notte, quali orribili patti avesse stretto con questo demone o quell'altro ma di fronte agli ufficiali dell'Altopiano in assetto da combattimento, vari sacchi di oro giallo sonante erano state scaricate dal carro (guardato molto da vicino da un foltito di gruppo di Bravi Camerati in non-meno-letale assetto da combattimento dei soldati del Sud) del tesoro.
Gli avidi funzionari addetti al guado avevano contato ogni singola moneta lasciando i mercenari a cuocersi al sole e a riempire la riva di rifiuti di varia natura e dimensione, per lo più organici.

Ridotto quel lato del Mander a arida e puzzolente palude, buona parte dei Bravi Camerati aveva fatto gestacci e pernacchie ai soldati del sud e si era più o meno allegramente avviata verso la terza e ultima parte del viaggio, prima attraverso le Terre Basse e poi, finalmente, nel Dorne.
La truppa era stata pagata, anche se non c'erano soldi in cassa, il guado era stato pagato con oro e non con sangue e Sacco aveva quella strana espressione di chi si è salvato per sbaglio da una punizione più che certa.
Nei suoi occhi, tuttavia, bruciava qualcosa di nuovo e oscuro: la notte lo aveva provato decisamente, facendogli perdere almeno 3 chili di massa corporea e trasformandolo in una qualche specie di durissimo uomo stanco; il suo volto si era scavato tornando molto simile a quello che aveva quando era stato assoldato coattamente da Vargo e mentre guardava, pieno di dubbi, le ombre della sera allungarsi, il Capitano era sempre più convinto di averlo visto fondersi e sparire nell'oscurità, come se unaforza bramosa di notte ormai lo controllasse.
Vargo non amava l'ignoto, ne aveva una PAURA FOTTUTA, per cui aveva deciso di ubriacarsi nuovamente con quanto era rimasto della sua personalissima fornitura di beveraggio di infima categoria. Meglio scappare dai problemi, soprattutto quando sono oscuri e pieni di terrore, piuttosto che affrontarli.

Nesshiuno, dicevamo, sciaapeva come fosscie potuto accadere ciò che era effettivamente accaduto: troppo oro era shtato vomitato fuori dai forshieri esausti della Compagnia e le ombre erano descisamente troppo fitte attorno alla tenda dell'ufficiale pagatore per essciere "naturali".
Ma nesshiuno shapeva, nesshiuno..tranne uno, qualcuno con conoschienze così antiche e profonde da permettere a un mortale di vendersci per denaro a oscicure e maligne prescienze shovrannaturali, di trasciformare la propria anima in denaro dorato e shonante, abbashtanscia per pagare ventimila uomini e l'eshoscio prezzo di attraversciamento di un maledetto fiume. Qualcuno in grado di evocare lo Sconoschiuto in una trishte notte nell'Altopiano, qualcuno cacciato dal proprio nobile impiego per paura, per timore dei sciuoi effettivi poteri, qualcuno deshtinato a grandi coscie, a generare la vita dalla morte, a diventare la Morte, il volto più freddo della tenebra innominata temuta dai Preti Rossci!

Qualcuno scià, uno.
O forse sono solo Vargo Hoat ..
..e sciono ubriaco..
..di nuovo.
fantasia 16
00lunedì 25 febbraio 2013 12:14
Arya - Io non ho paura.
Nel nostro mondo c’erano solo due categorie di persone: gli stupidi o gli astuti. In particolare introno ad Arya si riusciva a percepire come molte, troppe persone, cercassero dimostrarsi superiori agli altri, per ricchezza o prontezza di spirito, per poi, essere surclassati ed umiliati.
Nessuno era mai quello che sembrava.
Ultimo Focolare, l’ultimo porto sicuro prima dell’estremo confine del Nord.
Il paesaggio che la circondava era di uno strano biancore, molto più chiaro e lucente di quello a cui era abituata guardando fuori dalla finestra della sua stanza da Grande Inverno. Sembrava quasi , paradossalmente, più caldo, forse grazie al sole che stava per sorgere sopra il castello dove Arya e Bran, suo fratello minore, erano stati mandati, promettendo una giornata serena e limpida.
La luce fugace che entrava dalla finestra della camera dove la giovane Lady Stark aveva riposato illuminava la parete opposta, vicino alla porta d’accesso e uscita. Lei sapeva fin troppo bene che da un momento all'altro sarebbe entrata una delle inservienti che l’avrebbe costretta a indossare uno dei vestiti con i merletti, magari quello grigio e bianco con lo stemma del metalupo in mezzo al petto. Subito le venne in mente la sorella : Sansa amava quelle attenzioni e quei gesti che la facevano sentire apprezzata e importante, unica, come una pietra preziosa.
La più piccola femmina di casa Stark non era mai stata così, non amava essere al centro dell’attenzione, ma preferiva passare quasi inosservata, per esaminare le cose con un diverso punto di vista.
Aperto l’armadio di tutta fretta inossò uno degli abiti più semplici che le era stato permesso portare con lei; lungo fino alle caviglie di un colore misto tra l’azzurro e il grigio esaltava la sua piccola figura, mettendone in evidenza i capelli legati in due piccoli ciuffi intorno al collo e un mantello di pelle scura che l’avrebbe riscaldata. Con fare quasi felino si avvicinò alla finestra, spalancata e uscì su un piccolo cornicione di pietra e provò ad arrampicarsi verso il tetto dell’edificio.
Nella loro famiglia il vero scalatore era sicuramente Bran, anche se la stessa Arya aveva imparato a imitare i movimenti del fratello minore per sfuggire alle grinfie delle inservienti e, alcune volte, anche della madre. In un mondo come quello per sopravvivere dovevi adattarti, sempre e continuamente, nonostante il rango e le disponibilità economiche. Cercò un punto leggermente in piano e si sedete guardando l’orizzonte.
Da quel puto sopra elevato, lontano da tutto e tutti la giovane ragazza riuscì a vedere stagliarsi davanti ai suoi occhi la grande Barriera, colorata leggermente dall’alba. La grande parete, lucida e ruvida allo stesso tempo era l’ultima traccia che divideva tutti loro da quello che c’era oltre e che minacciava tutti noi. Lupi, mostri, popolazioni libere e…le ombre. Forse era proprio quella la cosa che la spaventava maggiormente. Quando era ancora a Grande Inverno Nana le raccontava spesso di quelle strane creature, assopite, scomparse per anni che stavano tornando a infestare le menti e i cuori degli uomini del nord e dei Guardiani della Notte.

“Signorina, vi ho mai parlato della Lunga Notte?” la voce delle vecchia sembrava un invito, una richiesta di attenzione che la giovane fanciulla decise di non ascoltare.
“Non credi che queste siamo delle storie per bambini?” Il tono di Arya era quasi critico. Non amava quelle storie adatte solo per spaventare i più deboli di cuore. La vita era già problematica di suo, non servivano altre preoccupazioni.
“Sapete, le ombre, minacciarono i primi uomini. Essi erano capaci di resuscitare i morti facendo fare loro tutto ciò che volevano e farli obbedire ai loro ordini. Grazie ai loro eserciti di non morti, inflissero un grave colpo agli uomini, che combatterono molto valorosamente ma l'avanzata degli estranei fu inarrestabile.” Arya non prestò troppa attenzione a quelle parole. Le favolette e le leggende non erano per lei e non amava sentirsi ancora una bambina a cui si dovevano raccontare delle storielle per tenerla buona.
“Il sangue sgorgava a fiumi e nessuno era in grado di fermare l’orda barbarica che si stava per abbattere su di loro.” Neanche da piccola quelle descrizioni macabre le avevano fatto effetto. Forse Sansa si sarebbe messa a piangere e a correre tra le gonne della madre, chiedendo che finissero di spaventarla senza motivo.
“ora, sta per succedere di nuovo, sta per tornare quella notte, quel grande buio di dolore e disperazione, e noi sapremo di nuovo fermarli?”


Le parole della vecchia incominciarono a martellarle il cranio. Cosa potevamo fare se quelle storie fossero state reali. Lei e Bran erano così vicini a quel muro che se fosse arrivato quel momento non avrebbero potuto far altro che prepararsi alla morte.
Essere troppo piccola per combattere, e contemporaneamente troppo grande per credere alle favole…
Doveva sapere. Doveva conoscere la verità: le favole di quei mostri erano vere? Come poteva vivere a metà tra conoscenza e ignoranza.
Sgattaiolò di nuovo dentro alla sua stanza e, preso calamaio e foglio iniziò a scribacchiare qualcosa. Lo avrebbe mandato a suo fratello Jon, così vicino e distante da lei. Voleva chiedergli se lui avesse mai visto qualcosa del genere, se si fosse mai imbattuto in quelle creature… se ci dovevamo preparare alla battaglia.
Improvvisamente sollevò la piuma e guardo le poche parole scritte di fretta con calligrafia incerta. Cosa stava facendo? Perché si era lasciata prendere da quelle storie e dall'ansia che creavano. Quello era un atteggiamento che avrebbe avuto Sansa: correre ai ripari, spaventata anche solo dalla luce del sole.
Non c’era motivo di avere paura.
Prese il foglio, lo stropicciò e lo lanciò nel fuoco. La carta si contorceva e scuriva al contatto con le calde fiamme del caminetto.
"Io non ho paura. IO non ho paura."
Arkhanta
00lunedì 25 febbraio 2013 17:36
Melisandre - Pdv 1 - La moglie di Azor Ahai

In molti modi era stata chiamata Melisandre d'Asshai, molti nomi le erano stati dati nel corso degli anni, alcuni dei quali la facevano sorridere, altri ancora li detestava.
La Donna Rossa era il più comune perchè in lei tutto ricordava il colore rosso del fuoco. Rossi i lunghi capelli, setosi fili vermigli che le ricadevano morbidi sulle spalle, rossa la sua bocca sensuale dalla quale uscivano suadenti parole. Rossi erano gli occhi, due tizzoni ardenti che ti penetravano fino all'anima. Rosso era il rubino posto ad adornare il suo collo sottile e che a tratti sembrava scintillare di vita propria. Infine, rosse erano le vesti che portava sempre e che ondeggiavano come fiamme inquiete ad ogni suo passo.
La maggior parte degli uomini avrebbe trovato una donna come Melisandre molto attraente e desiderabile, ma lei invece incuteva quasi paura negli altri e questo le donava una sorta di potere di cui si inebriava e compiaceva.
Non era una donna abituata a fallire e la reticenza che stava incontrando in Stannis Baratheon in qualche modo la infastidiva, anche se non poteva fare a meno di ammirare il suo rigore morale. Per questo motivo ora si trovava costretta ad interagire con quell'insulsa creatura quale era Selyse Baratheon, ma sfortunatamente al momento rappresentava la sua carta migliore.
Aveva dunque chiesto udienza a quella donna per poterle parlare delle grandi possibilità che il marito avrebbe potuto tenere in pugno se solo avesse aperto gli occhi e si fosse arreso al suo destino e di
conseguenza si stava dirigendo verso il luogo dell'incontro restabilito a passi decisi. Non appena la vide dovette celare dietro un falso sorriso la smorfia di disgusto che le provocava ogni volta la vista di Selyse e come ogni volta si impose di essere cordiale ed affabile nei confronti dii colei che in realtà disprezzava.
Selyse Baratheon era una donna alta almeno quando Melisandre ma sfortunatamente non aveva il corpo formoso e sensuale della sacerdotessa, era semplicemente magra ed informe. Passando poi al viso non si poteva certo affermare che la natura fosse stata più magnanima con lei: la cosa che saltava subito all'occhio era che la poveretta soffriva di un'irriverente crescita di peli sopra il labbro superiore sormontato da un naso aquilino ed occhi pallidi e spenti. Come se non bastasse questo suo viso poco grazioso era incorniciato da un paio di orecchie troppo larghe, tratto tipico dei Florent.
Melisandre era certa che il suo matrimonio con Stannis fosse privo di amore, del resto come era possibile innamorarsi di una creatura del genere? Aveva sempre pensato che il Principe Stannis Baratheon meritasse di meglio data la sua levatura, ma non aveva mai osato esternare questo suo pensiero contando anche il fatto che Selyse era una delle sue più accanite sostenitrici ed aveva abbracciato a pieno il culto di R'hllor.
"Bentrovata, Mia Signora" disse con voce setosa "Sono lieta che abbiate acconsentito a vedermile" Selyse era sempre intimorita da Melisandre e le mostrava una deferenza che molti avrebbero giudicato inappropriata "Sono io ad essere onorata della vostra presenza, Sacerdotessa. Avete affermato di avere molto di cui parlare, ebbene ascolterò ogni vostra parola". Nonostante tutto la devozione di Selyse compiaceva sempre Melisandre "Ho richiesto di poter parlare con voi perchè sono preoccupata per vostro marito, Mia Signora. Il Principe Stannis non sembra ancora aver abbracciato a pieno la consapevolezza di essere destinato a grandi cose eppure il tempo passa e sarebbe opportuno che egli si ravvedesse il prima possibile." La sacerdotessa tenne gli occhi fissi in quelli della donna "Vi ricordate la profezia di cui vi ho parlato, Mia Signora?" Selyse sussultò e boccheggiò per qualche istante istante prima di rispondere "Verrà il giorno, dopo una lunga estate, in cui le stelle sanguineranno ed il respiro gelido delle tenebre scenderà a incombere sul mondo. In questa ora terribile, un guerriero estrarrà dal fuoco una spada fiammeggiante. Quella spada sarà Portatrice di Luce, la Spada Rossa degli eroi, e colui che la impugnerà sarà Azor Ahai, prediletto di R'hllor, Guerriero della Luce, Figlio del fuoco, reincarnato. E di fronte a lei le tenebre fuggiranno..." un cenno di approvazione di Melisandre "Molto bene..." Aggiunse poi "Quando una stella rossa, araldo dell'eroe, sanguinerà e le tenebre si faranno più fitte,Azhor Ahai nascerà di nuovo dal fumo e dal sale risvegliando i draghi dalla pietra. Egli combatterà e se cadrà il mondo cadrà con lui... Capite bene perchè vostro marito sia di vitale importanza per tutti noi e perchè sia necessario che la sua fede sia forte". Selyse guardava la sacerdotessa con un misto di ammirazione e timore "Credete davvero che Stannis sia l'eletto del nostro Dio?" Il sorriso di Melisandre si addolcì "Ho visto il suo destino nel fuoco Lady Selyse, sono certa che sia lui. E sappiamo entrambe quanto egli sia un uomo eccezionale dalle qualità eccezionali, il Signore della Luce sa apprezzare tutto ciò." Melisandre appoggiò delicatamente una mano affusolata sul braccio della donna "Siete una donna fortunata, Mia Signora".
Selyse aveva ormai gli occhi lucidi da un misto di commozione ed eccitazione "Sì... Lo sono... Mio marito è un grand'uomo" "Quindi mi aiuterete a convincerlo ad ascoltare le parole di R'hllor?" La donna impallidì improvvisamente balbettando "Io... Non... Io... è un uomo molto testardo non è facile influenzarlo" Melisandre ritrasse la mano ed assunse un'espressione severa, la voce estremamente dura, gli occhi fiammeggianti "R'hllor guiderà le vostre parole Mia Signora, non dubitate. Avete forse già dimenticato cosa dicono le antiche scritture sulla moglie di Azhor Ahai?" Selyse ora era quasi impaurita " No no io... Sacerdotessa non era mia intenzione di dubitare della grandezza del nostro Dio" Melisandre provava quasi pena per quella creatura impaurita "Mi dispiace Mia Signora, non era mia intenzione turbarvi. Solo voglio farvi capire quanto anche voi siate di vitale importanza per la nostra causa. Nissa, la moglie del leggendario Azor Ahai servì la causa immolandosi e morendo tra l'estasi per aver aiutato il suo Dio, a voi non sarà chiesto un sacrificio così estremo, tutto ciò che dovrete fare sarà convincere vostro marito a venire a parlare con me senza pregiudizi e poi dato che egli non è un uomo stupido non potrà fare a meno di accettare il suo destino." La sacerdotessa assunse un'espressione quasi dolce sfoderando uno dei suoi sorrisi ammalianti "Pensate di poterlo fare questo per me... Per R'hllor, Lady Selyse?" La donna quasi si sentì mancare " Sì sì! Per R'hllor! Ogni cosa per il mio DIo... Parlerò con Stannis, non fallirò, non vi deluderò Sacerdotessa!" Un'espressione di trionfo comparì sul volto di Melisandre "R'hllor vi ricompenserà per i vostri preziosi servizi, Mia Signora! Ora però vi devo salutare, ho delle faccende che richiedono la mia attenzione, è stato un vero piacere parlare con voi".
Melisandre si allontanò a passi svelti, molti pensieri le affollavano la mente, sapeva fin troppo bene che avrebbe dovuto scegliere con estrema cura le parole da rivolgere a Stannis, quindi si ritirò nelle sue stanze a riflettere.
Gudrod Skiria Haraldson
00lunedì 25 febbraio 2013 18:19
Davos Seaworth - PDV II - Una giara carica di rabbia


Quante volte aveva percorso quelle correnti? Per l’ultima volta, forse, era salpato da Roccia del Drago per Approdo del Re.
La sua Betha Nera, con nessun’altra imbarcazione di scorta stava attraversando la Baia delle Acque Nere. Sembrava di essere tornati ai vecchi tempi: durante la notte era un’ombra solitaria tra le onde, remi e vento all’unisono, nero su nero, quasi invisibile anche alla vista più acuta. La nave era stata totalmente rinnovata. La cipolla sulla vela nera sembrava uno scherzo, una macchia priva di senso gettata su di un contesto totalmente estraneo. Il legno era stato scurito a tal punto da sembrare anch’esso nero. La chiglia era robusta e ancora perfettamente in grado di navigare per un’altra decina di anni almeno e continuava a fendere i mari, avvantaggiandosi delle correnti come ai tempi migliori.
Il carico però era totalmente differente, era rumoroso ma fortunatamente non puzzava.
Le lamentele della Lady risuonavano sin sopra il ponte, giorno e notte, senza tregua. Col Sole accusava l’equipaggio di andare troppo lenti, mandando la sua timida damigella a lamentarsi direttamente col capo rematore e costringendola ad una figura meschina, la notte invece si sarebbe dovuto evitare la maretta, un’intera giornata l’aveva addirittura passata sul ponte ridipingendo le murate coi resti dei suoi ultimi pasti mal digeriti.
Davos non si tirava mai indietro, ascoltava in silenzio quei rimbrotti rassicurando Lady Selyse che avrebbe fatto come suggerito per poi inevitabilmente continuare a fare come da lui stabilito. Addirittura all’alba del secondo giorno, con le scogliere di Rosby già in vista, la moglie del Principe pretendeva di accendere fuochi sul ponte per chiedere al suo nuovo dio di scongiurare la malasorte.
Fede o superstizione? Pensò sfiorando inconsciamente il sacchetto di pelle al collo. Per soli tre, al massimo quattro giorni di navigazione.
Fortunatamente la piccola Shireen appariva piuttosto divertita dal viaggio, era curiosa e non vedeva l’ora di giungere alla Capitale.
Le sue domande sono più intelligenti delle richieste della madre.
L’emozione per avere la possibilità di assistere al fidanzamento del Re occupava gran parte del suo tempo, facendole vivere, grazie alla sua innocenza e ingenuità, sogni ad occhi aperti. Lasciata Roccia del Drago era cambiata, sembrava aver acquistato di colpo serenità, c’era ben poco che le desse fastidio. Era sempre stata una ragazzina ben educata e dolce a dispetto del suo aspetto non propriamente piacevole, in gran parte stigma della sua fortuna… quale ironia. Macchia quando non passava il tempo ad osservare il mare sussurrando insensatezze, le raccontava storie di sirene e di pescatori invecchiati nelle pance delle balene.

Il terzo giorno Approdo del Re era già in vista. La tratta era piuttosto breve e la Betha Nera viaggiava veloce, certo non raggiungeva le punte della nuova Lyseniana di Salladhor, della quale si narrava ogni bene per i porti del Westeros, né era robusta come la Pesce Spada dei Bar Emmon ma era certamente più agile, più snella e più adatta alle sortite notturne. Cosa farsene ora di quella peculiarità? Il Cavaliere sollevò le spalle ripensando ancora una volta a quel che fu e scese sottocoperta per annunciare a Lady Selyse l’imminente arrivo a destinazione.

Ammainate le vele era necessaria la spinta di tutti i remi per vincere la resistenza della foce del Fiume Acque Nere. La Fortezza Rossa si stagliava a nord generando grande stupore in chi non l’aveva mai vista. Roccia del Drago era infatti terribile e quasi inespugnabile ma questa fortezza era immensa e nemmeno il sole di mezzogiorno ammorbidiva la sua scorza rossa come il tramonto. Il puzzo di Approdo si era presentato a bordo già quando la nave era a largo, in uno dei rari momenti di vento sfavorevole ed ora si faceva sempre più pungente in una fastidiosissima alleanza col chiasso tipico del più grande porto del continente occidentale. Non fu facile trovare un attracco degno di Lady Selyse Florent e il suo seguito: alcuni erano troppo lontani dalla porta del Fango o del Fiume, che a quanto pare le suonava più adeguata, altri erano quelli dedicati alle navi mercantili. Fu solo grazie alla prontezza di Dale, il primogenito del Cavaliere e Capitano della Fantasma, che fu fatto posto alla Betha Nera accanto alla Furia di Stannis.
Era incredibile la quantità di imbarcazioni presenti al porto, in gran parte erano navi da guerra. Quando Stannis gli comunicò della decisione del Re di rafforzare la flotta l’emozione che provò cozzò improvvisamente con la freddezza del Principe. Il suo sguardo gelido e imperscrutabile non trapelava alcunché ma la mascella serrata non faceva presagire nulla di buono. D’altronde i Greyjoy avevano già deciso di prendere il largo tornando alle loro vecchie abitudini, depredando col ferro quel che altri costruiscono col sudore. Non si erano macchiati di chissà quale nefandezza, l’isola di Lord Redwyne era praticamente deserta e i soldati sconfitti erano stati probabilmente solo catturati. Ma come avevano potuto portare un attacco così ben mirato? E per quale motivo quel grosso quantitativo di denaro era stato lasciato praticamente incustodito ad Arbor?
La Corona doveva prendere una decisione. Poteva essere questa la risposta? Il Principe Renly aveva mostrato il lato buono della Casata inviando missive riconcilianti e utilizzando i suoi soliti metodi morbidi. Davos aveva provato un certo gusto e non poca soddisfazione nel leggere, finalmente, quei dispacci. Capacitandosi di quanto potesse essere incredibile imprimere su carta alcuni aspetti dell’animo di una persona. Re Robert probabilmente avrebbe invece palesato l’altra faccia della medaglia, quella furiosa e sul pettorale d’acciaio del disubbidiente. Quindi… a chi affidare la flotta reale se non al suo fratello minore, la sintesi dell’essenza dei Baratheon, e al cavaliere della cipolla?
Furono le urla di Samuel, il Nostromo, che approntava lo sbarco dei passeggeri e dell’equipaggio assieme ad Allard e Matthos Seaworth, a ridestare Davos da quelle elucubrazioni mentre il carpentiere e il Capitano d’armi organizzavano lo scalo del carico.

Solo quando mise piede a terra, si accorse di quanto tempo era passato dal suo ultimo attracco in capitale in pieno giorno, senza doversi preoccupare delle guardie. Quel pensiero lo fece sorridere, e mentre lui si guardava attorno con espressione divertita e allo stesso tempo ironica, il suo prezioso carico con le mani ai fianchi sembrava una giara piena di rabbia. Il Capitano non ci mise più di due secondi a sollevare il Nostromo dall’impegnativo incarico che gli era stato affidato, affrancandolo dagli ultimi rimbrotti della donna. Con un inchino invitò Lady Selyse a raggiungere la carrozza appena giunta.
“Presto potrà riabbracciare il suo Principe.”
Questa affermazione chiaramente fece sorridere il Cavaliere più dell’immagine precedente. In risposta la moglie del suo Lord lo guardò confusa, ma la soddisfazione di potersi sedere sul morbido sedile della carrozza e probabilmente di poter raggiungere in breve un bagno degno la convinse ad accomodarsi senza pensarci oltremodo. Fu invece Dale ad aiutare la piccola Shireen, ancora ammaliata dall’immagine della Fortezza Rossa, a salire… scortandola sulle sue spalle per tutto il tragitto e conseguentemente aizzando una reazione acida della madre.
Davos con un gesto di liberazione colpì il mezzo sul fianco, segnalando al cocchiere di poter andare seguito dalla scorta. Il nitrito dei cavalli celò alle orecchie della donna il sospiro di sollievo.

Lo sguardo del primogenito era fisso su di lui, seguì un breve abbraccio
“Tu non vuoi raggiungere Lord Stannis immediatamente?”
“No Dale… non in compagnia di sua moglie.” Rispose sorridendo.
In realtà erano altre le cose che aveva intenzione di fare, o meglio che doveva fare. Immergersi immediatamente nelle faccende di corte era proprio quello che voleva evitare, tuttavia era necessario eseguire alcune verifiche prima di poter andare a fare visita ad alcune sue vecchie conoscenze del Fondo delle Pulci.
Dwavolin
00lunedì 25 febbraio 2013 18:56
filastrocche da brividi
Era bella,bionda e sembrava posseduta dallo spirito di un dragone! Il suo seno prosperoso ballava ad ogni suo movimento e gli sorrideva. Jon era sdraiato, la schiena gli doleva un po’ ma il gioco valeva la candela. Marlene era il nome dalla giovincella dai fianchi larghi, perfetti da afferrare, che si dimenava sul suo membro senza sosta. Calda,viva e bagnata: Jon era al settimo cielo, il sole splendeva forte e un profumato vento caldo entrava dalla finestra…


“tock,tock!” si sentì bussare alla porta. Il mondo incominciò a schiarirsi ed il grande Jon mise a fuoco bene la stanza in cui si trovava. Travi di legno scure sul soffitto, pelli di foche che lo riscaldavano, alito di birra e nessuna Marlene…

“Che i sette mi fulmini” borbottò “che mi sia sognato tutto?”. In effetti era così. Alla porta non c’era nessuna ragazza attraente, nessuna luce penetrava dalla finestra e il freddo era forte e pungente tanto da far uscire grandi nuvolette di fumo dalla bocca del lord di Ultimo Focolare.
Fermo, insicuro e timorosa c’era la fastidiosa presenza di Flich: il figlio del mercante che Jon poco sopportava.
“Cazzarola…devo smetterla di fare sogni ed incubi…anche se quello di oggi non era poi così male”pensò Umber.

“Tu, guasta serenità, perché vieni qui a disturbarmi? Stavo meditando!” disse mettendosi seduto nel letto. Le coperte scivolarono e lasciarono il petto del gigante in catene scoperto. Nonostante l’età non più giovanissime il fisico non gli era mai venuto meno:addominali e pettorali scolpiti nel legno, Il collo di un toro, una foresta di peli e numerose cicatrici sulla pelle. Jon aveva sempre scherzato dicendo che se mai fossero scomparse tutte le donne dal mondo, per lui, rimanevano sempre tante e belle orse.
Ma la giornata non era partita con grande ironia…e Flich ne era la causa principale.
Il giovane proferì balbettando “chiedo venia, mio lord, non sapevo stavate dormen…mmh! Voglio dire meditando. Pensavo che sua regalità maestosa poteva trovar interressanti le carte che il maestro mi ha chiesto di portarvi poc’anzi.”
Il cuore di Umber batteva forte e una vena apparve sulla fronte dell’uomo. “Flicks….” Disse con tono profondo e atono. “è Flich mio signore regale” rispose il giovane.
“Prima di tutto parla come mangi. Non sono né Re né Regina. Secondo pulisciti la bocca perché le leccate di culo non mi son piaciute e terzo ”Jon fece una pausa ”la prossima volta evita di portare il tuo grugno fastidioso fino a qua.Avanti portami queste pergamene…o qualsiasi cosa siano”. Il giovane diede le carte,si voltò e come un fulmine sparì dalla camera.
A jon venne quasi da ridere; “ammetto che impara in fretta il raccomandato” pensò. Prese in mano le pergamente, erano vecchie,ingiallite e puzzavano di muffa. Una nota era scritta su un foglio di carta nuova ed era un appunto del Maestro di Ultimo focolare e diceva: “Mio signore,come lei ha comandato,ho raccolto tutto quello che io e i miei attendenti abbiamo trovato nelle nostre librerie riguardo agli estranei. Ammetto che è poco materiale ma qua siamo al confine del mondo e non c’è molto. Se lei è d’accordo manderei una missiva a grande inverno per sapere se hanno qualche tomo in più.” Da un sogno piuttosto gradevole ad un bagno tra le scartoffie:Jon non era certo nel suo ambiente prediletto.
I tomi erano due. Il primo era una raccolta di pagine macere che narrava di esseri bipedi che arrivavano con il ghiaccio ed il gelo. Non avevano sonno, non avevano fame e non avevano anima. Secondo il trattato erano simili a uomini ma possedevano la fisionomia leggermente alterata ed occhi profondi e glaciali come il sospiro della morte.Verso le ultime pagine si accennava a delle particolari armi da usare contro questi esseri ma il capitolo che ne parlava,insieme a tutti gli altri che seguivano erano mancanti.
“Per adesso non so nulla di nuovo,mi sono solo cacato addosso dalla paura ed ho perso tempo” borbottò il grande Jon rimettendo a posto il plico e poggiandolo sul tavolo di quercia. Il secondo tomo era una sorta di diario di corta. Colui che l’aveva scritto non era né un reggente né un nobile. La firma non si riusciva a distinguere ma secondo una stima, fatta da Jon,doveva essere un ragazzetto che frequentava corte e che faceva uno di quei diari che spesso scrivevano gli adolescenti.
“Oggi a corte è venuto da nord un giullare.Non sapevo che più a nord di qui ci fossero castelli o magioni…tuttavia si è presentato al Lord e dice che resterà per altri due giorni. Sono così eccitato:non vedo l’ora di vederlo all’opera!”
“Eccoci finalmente! Oggi a corte si è tenuto un ballo e poi l’esibizione del giullare appena giunto:è bravissimo! Ha ballato e cantato e ha fatto delle grandi acrobazie con lame e coltelli. Non so se voglio ancora essere un cavaliere da grande…se farò il giullare potrò essere acclamato come oggi è successo al nuovo arrivato:è stato grandioso.”
“Non riesco a dormire…oggi il giullare ha terrorizzato me,i miei fratellini e tutti quelli che erano a corte. Dopo aver fatto le solite battute ha preso un’arpetta e ha chiesto il permesso di cantare una filastrocca divertente….che divertente non era per nulla. Scrivo più o meno quello che mi ricodo:
‘Quando è freddo e tutto tace
E niente luce da fuoco e brace
Stai attento al freddo e al vento
Se ti giri grande sarà lo spavento

Questo succede al Nord dei lupi
Ora arrivan i giorni Cupi

Bianchi cavalli,ossa e pelle
Non c’è luce di luna e stelle
Occhi di ghiaccio,freddo e gelo
Tu tremi,piangi e rizzi il pelo

Questo succede al Nord dei lupi
Ora arrivan i giorni Cupi

Tutto questo perché né castello né forte
Può fermare la fredda morte
Questi si sa,son tempi vili e marrani
E tu devi correre:son qui gli estranei.”


Jon lesse la filastrocca e sentì la pelle d’oca sulla nuca. “cazzate di bardo” si disse mettendosi in piedi. Il cielo era bianco e prometteva neve a non finire. Al grande Umber servivano informazioni utili, e piani ben congeniati, non filastrocche per minare animo e spirito dei propri uomini. Nervoso buttò la pagina della filastrocca nel fuoco e si soffermò a guardare le fiamme che lambivano la carta ammuffita. “Questo Stannis e la sua lady Melisandre di sicuro la leggerà” pensò. Si mise il corsetto,le brache e la cotta di maglia. Il peso dell’armatura giovava al suo spirito. Assicurò l’enorme spadone alla schiena quando, ad un tratto, si sentì ribussare alla porta. “tock,tock”
“Flich?”disse Umber. “no signore,siamo pronti” rispose la voce aldilà della porta.
“ho capito,sono pronto anch’io” era giunto il momento di partire per Approdo del Re.
blond121
00mercoledì 27 febbraio 2013 11:59
Jaqen I - Un dolce risveglio


Il corvo arrivò nell'accampamento alle prime luci dell'alba.
La nebbia mattutina teneva, nonostante i raggi del sole di inizio primavera facessero presagire una splendida giornata, dando alle tende un aspetto irreale, come di un quadro sbiadito.
Le Gabbie erano sul confine sottovento, come tutte le bestie utili al piccolo esercito mercenario e le latrine, per evitare al minimo cattivi odori e rischi di contagi. "Una trovata utile" pensò " Questo Jaqen non è uno stolto dopotutto, pare che le storie siano vere...in parte".
Il Maestro di campagna assunto dal Pedone del Bianco e del Nero , così i suoi uomini lo chiamano, sbarrò li occhi leggendo le notizie giunte da suo cugino Aesuty, piccolo lord di un cencioso villaggio di confine del Nord del Dorne.
" Per i Sette dei..." momorò.

Jaqen H'ghar era nella sua tenda, come ogni mattina. Si svegliò nello spazio adibito al "riposo" tra un cuscino di sete di Myr e un groviglio di lenzuola di qualche località del mare dell'estate, come ogni mattina. Si svegliò rigido, teso, pieno di vita, come ogni mattina. Il mucchio di lenzuola si mosse, svelando una figura femminile, proveniente da qualche fattoria più a Nord, che si mise a lavorare alacremente sotto il lenzuolo che copriva i lombi di Jaqen. Gettando la testa indietro il mercenario usci completamente dal sonno assaporando il piacere che la giovane gli stava donando, percependo ogni suo sussulto e colpo d'anca. Il termine "riposo" aveva molti significati a Bravoos...
La giovane, mentre raggiungeva il climax si avvicinò al suo orecchio, sussurrandogli " Ti prego mio signore, concedimi il Dono ". Lo diceva ogni mattina, ma ogni mattina lui rifiutava. Dopotutto, il Dono non era un capriccio, c'erano dei momenti, dei giorni, catartici importanti che andavano celebrati. allora e solo allora questo Servo poteva concedere il Dono. Dopotutto non erano a Bravoos, nella Casa del Bianco e del Nero ma in un'accampamento, in mezzo al nulla nel Westeros.
Mentre rifletteva ciò, si accorse che il movimento era finito. Riscuotendosi dai suoi pensieri Jaqen si accorse che inconsciamente, alla richiesta della ragazza, rapido come un serpente, gli aveva spezzato il collo.
Ora la ragazza, con il suo sguardo vacuo ma in qualche modo estasiato, stava scivolando via dal suo membro ancora turgido.
Mentre stava ancora cercando di capire cosa fosse successo senti qualcuno all'estremità della tenda che aspettava.
Era il Maestro, Lothar o Lothuar, non ricordava, che attendeva li con in mano un'incartamento e la faccia sbigottita dallo spettacolo.
Jaqen scivolò al suo fianco, rapidissimo.
Con lo sguardo ancora sulla pergamena disse al Maestro: " Quest'uomo prevede guadagni...".

No, decisamente questa mattina non era una comune mattina.
Long Claw
00venerdì 1 marzo 2013 16:28
Tormund I

Bevve un sorso, poi alzò lo sguardo verso la linea bianca che si stagliava contro l’orizzonte infinito. Era strana, la Barriera. Era allo stesso tempo sia il limite del mondo sia l’inizio di uno nuovo.
Pur avendo sempre desiderato di poterla attraversare, soprattutto da giovane, aveva sempre saputo che questo sogno sarebbe rimasto fino alla sua morte una chimera. Alcuni ci erano riusciti, ma era accaduto molti secoli prima della sua nascita e non erano riusciti a compiere molte miglia nelle terre della primavera. E soprattutto, non poteva abbandonare il suo popolo. Era stato scelto come capoclan e non aveva alcuna intenzione di lasciare la sua famiglia al gelido inverno. Certo, l’estate l’aveva sempre attirato, ma il fuoco del suo villaggio era tutto il caldo di cui aveva avuto bisogno durante tutta la sua vita. O almeno, fino all’anno precedente.
"Tutto a posto, Veleno dei Giganti" disse all’improvviso Orell "sembra che i corvi non abbiano ancora mandato esploratori a controllare. Secondo me potremmo perfino arrivare a 500 miglia dalla Barriera senza essere avvistati."
"Har, se tutto procedesse così ancora per due settimane potremmo riuscire ad arrivarci addirittura ai piedi. E chissà, magari anche passare oltre." tuonò Tormund.
Sebbene l’antipatia verso i corvi per un capoclan del Popolo Libero fosse inevitabile, non li aveva mai odiati quanto altri dei suoi compagni. Gli bastava anche solo pensare all’ultimo gruppo di rangers che avevano incontrato lungo il loro tragitto verso le terre della primavera.
Era successo sì e no un mese prima: come al solito una delle vedette mutaforma li aveva avvistati ben prima che se ne potessero render conto. Erano finiti dritti tra le braccia della compagnia di Rattleshirt, che si era apprestato ad eliminarli senza la minima compassione, ma per immensa fortuna dei corvi il Veleno dei Giganti si trovava nelle vicinanze ed era riuscito a intervenire. O meglio, a dar loro la possibilità di bere un ultimo sorso di birra prima dell’esecuzione.
In fin dei conti provava un minimo di compassione per loro, erano per lo più uomini costretti a passare giornate lunghe e gelide sulla sommità di un muro, per un regno che neanche più sentivano loro. Ma erano anche parecchio stupidi, questo era innegabile: avrebbero potuto scappare o ribellarsi, senza neanche troppe difficoltà. Come aveva fatto Mance, del resto…
Bevve un altro sorso dalla sua fiaschetta, continuando a guardare la Barriera sotto il freddo sole di inizio inverno. Volse lo sguardo al popolo alle sue spalle: giovani uomini, donne, bambini, ma anche mammuth, giganti e carri decorati con ossa e teschi, creati appositamente per incutere timore al nemico. Peccato che non avessero funzionato.
I guerrieri dell’inverno non provavano paura e probabilmente neanche nessun’altro sentimento, erano solamente dei crudeli assassini che si erano fatti strada tra i villaggi del Popolo Libero senza la minima pietà, trasformando in cadaveri ambulanti fratelli e amici. E questa volta non erano semplici incursioni, semplici leggende che tornano a essere vive per una notte. No, questa volta era una vera e propria guerra.
Si poteva solo sperare che ossa e teschi, pur non avendo funzionato contro i guerrieri bianchi dell’inverno, funzionassero contro i guardiani neri della Barriera.


Improvvisamente sentì uno strano rumore tra le fronde degli alberi alle sue spalle. Lo riconobbe subito: solo la corazza di ossa di Rattleshirt causava quell’orribile, straziante suono.
"Mance ti vuole nella sua tenda, e subito" gracchiò il piccolo uomo dentro al cranio di gigante che usava come elmo.
Senza neppure rispondere, Tormund riattaccò il suo otre di birra alla cintura e si avviò verso il centro dell’accampamento. Di sicuro Mance voleva discutere con lui delle prossime mosse, in fin dei conti entro una settimana sarebbero stati quasi ai piedi della muraglia.
Lo trovò appollaiato su uno sgabello, mentre pizzicava le corde del suo ormai famoso liuto. Prima di alzare la testa concluse il passo che stava suonando, poi finalmente guardò negli occhi il corpulento capoclan che gli si stagliava davanti.
"Salute a te, Tormund" esordì "come puoi immaginare ti ho convocato qui per discutere della nostra impresa: ormai siamo davvero vicini alla battaglia". Si alzò e si diresse a passo svelto verso il tavolo che si trovava al centro della tenda, dove erano distese alcune mappe del Nord e della Barriera.
"Non aspettiamo Styr? Il suo consiglio potrebbe esserci utile. Har, scommetto che si sarà attardato sulla cima di qualche montagna." Era impressionante la quantità di tempo che il Thenn passava a scalare pareti di roccia, cosa che Tormund non trovava cosi divertente. Preferiva di gran lunga allenarsi, abbattendo qualche albero con la sua ascia o lottando contro qualche impavido compagno, magari con qualche pausa per sorseggiare un po’ del suo amato idromele.
"Styr non verrà, ed è proprio di questo che volevo parlarti. E’ stato bloccato da una nevicata improvvisa durante la sua missione di ricognizione. Il tempo scarseggia, più aspettiamo più è probabile che i corvi ci trovino… E se non loro, qualcosa di peggio. Per questo dobbiamo partire subito all’assalto."
"Har, forse ti sfugge che non saremo ai piedi della barriera prima della prossima settimana, soprattutto perché le catapulte sono in riparazione. Ci vorranno almeno quattro giorni per rimetterle in sesto."
"Se aspettiamo le catapulte ci metteremo un’eternità, questo è ovvio. Ma se invece stanotte tu partissi al comando di una guarnigione, domani a mezzodì potresti essere sulla cima della muraglia a salutare i nostri amici in nero."
Tormund diede uno sguardo alle mappe, mentre rifletteva. C’era solamente una guarnigione in grado di coprire distanze così grandi in una sola notte, e soprattutto di arrivare in cima alla barriera con una tale facilità…
"Hai del fegato, Mance" gli disse, guardandolo dritto negli occhi "Mi piace. Potrebbe essere un po’ azzardato, ma mi è sempre piaciuto questo genere di imprese."
"Pur non essendo uno scalatore del livello di Styr sono sicuro che riuscirai ad arrivare lassù senza troppi problemi. Verranno composte molte ballate su Tormund, lo Scalatore della Barriera."
E dopo questa frase Tormund non poteva più rifiutare la missione: i titoli lo avevano da sempre entusiasmato. Non che ne fosse privo, anzi: Veleno dei Giganti, Marito delle Orse, Re dell’Idromele di Ruddy Hall, Colui che Parla agli Dei, Padre delle Armate… Ma ogni titolo da aggiungere alla lista lo riempiva di orgoglio.


Dopo una mezz’ora passata a definire con Mance gli ultimi punti del piano, uscì dalla tenda e, con un brivido per il freddo, guardò il sole al tramonto. Da quando aveva accettato di diventare capoclan, aveva sempre saputo che sarebbe stato il primo in ogni cosa, negli onori come nei doveri. Non che prima della nomina fosse mai stato secondo in qualcosa, se non in quella gara… No, non doveva ripensarci. Era successo moltissimi anni prima ed aveva cercato di dimenticare quella storia per molti decenni, purtroppo senza riuscirci. Ogni volta che ci ripensava si sentiva in colpa, anche se in realtà la colpa non era assolutamente sua.
Durante una discussione tra ragazzi, era stato sfidato da un giovane del villaggio in una gara di corsa. Solitamente le gare a cui partecipava erano di forza, ma aveva accettato pur sapendo che probabilmente l’avversario sarebbe stato più veloce di lui. Quello che non sapeva era che il giovane era un mutaforma e che a metà della gara, dopo averlo già seminato, era salito sul dorso di un lupo per guadagnare ancora più terreno in facilità. Purtroppo per lui, le sue abilità in questo campo erano ancora acerbe. Il suo corpo fu ritrovato qualche giorno più tardi in una cavarna nei pressi del villaggio. Tormund non aveva fatto nulla, aveva fatto tutto la sua fama. La sua fama di eterno vincitore.
Era stata la sconfitta più grande della sua vita, anche se aveva tagliato per primo –e da solo- il traguardo quel giorno. Quel giorno il giovane Tormund impulsivo e sfrenato era morto, e ne era nato uno molto più riflessivo e attento al suo agire. Si era reso conto che, anche senza volerlo, le azioni di uno condizionano la vita di molti.
Alzò ancora una volta i suoi occhi verso la Barriera, come aveva fatto decine di volte negli ultimi giorni. Iniziava ad esserne annoiato: tutto quel bianco… Troppo bianco. Voleva vedere il verde delle praterie, voleva vedere il destino del suo popolo cambiato. Erano stati costretti a tenere lo sguardo basso per troppo tempo ed era arrivato il momento di prendersi le proprie responsabilità da capoclan e di rompere le catene dell’emarginazione e della povertà. Senza che se ne rendesse conto, la sua mano si diresse verso l’otre appeso alla sua cintura.
Mentre il sapore dolceamaro dell’idromele gli riempiva la bocca, pensò che in fin dei conti la muraglia era un limite senza significato. Da un lato c’erano uomini, come dall’altro; da un lato c’erano montagne e prati, come dall’altro… Ma da un lato c’era la vita, dall’altro solamente una morte gelida come una notte d’inverno.
skarn87
00venerdì 1 marzo 2013 23:16
Jon Arryn -odore di tempesta-

Come era stato ampiamente previsto, dopo appena quattro giorni di viaggio tranquillo già si vedeva la costa con la città del gabbiano che vi sorgeva. I primi due giorni si era stati spinti verso il mare dalla forte corrente del fiume e poi si era deciso di abbassare le vele e mettere in azione i remi spingendoci un poco al largo dove si erano svolte alcune esercitazioni e manovre base tra le navi della flotta. Fu una giornata molto rilassante anche se alcuni incidenti provocarono in Lord Mallister acide battute su quei “traghettatori da torrente” che ora comandavano delle vere navi in un vero mare. Nel tardo pomeriggio dopo che si era rimesso in grado di navigare una nave che aveva sbagliato manovra e si era ritrovata speronata contemporaneamente da altre due navi su fronti opposti, i marinai erano andati nel panico vedendo la nave imbarcare una considerevole quantità d’acqua, ma dopo aver riportato la calma e ripescato quei poveretti che erano finiti sbalzati dritti in mare, si era potuto continuare. Dalla nave ammiraglia si godeva di un ottimo spettacolo e a fine giornata i vari rapporti parlavano solo di leggeri danni dovuti a manovre incaute e a piccole ferite di varia natura, la più grave riportata da un marinaio per la rottura improvvisa di una corda che teneva saldamente legata un’estremità di una vela all’albero, l’effetto frusta gli aveva spaccato il naso e lo aveva visto catapultato sul ponte a vomitare bestemmie e sangue.
La città appariva calma e tranquilla vista da lontano ma ben presto iniziò a suonare la campana d’allarme, le vedette stavano facendo bene il loro lavoro anche in assenza di Corbry. Quando fummo abbastanza vicini le campane smisero di suonare l’allarme, ormai si era sparsa la voce che la flotta batteva bandiera Tully e che dunque non c’era motivo di andare nel panico visto che si era avvistato anche il vessillo del falcone su alcune navi.
Quando il porto fu in vista rimasi sconcertato dallo spettacolo che mi si parò d’innanzi.
Avevo portato tutta la flotta Arryn con me, quindi nel porto avrei dovuto trovare solo i pescherecci e poche altre navi da trasporto, invece era attraccata una ingente quantità di navi che dal profilo largo e tozzo e dalle vele variopinte identificai come navi mercantili provenienti dall’est. Generalmente alcune di quelle navi approdavano per concludere qualche affare e poi ripartivano seguendo la rotta commerciale che le avrebbe portare a nord verso Porto Bianco e poi a Braavos, oppure verso Approdo del Re o Lancia del Sole. Ma non avevo mai visto così tante navi mercantili assiepate sul porto.
Avevo ancora ben chiare in mente le parole di Robert vergate sulla pergamena giuntami prima di salpare.
“ …nubi oscurano l’orizzonte, la tempesta potrebbe colpirci all’improvviso e ho bisogno ancora una volta del tuo sostegno per squarciare le nubi e far piovere acciaio sui nemici del Regno…”
La flotta si dispose in modo ordinato sul porto e le navi che non ne avevano bisogno misero l’ancora e rimasero in attesa di ripartire. Mentre mi apprestavo a scendere sul molo mi rammaricavo di aver sottratto lord Corbry dai suoi doveri, avevo solo voglia di riposarmi ma chissà perché sentivo puzza di marcio e dovevo chiarire la questione prima di potermi godere un meritato riposo, le miei articolazioni iniziavano a dolermi e le energie stentavano a durare.
Quando fui sulla terra ferma il mio scudiero mi portò il cavallo e mi diressi immediatamente alla capitaneria del porto, dietro di me la mia scorta cercava affannosamente di recuperare la distanza che avevo messo tra me e loro con la mia improvvisa partenza.
Arrivare alla capitaneria fu piuttosto facile, la gente di Città del Gabbiano mi lasciava il passo e mi salutava cordialmente. Quando entrai un funzionario mi corse incontro e si inchinò.
< Lord Arryn, mio signore, non ci era stata annunciata la vostra venuta, il Comandante al momento è impegnato in una difficile trattativa e non può ricevervi, ma se vuole seguirmi e rinfrescarsi la farò accomodare e ricevere appena possibile >
Degnai appena di un'occhiata l’untuoso funzionario
< Portami dal Capitano, adesso.> decisi
stavo proseguendo verso le scale che portavano al secondo piano dell’edifico dove il comandante portuale teneva il suo ufficio ignorando le deboli proteste che venivano mormorate alle mie spalle. Quando raggiunsi la porta dell’ufficio il funzionario l’aprì e senza entrare mi annunciò lasciandomi lo spazio per entrare indisturbato nella stanza.
< Lord Jon Arryn Signore del Nido Dell’Aquila e Protettore dell’Est >
Al mio improvviso ingresso in molti si voltarono verso la porta indignati per l’interruzione non gradita, ma il traduttore ripresosi prontamente dalla mia comparsa mi annunciò anche a quegli stranieri in valyriano e ben presto le loro espressioni corrucciate si trasformarono in piacevole sorpresa e una pio di loro accennarono ad un rapido inchino. I loro abiti erano riccamente agghindati come le loro persone e alcuni avevano i capelli e le barbe tinte di scintillanti colori nell’abituale moda dei tyroshi. Con una rapida occhiata contai circa una dozzina di mercanti, perché che lo fossero era innegabile.
< Mio Signore lord Arryn, non ero stato avvisato della vostra venuta, altrimenti vi avrei accolto come si confà al vostro rango, ma come potete notare stavo discutendo con questi importanti signori> il Comandante del porto era un uomo basso e tozzo con la testa completamente pelata e lucida, sembrava più adatto a lavorare come magazziniere o scaricatore se non fosse per i piccoli occhi vispi e acuti che tradivano l’intelligenza del personaggio. Quasi contemporaneamente alle parole del capitano il traduttore traduceva agli ospiti.
< Tranquillo Comandante, la mia venuta è stata dettata dalla curiosità, non mi aspettavo di trovare navi nel porto, o meglio non mi aspettavo di trovarne tante, chi sono questi nostri ospiti? > dissi mentre il traduttore faceva il suo mestiere
Un uomo sui trentacinque anni alto, asciutto e scattante mi si pose di fronte e dopo un inchino particolarmente elaborato disse in lingua comune appena comprensibile ma molto musicale
< è onore per me conoscere voi lord Arryn, io è Chako Thyko capitano della compagnia mercante “Drappo d’Oro”, questi è miei compagni, noi venire al di là del mare e….ehm.. da tanti posti diversi, ma tutti avere stesso ehm.. come.. si dicie?... interesse! >
< Onore mio, Thyko, ma tutti i mercanti hanno lo stesso interesse in comune, quindi precisamente di cosa vi occupate voi? > chiesi
Un ampio sorriso apparve su quel volto abbronzato e notai per la prima volta che i suoi canini brillavano, il tutto mentre il traduttore continuava imperterrito, probabilmente Chako era l’unico a parlare un po’ la lingua comune dei sette regni
< Noi commercia in stoffe, sete, lana, satin, merletti di myr e pellicce, ma anche in oro e pietre preziose, ogni cosa fa bella una donna bella e ricca noi lo abbiamo, delicati merletti per giovani vergini, morbide pellicce per raffinate donne, soffici e colorati mantelli per giovani cavalieri, nonchè caldi indumenti di lana per chi soffre di più freddo > elencò lanciandomi una penetrate occhiata riferendosi alle persone che soffrivano maggiormente il freddo “ per i vecchi” pensai e risposi alla sua allusione.
< gli indumenti caldi non mi dispiacciono ma non disprezzo neppure i merletti per la mia armatura >
Chako sorrise capendo la mia frecciatina e con una teatrale mossa tirò fuori da una piccola sacchetta che portava appesa alla cintura una piccola striscia di seta con un merletto e me la drappeggio scherzosamente sul bracciale di acciaio
< Ciò che piacere a te piacere a noi, ma Chako suggerire una tonalità più scura, magari rossa, così è sporca meno dopo battaglia >
Io risi di gusto alla sua abilità, era un uomo che sapeva fare bene il suo lavoro e capii perchè i suoi compagni lo avevano scelto come guida, avrebbe saputo vendere qualsiasi cosa al giusto prezzo.
Questo mi mise in allarme, perché un uomo della sua “stoffa” stava mercanteggiando con il capitano del porto quando avrebbe potuto mandare un servo a sbrigare la commissione burocratica e vendere liberamente le sue merci in città e nel mercato prima di ripartire con le borse piene verso la meta successiva?
< Chako sei un uomo intelligente e di buon gusto, perciò senza cercare di abbindolarmi, dimmi cosa ti porta qui > dissi dopo un po’
Le facce dei suoi compagni ebbero un fremito quando il traduttore riferì le mie parole e molte occhiate furono rivolte al capo della compagnia
Chako fece un mesto e triste sorriso prima di rispondermi
< Lord Arryn voi è molto acuto, noi cerca un porto sicuro, troppi pirati nel mare stretto e viaggiare è pericolo. > fece una breve pausa prima di riprendere < Nostre stive piene e noi andare a est per vecchia rotta, ma c’è guerra a est adesso e si parla di draghi, io no crede ai draghi, parlano sempre di draghi da quando io è.. ehm… piccolo, io crede in guerra, e guerra porta fame e miseria, dove è guerra è fame e pericolo e non è buono per commercio di stoffe. Così io parto per ovest e trova pirati, ma io è furbo e io ehm.. armo navi e compra guerrieri. Io arriva a città del Sole con Lancia ma loro caccia me, pensano io pirata! Io! Povero e pio Chako Thyco no è pirata! Ma loro no vuole me! Allora io va nord io arriva a Isola di Tart, ma li loro poveri e dire al povero Chaco terre tempesta avere epidemia. Io odia peste. Si ammala uno per ehm.. starnuto.. e poi si muore come mosche su nave. Così io arriva qui. Io è stanco. Io volere vendere, basta viaggiare.> un mormorio di approvazione seguiva la parole di Chako mentre il traduttore gliele riferiva.
< La tua è una storia triste Chako, ma hai ancora le tue navi e le tue mercanzie> risposi
< a Chako piace vendere, ma è sfortunato e povero, Chalo non vende nulla da tre mesi!>
< Città del gabbiano è ricca e sono certo che riuscirai a vendere molte delle tue merci, che in tanti apprezzeranno, ma ancora non mi hai detto perché sei in questo ufficio anziché là fuori a vendere le tue merci>
< A Chako piace città Gabbiano, ma non può vendere tutto qui e non può tornare a casa prima di venduto tutto, ma troppi pirati in mare aperto costa più sicura, Chako cerca un porto per aprire ufficio e vendere in tutta la lunga costa del continente >
< Credo di aver capito e credo che noi si possa fare un buon affare entrambi>
< Chako ti ascolta, piacciono affari > e sorrise di nuovo ampiamente
< Chako puoi vendere qui le tue merci e puoi venderle lungo la costa, puoi aprire un ufficio e gestire gli affari assieme ai tuoi soci, io renderò le rotte più sicure e terrò lontani i pirati della nostre coste, ma come hai detto le coste sono tanto lunghe e io poche navi, perché non mi cedi le tue navi meglio armate.>
< A Chako piace quello che sente, io non serve navi armate se rotte scure, io dare te una parte su dieci del.. ehm… ricavato, e navi che no serve >
< Perfetto, scriviamo l’accordo e sigliamolo dunque!> dissi tendendogli la mano che ricambiò la stretta e Chako sorrise di nuovo, questa volta vidi chiaramente che nei suoi canini era incastrata una piccolissima pietra preziosa che catturava la luce e la rifletteva.
skarn87
00domenica 3 marzo 2013 21:41
-Il Sole trafitto-

Le fiamme ardevano ancora in alcuni punti, ma ormai erano state domate dagli stessi uomini che le avevano appiccate più o meno volutamente durante l’assalto.

…Una carneficina anche se l’aveva vista solo da lontano, lo spettacolo in un primo momento era stato quasi emozionante, poi le guardie avevano reagito e i primi nugoli di frecce si era levato sulle imbarcazioni che stavano irrompendo nel porto e sulla spiaggia, ed erano iniziate le urla e i gemiti dei feriti.
Nello stesso istante in cui la nave che mi portava aveva toccato terra era iniziata la corsa dei barellieri con i feriti più o meno illustri verso il ponte dove avevo fatto approntare un ampio spazio per accoglierli e usare le mie seppur modeste capacità, era un vero inferno, le ferite orribili, ustioni, tagli e recisioni erano le più comuni assieme alle punte di freccia da estrarre,
Quasi non mi rendevo ancora conto di quello che stava succedendo, ma pian piano il flusso dei feriti rallentò. Poteva solo significare che la battaglia aveva preso una svolta decisiva e ormai uno dei due eserciti era in rotta, adesso era solo questione di stanare i fuggitivi e finirli o catturarli, gli scontri feroci si andavano esaurendo e concentrando nelle zone più difese…

Mi stavo dirigendo verso il Palazzo del Principe del Dorne, le strade erano piene di uomini che riprendevano il fiato e si dedicavano a tutte le normali attività simbolo di una vittoria, stupri saccheggi, depredazone di cadaveri e ubriacatura. Per quanto disgustoso fosse come spettacolo era la gioia di essere sopravvissuti alla battaglia a far commettere quelle azioni ai vincitori, nonostante tutti i comandanti avessero avvisato di non tollerare eccessi e di non saccheggiare la città.. alcuni di quegli uomini sarebbero stati sicuramente puniti come esempio per tutti, conoscevo abbastanza bene Stannis da sapere che non sarebbe stato tenero con chi aveva disubbidito ai suoi ordini.

La frescura all’interno del palazzo era una piacevole sorpresa per chi aveva passato ore sotto al sole battente. I Soldati qui erano disciplinati e svolgevano efficientemente le mansioni e gli ordini ricevuti, mi lasciarono passare e mi salutarono con rispetto, mentre mi dirigevo verso la sala principale. Da un corridoio laterale sopraggiunse Edmure sorridente e soddisfatto con una brocca in mano, era la sua prima vera battaglia e l’euforia della vittoria l’aveva travolto, lo accompagnavano alcuni giovani cavalieri delle terre dei fiumi ma non solo, Edmure è il più giovane tra i Lords al comando e ispirava simpatia e cameratismo in molti altri giovani cavalieri, cosa che non si poteva di certo dire del sempre cupo Stannis e dell’ormai vecchio Arryn. Era giusto e normale che fosse così.
< Cognato > lo apostrofai, < Credo che il signore di questo palazzo ci stia aspettando, non facciamo attendere oltre! >
Edmure passò il vino al cavaliere alla sua sinistra, un Frey a giudicare dalle torri sul suo giustacuore, e si diresse a passi decisi verso di me separandosi dai suoi accompagnatori.
Entrammo assieme nella vasta sala, tutti i nobili trovati in città e nel palazzo erano stati radunati sul fondo della sala attorno al loro signore Doran su una sedia con le ruote, con alla sua sinistra la sua guardia personale Areo a cui nessuno a quanto pare aveva avuto il coraggio di portar via la sua ascia.
Stannis stava immobile ad osservare delle carte sul tavolo, al suo fianco c’era il suo fido cavaliere Davos, ogni tanto qualche messaggero arrivava e dichiarava, la caduta di una postazione o qualche altra importante informazione.
Fummo annunciati da una guardia e attirammo lo sguardo di tutti i presenti, Stannis si girò e dichiarò semplicemente
< La battaglia è vinta, sto aspettando solo il resoconto delle perdite e dei feriti, Sunspear è sotto il controllo del Re ora e presto tutto il Dorne subirà lo stesso trattamento.>
< Mio Lord > lo interruppi io < Sono certo che il Dorne sarà presto sotto la diretta giustizia del Re, ma non è necessario metterlo tutto a ferro e fuoco. >
Lo sguardo che mi rivolse Stannis era chiaramente indignato e non si aspettava di essere contraddetto.
Lo ignorai e mi avviai sul fondo della sala fino a trovarmi di fronte a Doran, accennai ad un inchino sotto lo sguardo vigile di Aero non mi staccava gli occhi di dosso.
< Mio lord, è passato molto tempo dall’ultima volta che sono stato a Lancia del Sole e mi rendo conto di non indossare un vestito adatto all’occasione, ma sono certo che mi perdonerete questa mancanza > avevo le maniche imbrattate di sangue fino ai gomiti e diversi schizzi macchiavano le mie vesti, eppure non avevo preso parte agli scontri. I nobili sul fondo della sala si agitarono un poco attendendo la risposta del Principe, molti di loro erano illesi, i più erano feriti solo nell’orgoglio, una giovane donna muscolosa e vestita in lana e cuoio stava in piedi dietro a Doran e aveva il viso tumefatto ma gli occhi fieri e combattivi, forse aveva lottato prima di essere sopraffatta e trascinata nella sala.
< I tuoi vestiti non sono importanti al momento, non sei stato invitato a Lancia, ma ormai sei qui perciò parla liberamente, ricordo che l’ultima volta, anni fa, pronunciasti parole di pace prima di infrangerla con questo attacco a tradimento, il Dorne è sempre stato fedele e leale al Trono di Spade ma a quanto pare questo è il risultato. >
Sorrise mentre parlava, ma la sua ira era malcelata dietro alle parole grondanti disprezzo.
< Quando otto anni fa, giunsi a Lancia, avevo il solo scopo di farti desistere dall’intervenire in guerra contro Robert, per la morte di Elia. Il continuare della guerra non avrebbe riportato in vita vostra sorella, inoltre non era stato Robert e ordinare la sua morte. Robert allora voleva solo sterminare i Targaryen e ancora oggi persiste nell’idea, oggi invece vuole sterminare voi Martell e sappiamo entrambi che ha le capacità e il potere per farlo >
< Oggi noi e domani chi altri vorrà sterminare il nostro valoroso Re? > disse Doran < Greyjoy? Lannister? Tyrell? Stark? Tully? O perché non voi? >
Sospirai, Doran aveva ragione le prove contro di lui c’erano ma Robert avrebbe potuto fare tutto molto diversamente, usando un po’ di diplomazia, ma non era da Robert, infatti ha riunito un esercito e ha fatto rotta sul Dorne senza fermarsi a pensare alle conseguenze
< Non pretendo di sapere contro chi ha intenzione di sfogare le sue ire il Re, ma sono state portate alla sua attenzione gravi accuse nei vostri confronti e ha deciso nel pieno possesso dei suoi poteri di dichiararvi guerra e di ottenere le teste dell’intera famiglia Martell. Sai bene che nulla fermerà Robert dal compiere i suoi intenti, ma sai bene che è possibile placare la sua Ira e farlo desistere dal commettere lo sterminio della tua famiglia, se a parlargli è un fidato amico e avrà la necessarie rassicurazioni >
Una scintilla d’interesse si accese negli occhi di Doran dopo che la minaccia della distruzione della sua intera famiglia di era piombata addosso come un macigno
< Mio fratello avrà la testa di questo traditore e di tutte le serpi che compongono la sua famiglia, Arryn! > mi avvisò minaccioso Stannis che stava ascoltando la conversazione
< Non è necessario sterminare un’intera famiglia per far pagare le colpe di un singolo uomo > ribattei io per farlo tacere
< Stannis tu rappresenti il Re in questo momento, e Doran è sotto la tua custodia, ma egli è ancora libero di firmare alcuni documenti prima di essere messo definitivamente agli arresti e condotto ad Approdo da Robert.>
< Doran è già agli arresti sotto la mia custodia!> sbottò.
Lo ignorai e feci un cenno a Edmure che guardava la scena
< Edmure ragazzo, prendi un po’ di cera da sopra il tavolo e portala cortesemente a al nostro Principe > avrei potuto rivolgermi con lo stesso tono al mio scudiero o a un servo ma Edmure non ci fece caso e si avvicinò portando con se un pezzo di cera
< Princpe Doran, lasciate che vi presenti mio cognato, Lord Edmure Tully, signore di Delta della Acque e Protettore del Tridente. > lo presentai
< e adesso, vi lascio libero di decidere le sorti della vostra dinastia Principe, so che siete bravo a pensare, quindi fatelo in fretta e non discutete della mia a dir poco generosa offerta > e così dicendo gli porsi una pergamena arrotolata.
Doran prese la pergamena e la passò quasi con noncuranza al suo maestro
< Per favore, leggi a voce alta le generose concessioni che intende farci Jon Arryn> lo disse mentre mi fissava con rancore
Il maestro srotolò la pergamena e iniziò a leggere


Il Principe del Dorne Doran Martell verrà giudicato in tribunale per le accuse che gli verranno rivolte e sarà libero di difendersi da tali accuse, accetterà il giudizio espresso dai giudici.

Suo figlia la Principessa Arianne Martell sposerà Lord Edmure Tully e rinuncerà al titolo di principessa e alla sua eredità sulle terre del dorne

Suo figlio il Principe Quentyn Martell diverrà ospite presso Casa Frey e rinuncerà al titolo di principe e alla sua eredità sulle terre del dorne

Suo figlio il Principe Tristane Martell diverrà ospite presso Casa Baratheon sotto la custodia di Lord Stannis e rinuncerà al titolo di principe e alla sua eredità sulle terre del dorne

Suo fratello il Principe Oberyn Maretll sarà libero di accettare la carica che gli verrà proposta durante la regal Dieta, ma qualora decidesse di abbandonare la capitale la corona non si prende responsabilità della sua incolumità e della sua sorte

Ellaria Sand potrà seguire il suo amante liberamente o tornarsene a casa, le è vietato cercare di ricongiungersi alle sue figlie

Le figlie di Oberyn Martell verranno così divise:
Obara sarà Ospite di Lord Frey
Nymeria, Teyen e Sarella saranno Ospiti e Dame di Compagnia alla Corte di Re Robert
Elia sarà Ospite presso casa Mallister
Obella, Dorea e Loreza saranno Ospiti e Compagne di Giochi di Robin presso casa Arryn

Aero Hota sarà sciolto dal suo giuramento nei confronti di Doran Martell e potrà tornare a casa oppure prendere servizio con giuramento presso il Re.

A tutti i lord fedeli a casa Martell verranno confiscate le terre e verrà data l’occasione di giurare fedeltà ai loro nuovi lord che disporranno della facoltà di riassegnargliele o assegnarle ad altri, i lord si dovranno presentare ad Approdo dove saranno Ospiti in attesa del Giudizio e della Grazia del Re.

Le Leggi Dorniane saranno Abolite con effetto immediato e verranno introdotte le leggi che accomunano tutti i sette regni. Verrà introdotta la legge Marziale che vigerà su tutto il Dorne fino All’insediamento del nuovo Lord Protettore

Tutte le proprietà di casa Martell verranno Confiscate e Assegnate ai loro nuovi Lords, qualsiasi cessione ad altre casate sarà ritenuta invalida, l’occupazione del dorne sarà portata avanti anche contro eventuali nuovi possessori che non siano i Lords a cui il Re assegnerà le terre.
Coloro i Quali Accetteranno la Cessione da parte di Casa Martell per interessi personali, Verranno considerati Nemici della Corona e combattuti come tali.

I soldati di casa Martell che si Arrendono dovranno giurare fedeltà alla corona ed entreranno tra le sue schiere, Coloro che continuassero ad impugnare le armi e ad Opporre Resistenza verranno Braccati per tutti i sette regni, Catturati e Impiccati. Verranno considerati a tutti gli effetti dei fuorilegge e ogni Lord avrà il dovere di giustiziarli seduta stante.

Io Doran Nymerios Martell Accetto queste condizioni e appongo il mio sigillo >

Finita la lettura l’unico rumore che si udiva nella ala era prodotto dai denti di Stannis che scricchiolavano nella contrazione della sua mandibola per la furia.
< Allora Doran hai pensato a che scelta fare? > chiesi infine io accennando con le mani a Stannis e alla pergamena come se mettessi le sue possibilità su un piatto della bilancia
e urlando l’ultima frase mi sputa addosso
E continuando ad urlare < Volete qualcosa? Ve lo venite a prendere. Ammesso che noi vi lasciamo qualcosa. Eh già. Vi piacerebbe eh? Prendervi le mie terre. Invece vi attaccate al cazzo, banda di bestie .Combriccola di teste di cazzo che non siete altro, omuncoli di nulla mischiati con il niente. Casa Martell non si arrende e non fa accordi con degli stronzi come voi ed evitatevi le vostre patetiche prove di forza, omuncoli, paura non ne fate a nessuno. > il silenzio seguito dalle sue parole era carico di tensione.
Girando le spalle a Doran e incamminandomi verso il centro della stanza commento < Lord Stannis avete sentito anche voi, io lo interpreto come un no, è tutto vostro.>
Charanna
00lunedì 4 marzo 2013 19:23
Lady Whent (2)

Lady Whent lesse la pergamena dal principio alla fine, senza permettere ad alcuna emozione di offuscare la propria lucidità di giudizio. In seguito, rilesse il testo, fino alla firma in calce ed il sigillo di Casa Tully.
Quando infine ripose la missiva, aveva compreso la situazione.
Lancia del Sole era stata conquistata.
Una parte di lei, quel remoto angolo del suo animo che ancora ricordava l’entusiasmo, stava festeggiando per il trionfo. Un barlume a malapena visibile, che però riportava alla mente danze, banchetti, profumo di carne arrosto e roboanti risate.
Lady Whent scosse il capo, mentre quella scintilla di esaltazione tornava ad affievolirsi, sotto il gelido soffio della realtà.
Si sedette allo scrittoio per preparare una risposta alla missiva. Voleva porgere le sue sentite congratulazioni, voleva rendere omaggio ai lord per la loro vittoria. Eppure, la mano che reggeva la penna d’oca rimase sospesa in aria, mentre una goccia d’inchiostro scivolava a macchiare l’abito di lady Whent.
Non riusciva a trovare delle parole che fossero davvero sue. Ogni frase era un’elaborata messinscena, ogni pensiero era già stato pensato da qualcun altro, prima di lei. La verità, era che Shella Whent non sapeva cosa pensare.
Le sue preghiere e la sua fedeltà indiscussa andavano a Lord Edmure Tully e, assieme a lui, a Re Robert, alla Casata Baratheon e a tutti coloro che sostenevano la Corona.
Eppure l’idea di un’altra guerra devastava l’animo di lady Whent, scavando un baratro nel suo petto.
Un sorriso amaro le stirò le labbra pallide. Suo marito sarebbe stato di tutt’altro avviso. Lui avrebbe riso, avrebbe imprecato, si sarebbe lamentato tutta la notte per non essere stato presente alla battaglia, per non aver potuto mulinare la sua spada fra i nemici della Corona. E poi l’avrebbe presa per i fianchi e avrebbero giaciuto insieme, fingendo che la vecchiaia e la morte non fossero in agguato, nascoste fra le crepe di Harrenhal.
Lady Whent ripose la penna d’oca. Era inutile illudersi: non avrebbe risposto alla missiva, non quella sera. Forse, dopo una notte di sonno, le prospettive sarebbero apparse meno nere, il presentimento di una sciagura imminente si sarebbe affievolito, fino a diventare solo un pallido dubbio.
Si affacciò alla finestra, rimirando il panorama che si estendeva davanti ai suoi occhi.
Un soffio si vento le accarezzò i capelli, animandoli. Crini neri si levarono contro i loro fratelli argentei, intrecciandosi a loro in una danza mortale.
Il pensiero era così strano, che lady Whent rise di sé stessa.
Eppure, quella sera il vento sembrava voler giocare con lei, voler trasportare la sua mente lontano dai fardelli quotidiani solo per farla poi ripiombare nelle medesime riflessioni. Le portò un profumo, una strana armonia di fiori, d’acqua, di fango, di nebbia.
“E’ l’odore dell’attesa” le aveva detto una volta il lord suo marito “L’ultimo respiro prima della battaglia. L’odore della quiete che sta per infrangersi. A te sembra pioggia, per me è l’odore dell’acciaio, per altri è il puzzo della paura. In fondo sono tutte la stessa cosa: attesa.”
Da quel giorno erano passati quindici anni ed era la prima volta che lady Whent risentiva quel profumo.
Allontanando il pensiero con un cenno della mano, chiamò Sezara perché l’aiutasse ad indossare gli abiti da notte.
La ragazza era ordinata e solerte, proseguiva le conversazioni, ma solo se era lady Whent ad iniziarle, altrimenti rispettava il silenzio della sua signora e si limitava ad eseguire le proprie mansioni. A volte, Shella Whent si faceva raccontare della vita della giovane - dei suoi fratelli, di quel cane randagio che suo padre voleva tenere presso di sé, del ragazzotto di belle speranze che aveva cercato di far breccia nel cuore di Sezara -, altre sere, invece, la donna preferiva il silenzio.
Quel giorno ci fu silenzio.
- Posso fare altro, mia signora?- fu l’unica frase che venne pronunciata.
Shella Whent nemmeno diede voce ad una risposta, semplicemente scosse il capo.
Quando i suoi occhi si posarono sul pesante abito di stoffa nera, che Sezara aveva piegato e riposto, lady Whent si chiese quando avesse perso i propri colori. Era come se, dopo aver sepolto suo marito, avesse dimenticato di smettere il lutto e ora quelle tinte scure facessero parte di lei.
Sezara spense le candele, poi prese congedo.
Una volta sola,lady Whent rimase a lungo immobile, al buio, senza riuscire ad addormentarsi.
I fruscii del vento sembravano bisbigliare promesse di guerra, di vendetta, di sangue, di altra tristezza. Il vento. Quella sera più che mai sembrava foriero di presentimenti e di ricordi.
Per soffocare quell’angoscia crescente, Lady Whent pregò i Sette Dei.
Pregò il Padre di ergersi al fianco di Re Robert e degli alti Lord, per guidare le loro azioni.
Pregò la Vecchia perché infondesse la saggezza e la pietà nei cuori di coloro che volevano turbare la Pace del Re, facendoli tornare sulla retta via.
Pregò la Madre perché proteggesse tutti gli orfani e rincuorasse le vedove della battaglia, perché il dolore è dolore anche quando viene inflitto per una giusta causa.
Pregò il Fabbro di temprare le armi dei soldati e di rendere impenetrabili le loro armature, in modo da dare loro una possibilità in più di rivedere le proprie case.
Pregò la Vergine, perché desse sollievo agli animi afflitti.
Pregò il Guerriero perché… …
Il sonno la colse mentre stava cercando il modo migliore per chiedere ad un Dio di posare spada e lancia e di portare la pace a tutti i Sette Regni.
Hamish Snow
00martedì 5 marzo 2013 04:12
Il sole che splendeva sul Dorne era conosciuto da tutti gli abitanti dei Sette Regni come un sole potente, duro, inflessibile, che anche durante i più rigidi inverni irradiava il suo calore su quelle terre di sabbia.
Questo non è un sole.. è un’enorme palla di fuoco.
Persino l’indescrivibile pazienza di Stannis cominciava a dar segni di cedimento. Tolse l’elmo, rimanendo a cavallo, e rovesciò parte dell’acqua che si era portato dietro sul viso, scuotendo la testa e lasciando la corta barba gocciolante. Senza colpo ferire, indossò nuovamente l’elmo.
Erano passate circa due ore da quando lo sbarco sulla costa di Lancia del Sole era stato completato. I reggimenti di arcieri e di balestrieri, con la quasi totalità dei soldati armati di picca, erano stati posizionati tra le navi attraccate e le mura della città. A grande distanza, un numero impressionante di uomini, marinai, carpentieri avevano finito di tirar su un numero altrettanto mostruoso di torri d’assedio. Prima di allontanarsi, secondo i piani stabiliti, Stannis aveva percepito qui e lì i commenti meravigliati e persino inorriditi di alcuni cavalieri.. una forza del genere avrebbe spazzato via Lancia del Sole in meno di due ore..
E questo era ciò che il Baratheon sperava. Erano giunti con poco preavviso, sin troppo poco per quelli che erano i suoi princìpi di onore e di giustizia. Il centinaio di grandi torri d’assedio, sommato a una forza bellica di più di quarantacinquemila tra fanti, tiratori e cavalieri, avrebbe gettato nella più totale disperazione persino il difensore più fanatico.
Ma queste premesse, non erano sufficienti.
Bastava una tempesta di sabbia, una sofferenza inaspettata per il caldo eccessivo.. o un piccolo errore di valutazione, e i piani di Stannis sarebbero andati a monte.. e allora la fuga dei lord Martell diveniva una possibilità reale, un maggior numero di perdite di quanto preventivato, una certezza.
Un martello che colpisce, non deve avere esitazioni o deviazioni nel suo percorso. Colpisce duro e centra l’obiettivo.
Lasciata una forza sufficiente di supporto alle navi, e il resto della fanteria schierata con le macchine da guerra di fronte all’ingresso della città, la cavalleria aveva un solo, unico, obiettivo: colpire qualora i dorniani avessero tentato delle sortite fuori dalle mura.. e l’invasione immediata di Lancia del Sole, una volta aperte le prime brecce. Più di quattromila cavalieri proteggevano il fianco destro, cioè quello settentrionale, dello schieramento centrale.. e molto più a nord, dopo un lungo giro tra vegetazione brulla e rada, piccoli boschi grassi, nati intorno a sorgenti d’acqua sempre più abbondanti.. beh, lì attendevano i seimila cavalieri sotto il comando di Stannis Baratheon e di ser Davos Seaworth.. seimila cavalieri che più che essere valorosi soldati pronti alla carica, sembravano più statue di ferro che imprecavano contro il caldo e l’attesa, e ogni tanto volgevano lo sguardo, da sotto gli elmi, verso quel maledetto lord impassibile, sul suo cavallo, che li aveva condotti in questo inferno.

Passarono i minuti come lava rovente, interminabili e faticosi.. le poche folate di vento che avrebbero dovuto portare con sé un sollievo dall’arsura, scagliavano polveri di sabbia sottili, fastidiose e appiccicose..
«Mio lord..». Quando ser Davos utilizzava con quel tono, era per fare una predica o per porre l’attenzione di Stannis verso qualcosa. Questo rientrava nel secondo caso.
Numerose torri d’assedio erano appoggiate, come viaggiatori stanchi e affamati, addosso alle forti mura di Lancia del Sole, mentre altre, riuscite solamente ad avvicinarsi, venivano utilizzate come postazioni di tiro. Alcune piccole catapulte e piccoli arieti sarebbero dovute servire come valide alternative, ma furono impiegate fin da subito. Stannis osservò da lontano i movimenti delle truppe di assedio.. Rimase a fissare per lungo tempo le sommità delle mura centrali, dove dalle torri i soldati della Corona sarebbero dovuti penetrare… Si accorse che essi scendevano dalle torri d’assedio… penetravano, combattevano piccole scaramucce sulle passatoie… ma a quest’ora avrebbero già dovuto aver conquistato e aperto la porta centrale. Lunghi minuti, in cui i più di seimila cavalieri continuavano a cuocersi dentro le armature, ormai divenute gabbie di acciaio rovente. La battaglia stava scivolando via da loro, e da Stannis.. e oltretutto, qualcosa non andava. I Sette Dèi vollero dimostrare la loro sempre ferma attenzione verso le vicende umane… e ad un tratto, la porta orientale cedette, spalancandosi e accogliendo come bocca avida, migliaia di ssoldati della Corona. Allo stesso tempo, la porta nord della città si aprì, e da essa uscì un grande contingente dorniano… forse il più grande mai visto, dalla fine della ribellione di Robert a oggi.. un’infinita schiera di picche ondeggiavano e, come aculei di porcospino, lentamente si abbassavano in avanti, pronti a ricevere la carica della cavalleria nemica. Ma non era alla cavalleria che puntavano.. qualche mente perversa, connessa in un modo che a Stannis ancora sfuggiva, aveva ordinato a quel contingente di occupare la posizione di fronte alla porta orientale, tentando di chiuderla.. o comunque in qualche modo di lasciare i nemici all’interno…. Un brivido impercettibile scosse la schiena del lord Baratheon.
«Lord Wylde! Alla porta e velocemente! », e detto questo, senza nemmeno il tempo di attendere i corni di guerra, facendo un segnale a ser Massey, spronò il cavallo e partì al galoppo verso l’ingresso settentrionale di Lancia del Sole, la grande città del sud, che si arroventava e bruciava.. per il fuoco del sole e quello della giustizia del Re.


***

Godry Farring si mosse velocemente.. una battaglia cui aveva assistito dalle seconde linee, una battaglia grandiosa.. un massacro dei nemici e una vittoria che avrebbe raccontato ai suoi figli, e ai figli dei suoi figli. Ma sapeva che il lord che serviva non si era fermato, se non per una decina di minuti dopo la battaglia. Suo fratello Bryen gli aveva parlato di una lettera inviata a Starfall, dal giovane lord Dayne.. e forse dell’arresto del principe Doran..
Ora era il suo turno.. forse un compito sin troppo umile e secondario, ma aveva intenzione di svolgerlo in modo impeccabile. Accennò a un sorriso alle guardie che presidiavano la tenda di Stannis Baratheon, ed entrò velocemente, lasciando cadere la sacca che portava sulle spalle e godendosi lunghe sorsate d’acqua.
Il fratello del re, il comandante delle operazioni militari di Lancia del Sole, un lord di casa Baratheon.. e invece di prendersi un’intera ala del palazzo principesco, o una residenza dove fermarsi, si accampa accanto alla città, sotto due palme.. bah..
La fretta non era mai una buona strada da percorrere, così gli aveva insegnato sua madre, ma il suo lord stava per arrivare. Versò dell’acqua fresca in una bacinella.. o forse era un braciere, visto che stava su un tripode. Poco importava. Altra acqua fresca in una coppa, mescolata a un terzo di vino rosso, che gli avevano spiegato essere terribilmente forte da queste parti. Uva scura e arance rosse su un grande piatto d’argento. Era stato tentato dal buttare sul braciere - quello dei due che era stato acceso - un po’ di spezie orientali, che sembrava dessero piacevoli sensazioni.. ma ricordò che lui non serviva un ricco mercante viscido proveniente da Braavos o da Myr, né un dorniano dalla pelle scura o un grasso ricco lord dell’Altopiano.. Stannis Baratheon non avrebbe per nulla apprezzato.

«Lord Monford, ti consiglio di stare lontano dai fanti più inesperti e dalle truppe in genere. Con l’olezzo che emani, potrebbero farsi venire strani pensieri». Lord Monford sorrise imbarazzato scostando l'ingresso della tenda, ma quelle di Stannis non erano parole di scherno amichevole, ma di evidente fastidio.
Hai fatto bene Godry.. avesse sentito altri profumi avresti passato brutti momenti.
Appena entrato, il fratello del re si tolse i guanti e immerse le mani fumanti e arrostite dal caldo nella bacinella… si deterse il viso, il collo, la nuca.. e sedutosi pesantemente, sorseggiando dalla coppa il vino annacquato, guardò lo scudiero in silenzio.
«Ci sono messaggi, missive o altro?».
«Si, mio lord, due messaggi tramite corvo, uno proveniente da Wyl e uno da Approdo, e un dispaccio dal porto». Godry li prese e appoggiò diligentemente sul tavolo.
«Non sono cose che devo chiederti. A qualsiasi ora o in qualsiasi stato io mi trovi, quando sono qui devi darmi quel che è arrivato. Spero tu abbia capito, ragazzo. Ora lasciatemi solo».
«Si, signore». Il giovane Farring chinò il capo e uscì dalla tenda, preceduto da Monford Velaryon. In effetti, il lord di Driftmark doveva aver provato qualche unguento o qualche profumo orientale.. sorpreso dall’inusuale ironia con cui il suo lord aveva mascherato il proprio disprezzo, Godry sorrise frenando a stento una risata.

Il messaggio dal porto avvisava di nuovi avvistamenti in mare aperto, a lunga distanza verso sud, di altre navi battenti il vessillo delle piovre, e aggiornava sullo stato delle navi in riparazione.
Il corvo proveniente da Approdo aveva portato la risposta di Robert. Null’altro che ciò che si era immaginato. “Sbriga tu la faccenda”, “parti immediatamente”, “vedi di non deludermi”.. questa volta almeno aveva concluso con un grazie, che era equivalso a una palla di fuoco contro le mura del duro cuore del Baratheon, sollevate già alte.
E poi, la missiva di Wyl.. la donna rossa.. Stannis lesse stancamente il resoconto della battaglia, di chi si era sacrificato, dei segni del favore di R’hllor.. poi lentamente il discorso si evolveva.. il candore del fuoco che purifica i figli e i servitori di Colui che non può essere nominato.. così come lui, Stannis Baratheon, aveva lavato con il ferro e il fuoco le colpe di questi dorniani.. le profezie chiare ed evidenti.. i tempi sempre più difficili, le tenebre che avanzano, le ombre del tradimento, della decadenza, il crollare delle colonne che reggono il mondo.. e in questa rovina, il prescelto sarebbe sorto e avrebbe portato giustizia e ordine..
Ripensò a tutte le notizie frammentarie che gli erano arrivate negli ultimi tempi.. i Selvaggi oltre la Barriera che spingevano per invadere il sud.. avvistamenti di creature leggendarie da parte dei Guardiani della Notte.. le cospirazioni di lord, cavalieri o funzionari, non solo qui nel Dorne, ma in tutti i Sette Regni..
Stannis volse lo sguardo verso il braciere, da cui si affacciavano a intermittenza timide fiammelle guizzanti.
Si trovò a ricacciare indietro il pensiero che, forse, quella donna poteva aver visto qualcosa.. poteva aver intuìto qualcosa. Stava per concludersi una giornata leggendaria e frenetica, iniziata con l'assedio e la conquista di Lancia del Sole, ma proseguita in un modo che aveva messo di pessimo umore Stannis. Per il resto del tempo non aveva fatto altro che impiccare stupratori, fermare e arrestare cospiratori, ascoltare le parole di anziani e deboli lord che desideravano solo una serena pace e la trattativa in luogo della punizione.. si diffondevano voci inquietanti sulle attività di alcuni soldati Tully, per non parlare dei Frey.. e questi erano uomini di chi era dalla parte del giusto.. figurarsi gli altri. Era davvero lui l’UNICO che si preoccupava affinchè questo mondo non rotolasse via nel fango e nello sterco? Solo lui ormai ricordava il significato delle parole onore.. fedeltà.. giustizia..?
Un altro pensiero sorse inarrestabile, violento..
Forse avrebbe dovuto tenere quella donna al suo fianco, e ascoltare cosa aveva da dire anche oggi, anche ora.
Volse nuovamente lo sguardo verso il braciere, e gli parve di vedere una reazione nelle fiamme, come se al suo sguardo prendessero forza e si animassero in una danza più frenetica.
Le osservò in silenzio.
E poi si alzò dalla sedia, pronto a danzare anche lui.
Albus Lupin
00martedì 5 marzo 2013 09:27
VARGO IV – Le Avventure Pregresse di Vargo Hoat

"E' finito tutto!!"
"Ci dovremmo mangiare i cazzo di cavalli!"
"Ringrazia di non doverti mangiare i cazzi dei cavalli!"
"Vaffanculo, scemo!"
Entrata a piedi uniti sullo sterno con sbattacchiare di corazza del picchiere.
"Ammazza quello stronzo, Cyswick!"
"Dai cazzo, scommetto tutto quello che ho che il Dorniano gli fa il culo a strisce!"
"Porcammerda, shtate scitti, schifosci!!"

Il capitano era uscito dalla sua tenda per assistere al solito spettacolo: botte da orbi.
I Bravi Camerati sono così, più sono sobri e più sono rissosi, molto peggio di quando sono ubriachi.. il che è tutto dire.
Vargo negli ultimi due giorni era tornato ad un livello di sobrietà sinistramente assimilabile a quello di un bambino di 3 anni, quasi come il suo stato maggiore: Zollo era andato a caccia con gli arcieri dei Dick Hill visto che non ne poteva decisamente più di fare a botte con nanerottoli che avrebbero rivaleggiato con la sua stazza solo dopo una cura di sugna e grog, Shag continuava a ridacchiare in un angolo ed era talmente sobrio da non desiderare stupri nè razzie, nè bambini, nè capre, Cyswick si era miracolosamente ripreso dal colpo sifilitico che lo aveva colto ormai 2 settimane prima e stava pestando come un fabbro quel bastardo del Sud.
Qyburn e Sacco: non pervenuti.
E Vargo da sobrio di certo non voleva pensarci.

Niente alcol e un sacco di pioggia, niente alcol in cui affondare una vita di rimpianti, niente alcol per abbandonarsi all'oblio, niente alcol per ronfare senza sognare..
SOGNARE?
"Sciono un casscio di GENIO!" aveva urlato il capitano piantandosi a gambe larghe con le mani sulle anche! Si era poi infilato nella sua tenda mettendo due loschi, loschissimi Tyroshi a guardia dell'entrata.
Nel suo pagliericcio sudicio come una baldracca non lavata del Fondo delle Pulci, dentro il suo cuscinaccio sudato, macchiato e pieno di bozzi, era sepolto un tesoro meraviglioso.
Ed era tutto per lui!

Il Rum Nero Maledetto delle Isole dell'Estate! Quale primizia, quale gioia, quale orribile sapore bevuto a secco!
Nella mente, piacevolemente ottenebrata di Vargo balenarono diversi pensieri tra cui: quegli omoni di colore scicopascchiano per scelebrare la morte e consciervano i cadaveri nel Rum Nero scie li devono trashportiare..
"Portami del casscio di Tè, merde peloscie"aveva sbraitato ai mercenari all'ingresso "e una casscio di aranscia!"

Sentendo Vargo Hoat parlare di Tè e Arance aveva fermato in tronco la rissa. Quasi tutti i mercenari presenti si erano prima guardati negli occhi in ridicoli capannelli e poi si erano messi tutti a urlare contemporaneamente.
"Adesso beve Tè!"
"La prossima volta chiederà acqua!"
"Se non ha da bere il Capitano, non avremo da bere più!"
I più, amaramente sconsolati, si erano poi accoccolati nei loro tristi, freddi e sobri giacigli, pronti a un'altra notte da non-ubriachi, in cui avrebbero faticato a dormire per gli orribili rumori del grandissimo accampamento, consci ormai che l'unica strada dei Bravi Camerati fosse quella dell'astensione totale dall'alcol..cosa che nessuno ovviamente aveva mai preso in considerazione.
Si sa, tuttavia, che i mercenari amino fasciarsi la testa prima di essersela rotta e per gli uomini di Vargo Hoat, così avvezzi a prendere con la forza qualsiasi cosa servisse loro, rimanere a corto di qualche materia di largo consumo, come il nobilissimo vino o l'assai meno nobile birra, risultava essere una privazione epica e mai sentita, a memoria d'uomo.

Ben lungi dall'essere sobrio, intanto, Vargo si stava sollazzando manualmente, sempre più ubriaco, inquinando, come suo solito l'angolo in cui, nel giro di poche ore sarebbe andato a dormire.
E così lo trovò Qyburn, entrando ad un'ora in cui la notte era veramente troppa scura per Vargo, recando notizie della disfatta del vecchio maledetto e dell'occupazione di un pezzo delle marche dorniane.
"Cassci amari per il Dorne?!"
"Il Dorne non pagherà assolutamente quanto pattuito, capitano. Non ci sono dubbi. Le mie spie riferiscono che gli scorpioni che erano stati promessi alla Compagnia siano stati demoliti dalle forze del Principe Stannis a Lancia del Sole. Oltre a questo, King's Grave che secondo i calcoli dei Martell doveva essere coperta da forze assai numerose, ospita solo la guarnigione di casa Dayne e poce truppe di Casa Manwoody."
Vargo fissava il vuoto, ora.
"Mi sono permesso di spedire qualche esploratore al di là del confine, oltre che un paio dei miei corvi, per non avanzare ciecamente in bocca al pericolo."
"Lassciami sholo."
Qyburn si era inchinato e se ne era andato senza aggiungere altro.

Il vecchio bastardo prigioniero del grasso bastardo avido, niente soldi e niente pagamenti.
Un corvo di rientro a Starfall prometteva 4 milioni di dragoni a King's Grave, un terzo di quanto pattuito. Non male o forse "molto male", occoreva pensare a come arrotondare.
Il ratto che viveva da anni nel cervello di Vargo Hoat si svegliò dal suo torpore, innescando una reazione di euforia folle e solitaria.
"Qyburn, shcrivi al grasshione!"
Ma Qyburn, doveva essersene andato da ore, ormai, ed era quasi giorno, quindi il capitano si trascinò in piedi, fece un urlaccio ai Tyroshi che sonnecchiavano impunemente ai lati della sua tenda e l'ex maestro venne "recuperato" direttamente dal suo giaciglio come se avesse fatto qualcosa di male e strascinato al cospetto del capitano.
"Capitano?"
"Qyburn, shcrivi al grasshione!"
"Quello che penso?"
"Bashta che paghi!"

Il patto era stato concluso in poco tempo, tanto era la vicinanza del primo avamposto Baratheon con il campo maledetto dei Bravi Camerati.
A mezzogiorno, Vargo si era mostrato, parzialmente ubriaco, ai suoi uomini.
Aveva detto una cosa e una cosa sola.
"Andiamo in guerra, fesscia, e she non scie nè una vera e propria da combattere, inisscieremo la noshtra scienza chiedere un casscio a nessciuno!"
I mercenari avevano urlato con quanto fiato avevano in gola e sebbene nessuno avesse proprio capito tutto quello che aveva detto Vargo Hoat, il significato era PARZIALMENTE chiaro.

Il tempo delle privazioni sarebbe finito o sarebbero morti tutti.


MONKEY D93
00martedì 5 marzo 2013 19:00
Battesimo di sangue
La lettera oramai era stata spedita, il Re era stato avvisitato dei sogni del giovane figlio del Nord,
il Lord suo padre sarebbe stato orgoglioso, forse i vari e severi studi stavano pian piano dando i loro frutti.
Le parole del Maestro Luwin ritornavano spesso nella mente di Bran..-Ricordati giovane principe, la storia è quasi importante quanto la politica, per governare in modo equo, giusto e imparziale i sudditi bisogna essere un astuto e scaltro politico e seguire gli insegnamenti che la storia passata ci lascia in eredità-, i libri antichi custoditi nella bibblioteca della capitale del Nord parlavano chiaro, nei sette regni si sono susseguite guerre su guerre per motivi talvolta validi e talvolta futili.
Stava riaccadendo tutto da capo, la pace sembrava finita, un nuovo capitolo sarebbe stato riscritto...

Brandon camminava nel castello di Ultimo Focolare seguito incessantemente da Estate, il suo metalupo regalatogli dal Lord Eddard Stark, le guardie controllavano che l'animale stesse al suo posto e che non combinasse guai...”Salve , dormito bene questa notte??”
“Certo, grazie mille....Mi mortifico della presenza del mio cucciolo, ma assicuro per lui, è totalmente innoquo...”,lo sguardo angelico di brandon era sempre molto efficace per convincere gli adulti intorno a lui...
“Ci scusi, ma è la prima volta che vediamo un essere del genere, e vivere accanto a lui per vari giorni è un po' difficile e curioso, col tempo ci potremo fidare di lui come di lei. Sono arrivate varie lettere dal Lord, lieti notizie questa volta??”
“No purtroppo. In questi tremendi giorni si susseguono solamente notizie terrificanti che solamente qualche giorno fa non avremmo potuto nemmeno immaginare. Gli uomini di mio padre continuano a discutere senza di me, a parlare di quello che accade al Sud e alla Barriera e riferendomi solo in parte quello che sanno, ho solo sette anni, però rimango comunque uno Stark e vorrei sapere la verità di quello che succede nei sette Regni...Quindi chiedo cortesemente a voi se potreste spiegarmi cosa succede o quanto meno cosa si dice in giro del'attacco al Dorne e della prigionia di Doran Martell?? “
“ ahimè Padron Bran quel che è successo nel Sud è una notizia grave, l'ultima volta che il re si è mobilitato con altri Lord è quando quelle dannate piovracce volevano nuove terre da depredare, ma ora cosa ha fatto davvero il Dorne??? Non si sa cosa può aver commesso per meritare tutto quello che è accaduto, ma da voci giunte dal Sud si dice che dopo molti anni di isolamento il Principe Doran fosse interessato al comando dei Sette regni, che ci fossero trattative segrete con altri grandi Lord e che congiurasse ai danni della corona.”
La guardia di servizio insieme all'ultima parve divertita “Se il figlio del nostro amato Eddard chiede la verità allora mi sento in dovere di farle sapere anche cosa le mie orecchie hanno potuto udire da un mercante, gira voce che il Re Robert insieme ai Tully e gli Arryn volessero eliminare un personaggio scomodo come Doran Martell...Forse il Re dopo anni di pace ha solamente deciso di portare di nuovo il Westeros verso la guerra......io ne capisco davvero poco di politica, ma se fosse per me dovremmo fottercene di tutto quello che succede a Sud dei nostri territori e occuparci della Barriera...”
Lo sguardo di Bran vacillò per qualche attimo a causa della risposta secca e sincera della guardia di servizio...”Mi compiace di aver sentito i vostri pareri, posso solamente dirvi che il Lord mio Padre sta viaggiando ora insieme ad i suoi uomini più fidati per Approdo del Re dove potrà scoprire la verità e far parte del processo al Dorne...”
Detto questo con passo sfuggente entrò nella sala da pranzo della famiglia Umber; la legna ardeva nei cammini per poter riscaldare un così grande ambiente,centinaia di stendardi e armi fungevano da abbellimento delle pareti ed il sole entrava vigoroso dalle poche vetrate che vi si trovavano.... la maggior parte delle tavolate erano vuote , solamente qualche servitore e qualche guerriero fidato del Lord “Grande” Jon Umber sedeva per poter sfamarsi.
Il tavolo dei Signori del castello e dei giovani ospiti era in fondo alla sala, su di un piano rialzato per ricordare ad ogni cavaliere e abitante del castello che c'erano delle solide gerarchie da rispettare;

Brandon decise di sedere per poter pensare in tranquillità agli eventi -Tutto quello che è accaduto in questi giorni è incredibile, la guerra per lancia del Sole, la distruzione dell'esercito del Dorne e soprattutto la barriera...alcuni bruti che sono riusciti a scalare la barriera e la leggenda degli estranei che oramai è diventata realtà...Sette Dei vi prego aiutate me, la mia famiglia e tutto il Nord....Dannazione mi sento così impotente...cosa può fare un bambino di otto anni contro eserciti, tradimenti e mostri venuti direttamente dalla morte???-
La calma venne bruscamente interrotta da un cavaliere dai capelli biondi che entrando velocemente nella sala iniziò a urlare cercando la presenza del Lord protettore del Castello...la sala ben presto si riempì a causa delle continue urla dell'uomo...Piccolo Jon Umber si presentò all'ingresso e richiese subito spiegazioni”Cosa diavolo sono tutti questi schiamazzi??? Presentati e spiegati in fretta, a causa del momentaneo viaggio di mio padre sono io che comando qui...”
Ogni volta che Brandon vedeva quel ragazzo gli veniva la pelle d'oca: giovane, immenso e dal carattere molto simile a suo padre...l'uomo subito dopo cominciò nella sua spiegazione”Mio Lord....ecco dovrebbe correre qui fuori, nell'accampamento....si tratta di uomo arrestato che pensiamo faccia parte dei guerrieri della notte....insomma indossa la divisa dei guardiani della notte...e inoltre questa notte è avvenuto uno stupro ad una ragazza e ci sono i genitori che sono fuori controllo....vogliono ammazzarlo, quindi noi guardie lo abbiamo arrestato e messo sotto chiave nelle segrete del castello …vi prego mio Lord, deve intervenire di persona...c'è una folla è qui fuori e chiede giustizia....”detto questo l'uomo si ricompose...
Senza perdere altro tempo “Piccolo” Jon si alzò e uscì dalla sala con la guardia e una folla di uomini suoi fidati...il figlio di Eddard li seguì fuori dal castello...
Il codardo scappato dalla Barriera venne portato al cospetto del “Piccolo” Umber e dei giovani Stark e in un lampo le grida della folla aumentarono a dismisura...a quel punto prese parola il giovane gigante...”Signori calmatevi, so che volete che ammazziamo questo escremento immediatamente senza sentire le sue parole, ma viviamo in un regno con delle leggi che dobbiamo rispettare, mio padre e quindi la mia famiglia ha giurato fedeltà a Lord Eddard Stark Signore di Grande Inverno e dato che le sue leggi in merito a questi casi sono molto chiari dobbiamo sentire il dire di questo sconosciuto e poi processarlo...Chi sei tu??? hai il diritto di darci qualche breve spiegazione”
Due guardie tenevano ammanettato lo stupratore e gli tolsero la stoffa che prima gli copriva la bocca”Cosa volete da me?? Ho passato venti lunghi anni in quella schifosa Barriera, proteggevo voi e i vostri figli, in quel posto schifoso si muore dal freddo, il mangiare è poco e non possiamo avere una donna...quindi se volete proprio sentirmelo dire siii...sono scappato , ho rubato in uno dei vostri granai e ho stuprato una splendida ragazza e non me ne pento...lo rifarei mille volte ancora.....Sono arrivati gli Estranei e ora è la fine per tutti, voi non sapete di cosa sto parlando, nessuno lo sa prima di averli visti...sono la morte fatta persona....”
Con un impeto d'ira l'Umber si alzò di colpo pronto ad estrarre la spada per tagliare la gola al disertore ma venne immediatamente fermato dalle guardie che cercarono di placare per qualche attimo la sua ira....”Essia allora....io ti dichiaro colpevole di diserzione dai Guerrieri della Notte, di rapina e di stupro....tenetelo fermo ora,,,ho una testa da reclamare...quindi in qualità di Lord momentaneo di questo castello io “Piccolo” Jon Umber ti taglierò la testa...”
Bran aveva già visto suo padre compiere questo processo e sapeva che era compito di uno Stark punire per questi tipi di reati nel regno del Nord...”Fermati Umber...in qualità di Stark, figlio del Lord Eddard Stark, Signore di Grande Inverno, credo che sia compito mio punire quest'uomo...se ci fosse stato mio padre l'avrebbe fatto lui, quindi in sua assenza ho il dovere di prendermi questa responsabilità...”
La folla che pian piano era andata a crearsi rimase di stucco alle parole del giovane ragazzo...”Brandon Stark, se è questo ciò che vuoi fa pure, se fosse per me lo torturei per tutta la notte e poi gli avrei tagliato la testa....forza guardie date una spada al giovane Stark”
Le parole uscite spontanee erano ora come una sentenza, non poteva più tirarsi indietro, avrebbe dovuto far rispettare le leggi di suo padre, avrebbe dovuto commettere un omicidio, la punizione esemplare così che fosse da lezione per tutti...”Padre dammi la forza...”si avvicinò a piccoli passi, sfoderò la spada e cercò di colpire con la sua massima forza sul collo piegato del disertore...
Non fu un grande spettacolo, l'esigua forza di Brandon non gli permise di tagliare di netto il capo all'uomo, ma riuscì ad ucciderlo lasciandolo stramazzato al suolo...
Con voce strozzata dal pianto cercò di dimostrarsi forte”Cortesemente portatelo via vi prego “

Era stato il suo battesimo di sangue, la prima morte causata dalle sue mani, un dolore esplose nel suo cuore come se fosse stato lui stesso ad essere colpito...
Jon92
00mercoledì 6 marzo 2013 00:10
Tyrion I

L'alba sembrava essere arrivata più infretta del solito quella mattina per Tyrion, forse perchè il folletto era andato a dormire troppo tardi e per giunta ubriaco marcio, la notte precedente aveva promesso a se stesso di bere solo qualche coppa, giusto per assaporare il gusto del vino in bocca e mandare giu tutto quel cibo che gli era stato servito dalla nuova servetta.

Tyrion decise che era giunto il momento di alzarsi, ormai la mattina stava per far posto alla notte, anche se era una brutta giornata, solo accennando un rapido sguardo al cielo si poteva capire subito che sarebbe stata una giornata di pioggia e forse già prima di sera sarebbe potuta adirittura peggiorare in quanto gli Dei che erano sempre stati così generosi con Tyrion fin dalla sua nascita, gli avevano mandato un temporale, che già si poteva osservare in lontananza.


-Perfetto, un cielo di un grigio così marcio non l'avevo ancora visto, e per giunta non bastava una semplice pioggia-

Tyrion osservò per un po il cielo come se potesse scrutare chissà quale bellezza fra quelle nuvole scure in lontananza, appena riuscì a distogliere lo sguardo da quel orrendo panorama controllò la cosa più importante per ogni uomo, seconda solo al sesso con una bella donna, ovvero se era rimasto del vino nella brocca sul tavolo, e si ricordò che se lo era scolato tutto la notte appena conclusa.

Si ritrovò a pensare a quella nuova servetta che si doveva chiamare Talea, o forse Talia non ricordava di preciso, ma il suo aspetto lo ricordava anche molto bene, proprio una gran bella donna, non sembrava neanche una umile serva, lunghi capelli castano scuro, occhi azzurro intenso, lineamenti perfetti, il folletto ripensando a lei, si chiese se suo padre centrasse qualcosa, forse il lord di Castel Granito aveva architettato un losco tranello per far cadere Tyrion nel suo inganno, ripensandoci meglio, infatti, pochi giorni prima della partenza del Lord suo padre, il temuto Tywin Lannister, fra l'altro esisteva una certa leggenda su di lui, che era molto conosciuta fra il popolino, cioè si raccontava che il Lord di Castel Granito e protettore dell'ovest quando si recava alla latrina, non cagava la tipica sostanza marrone che ogni comune mortale chiama con il nome di merda, ma luccicante oro.
La cosa che lasciava perplesso Tyrion era il fatto che il lord suo padre prima di mettersi in viaggio verso Approdo del Re, per prendere parte alla regal dieta indettà da Re Robert, aveva sostituito praticamente quasi un terzo della servitù del Castello.


Di una cosa era certo il folletto, il vino era finito, e voleva iniziare la mattina sciacquandosi la bocca con il miglior vino presente nelle cantine di Castel Granito, e ovviamente una colazione alla portata del suo nome.

Nella sala grande, la tavola era già stata allestita, e la ricca colazione era pronta per essere servita, nessun dubbio su quello, era una vera colazione da Lord, Tyrion non potè fare a meno di pensare alla gente che è la fuori, ad Approdo del re o qui nell'ovest o in qualsiasi altra città dei Sette Regni che non può permettersi neanche di sfamare la propria famiglia.


-Fortunatamente io sono nato Lannister, e vado orgoglioso di questo-

Tyrion notò suo fratello, stava ancora entrando nella sala grande, quando il folletto aveva praticamente finito di mangiare, rivolse al fratello un rapido saluto con un cenno del capo e un rapido sorriso.

-Ebbene mio caro fratello, avete sentito le ultime novità riguardanti la guerra nel sud dei Sette Regni? Pare che la flotta di Stannis Barathoen fiancheggiata da truppe Tully e Arryn abbiano assestato un rapido e doloroso colpo a casa Martell, le difese sono crollate quasi immediatamente, hanno fatto prigioniero il principe di Dorne, evidentemente la strategia attuata da Stannis si è rilevata vincente-


Jaime non sembrava interessato all'argomento, e non si scomodò a rispondere al fratello, a quel punto Tyrion non volle continuare una discussione morta già dall'inizio, e si limitò ad afferrare una coppa e a riempirla di vino, dopo averla svuotata rapidamente, si rivolse al cantastorie e gli ordinò di cantare qualcosa di allegro e divertente.

-La moglie del dorniano andrà bene-

La moglie del dorniano era bionda come l'oro
e più caldo della Primavera era il suo bacio.
Ma la lama del dorniano era acciaio nero,
e terribile era il suo bacio.

La moglie del dorniano cantava facendo il bagno,
dolce come una pesca era la sua voce.
Ma la lama del dorniano cantava la sua canzone,
freddo come una sanguisuga era il suo morso.

Mentre al suolo giaceva, con le tenebre attorno,
e il sapore del sangue sulla lingua,
i suoi fratelli furono accanto a lui, e per lui pregarono,
così lui rise e sorrise e per loro cantò:
"Fratelli,oh fratelli, i miei giorni sono alla fine,
la mia vita ha preso la lama del dorniano.
Ma questo nulla importa, che tutti gli uomini devo morire,
e gustato io ho la moglie del dorniano!"


Tyrion ascoltò la prima strofa della canzone e ne fu compiaiuto, dopo la seconda strofa si immerse nei suoi pensieri, forse se fosse andato ad approdo del re con il Lord suo padre si sarebbe quanto meno divertito a veder cavalieri di alto lignaggio essere disarcionati dagli avversari, ma non osò chiedere a lord Tywin di portarlo con se, sulla stessa nave poi, non sia mai, un lannister su una nave è già troppo..
Gli tornò alla mente il messaggio che scrisse a Eddard Stark, Lord di Grande Inverno e protettore del nord, il folletto aveva una grande ammirazione verso il popolo del nord, e si era promesso che avrebbe cercato di mantenere i buoni rapporti che vi erano fra le due casate.
Dwavolin
00mercoledì 6 marzo 2013 18:45
Uno scranno tagliente
Quella mattina il sole splendeva, il vento soffiava leggero e la nave puzzava di piscio e vomito. Il giovane Flich, il figlio del mercante, era stato praticamente obbligato da Umber a partire con lui.
Jon gli aveva detto Dato che non ce le hai vedremo se questo viaggio ti farà crescere la palle. Verrai con me ‘Flichs’ o giuro sui sette e gli Antichi Dei che se non farai come dico, non diventerai uomo o farai qualche cosa delle tue non tornerai con me ma ti manderò direttamente alla barriera con un bel calcio in culo: non nero di manto ma rosso di sangue ed ematomi”.
Non ci vollero altre spiegazioni per far accettare al giovane l’ordine impostogli dal Lord di Ultimo Focolare. La puzza di urina e succhi gastrici era anch’essa colpa del ragazzo. Le turbolenze, il movimento andirivieni delle maree e la poca esperienza, che era un fattore comune un po’ a tutti gli uomini che si erano imbarcati a Nord, sul ponte di una nave aveva causato al giovane un terribile mal di stomaco che si era poi evoluto in incontinenza gastrica. Per aggiungere al danno la beffa Jon si era così arrabbiato per quel gesto da “verginelli impotenti” che per le urla disumane aveva fatto anche pisciare addosso il ragazzo per la paura.
Poche ore dopo il gigante sembrava molto sereno e felice. Rideva e scherzava con tutti i componenti dell’equipaggio e concesse persino a Flich qualche battuta e qualche storiella volgare che divertivano tanto Jon.
“[…]E così quello si ritrovò nudo e con i peli tutti bruciati!” Disse Umber ridendo e tirando una forte pacca sulla spalla del figlio del mercante che per poco non cadde per la forza del colpo. “Ah che bella giornata! Se tu non ti fossi pisciato addosso potresti anche sentire il profumo salmastro del mare” Era entusiasta quel dì.
Forse è per questo che i Grey lodano così tanto questa enorme massa d’acqua che chiamiamo mare’ pensò Jon guardando l’orizzonte azzurro ‘Già! se poi vogliamo esaminare nel dettaglio di cosa effettivamente si tratta è un’enorme pozza dove gli animali si accoppiano e defecano,le persone affogano e dove un presunto dio sta là a inghiottire le anime degli sventurati’.
Con un grande sorriso il Lord bevve una lunga sorsata di birra ormai calda. Aveva un sorriso a viso pieno. “certo” disse “Il Nord è il Nord…e sebbene faccia un cacchio di freddo da far staccare le orecchie si sa quali sono i pericoli del gelo…del mare poco si può sapere e chissà quanto ce ne dovrebbe essere da sapere!” più che parlare con qualcuno sembrava quasi che stesse parlando ad alta voce con se stesso. Flich guardava la barba zuppa di birra di Grande Jon e non riusciva a non sentirsi a disagio dall’immotivata felicità ed allegria del suo signore che da lungo non appariva così raggiante.
“Tu.” Disse Umber indicando il giovane con uno dei suoi grossi diti che sembravano appartenere alla mano di un gigante. “si dico a te”.
“Ditemi mio signore” rispose il giovane con riluttanza poiché pensava di essere a breve da un’altra sgridata come quella mattutina.
Jon lo guardò negli occhi e disse “tu che sei del nord.Sebbene è difficile pensare che tu sia un figlio del nord…sei gracilino,basso e insicuro . Sai qual è il nostro obiettivo vero?”
“Certo Lord Jon” aveva imparato a non chiamarlo ‘Maestà’ “Siamo in viaggio per raggiungere la capitale dei sette regni, conoscere i più grandi e valorosi cavalieri del reame e partecipare,o meglio, veder partecipare i vari cavalieri alla Real Dieta che il re ha proclamato”. Ci fu una pausa di silenzio tra i due. il sole splendeva, il vento soffiava e la nave non sembrava puzzare più.
“Sei uno sciocco.” Rispose Umber accigliandosi per un attimo per poi aggiungere “il nostro obiettivo è sopravvivere: stiamo andando nel peggior covo di vipere che l’uomo ricorda. Ogni tuo passo d’ora in poi potrebbe essere l’ultimo e sono poche le persone che sopravvivono alla capitale…sai perché?”
Flich, in evidente difficoltà e sbigottimento rispose negativamente alla domanda del suo signore con un altro silenzio che aspettava risposte. Allora Jon continuò “perché è nella capitale che gira tutto. Nella sala del re c’è quello scranno di spade fuse tra loro: un trono maledetto per quanto mi riguarda ma che tanti agognano. Nella capitale si fa il Gioco del Trono.”
Il sorriso tuttavia non era sparito dalla faccia del gigante che tornando a guardare l’orizzonte disse al giovane “Quindi ridi, godi di ogni respiro e pasto che fai su questa nave construita con gli alberi della tua terra in questa bella giornata di sole. Perchè domani potremmo essere morti: domani potrebbe essere il nostro ultimo giorno” disse sorridendo: un sorriso che sembrava più di un uomo che andava sereno verso la morte che di una persona felice veramente.
“Terra!”gridò un uomo dell’equipaggio.
Approdo del Re, la capitale dei sette regni era in vista in tutta la sua sinistra e misteriosa bellezza ed il gioco era già cominciato.
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