SENZA I SOLDI NON PIACE PIU'? MINISTRO SU EX CIRIELLI

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INES TABUSSO
00mercoledì 30 novembre 2005 20:10
LA REPUBBLICA
30 novembre 2005

Ex Cirielli, Castelli batte cassa
Secondo il ministro aumenterà il sovraffollamento delle carceri
"Senza finanziamenti non mi assumo responsabilità per il futuro"
"Boom di detenuti, servono fondi"
I magistrati tornano ad attaccare la norma approvata ieri
"Come se nella sanità si uccidessero i degenti per risparmiare"

ROMA - Il giorno dopo l'approvazione della ex Cirielli sui tagli ai tempi di prescrizione per i reati il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, batte cassa. Uno degli effetti della nuova normativa sarà infatti un ulteriore sovraffollamento delle carceri, ma, ha avvisato il guardasigilli, nessun nuovo finanziamento è stato fino ad ora previsto per farvi fronte.

"Una stima prudenziale sugli effetti a medio termine della Cirielli, dimostra che potrebbero essere alcune migliaia i detenuti in più che andranno ad affollare le carceri", ha spiegato Castelli precisando poi che "una stima precisa non è possibile perché non siamo in grado di prevedere quanti detenuti torneranno a delinquere, ma la stima è nell'ordine delle migliaia". "Sono mesi - ha poi aggiunto il ministro - che sto chiedendo risorse finanziarie senza ottenere risultati, se continua così non mi assumo responsabilità per quanto potrà accadere".

Torna invece a denunciare altri aspetti perversi del provvedimento l'Associazione nazionale magistrati. "La ex Cirielli è una brutta legge non solo per quanto concerne la disparità dei trattamento, ma per l'evidente ingestibilità dei processi, ed in particolare di quelli con numerosi imputati", ha affermato il presidente della Anm Ciro Riviezzo. "E' come se nella sanità - ha aggiunto Riviezzo - per ridurre le spese di ricovero, si uccidesse una parte dei degenti".


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IL MANIFESTO
8 agosto 2003

Il ministro della Giustizia Roberto Castelli non riesce proprio ad entrare nella parte che le forze politiche gli hanno, misteriosamente, assegnato. Ogni volta che parla si scatena il finimondo. Eppure lui vorrebbe fare analisi ragionate, partire da cifre certe e inconfutabili, tema che solletica il palato di ogni buon ingegnere. Ieri ha deciso di rispondere con una lettera polemica a un editoriale del Corriere della Sera che aveva criticato il governo Berlusconi, e il ministro Guardasigilli, per la situazione di degrado assoluto in cui versano le carceri italiane. Editoriale arrivato dopo una serie di inchieste su vari istituti di pena condotte dal quotidiano di Via Solferino.

Il ministro ha voluto precisare quelli che a suo dire sono alcuni semplici "dati di fatto", sollecitando una risposta da parte del centrosinistra. Secondo Castelli, le carceri italiane "non sono al collasso". Anzi, va tutto bene. E se qualcosa va male è colpa degli anni in cui governava l’Ulivo. Ma, sfortunatamente per lui, la sua difesa delle carceri non è piaciuta a nessuno. Né all’opposizione né ai suoi stessi compagni di maggioranza. Mi si accusa di lasciare le carceri sovraffollate, si chiede Castelli, ma è il regolamento del 1999, quando c’era l’Ulivo, che fissa per le celle dei parametri arbitrari in metri quadri per ogni detenuto a cui ora ci adeguiamo.

Le regole italiane però vanno bene, anzi, "sono convinto che possano fare da riferimento per tutti gli stati europei". Spazi comuni inesistenti? "Affermazione destituita di ogni fondamento". Pochi agenti di polizia penitenziaria? Neanche per sogno, l’Italia ne ha quasi uno a testa per ogni detenuto, solo che sono distribuiti male, "sono troppi al Sud". Manca l’assistenza sanitaria? Non è vero, "la spesa pro capite annua per detenuto è pari a 2.150 euro contro una spesa di 1.360 euro per ogni cittadino". Qua e là ci sono topi e sporcizia? "Affermazione sconcertante". Dopo tutti questi dati, il ministro si lancia in una filippica contro l’Ulivo. E chiude con un lamento: "Perché alla sinistra tutto è permesso e alla destra niente è permesso? Voglio risposte". Che, puntuali, arrivano di buon ora. Come ricorda il Sappe, sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria, le leggi italiane sono tra le più avanzate, ma mancano le risorse e il personale, quindi sono completamente inattuate. Le parole del ministro hanno poi provocato sconcerto e, a dir poco, indignazione, non solo tra chi in carcere lavora o si occupa da anni, ma anche in alcuni parlamentari della stessa maggioranza che solo pochi giorni fa gli ha rinnovato la fiducia. Basta ascoltare Sergio Cola, deputato di An: "Le condizioni delle carceri italiane sono ai limiti del convivere civile e della civiltà europea. A Poggioreale ci sono 14 detenuti in 20 mq.

Castelli lo deve sapere e se non lo sa è meglio che s’informi". Anche Alfredo Biondi, ex guardasigilli e vicepresidente della Camera di Fi, attacca il ministro: "Da quando c’è lui c’è un’interpretazione della funzione carceraria che non credo corrisponda non dico a quella europea, ma nemmeno a quella dei tempi di Cesare Beccaria". Il ministro infatti ignora od omette alcune questioni. Le condizioni materiali di detenzione non sono fissate a caso, ma sono le stesse in tutti i 45 paesi del Consiglio d’Europa, Italia compresa. Sono stabilite con una Convenzione in vigore fin dal 1989. Ed esiste un comitato europeo, che collabora con i governi, che vigila sull’applicazione di un trattamento umano alle persone private della libertà, il Comitato per la prevenzione della tortura con sede a Strasburgo. Come spiega Mauro Palma, rappresentante italiano in questo comitato, "in base a quelle norme, recepite nel regolamento penitenziario, la capienza massima degli istituti italiani è di circa 42mila detenuti". Che però sono invece quasi 57mila.

Nessun numero arbitrario quindi, né c’è bisogno di standard internazionali condivisi, che esistono già. Al limite il ministro potrà adoperarsi in sede europea per modificarli. Sulla questione dell’assistenza sanitaria in carcere, per la quale Castelli si lamenta di spendere di più che per le persone libere, Graziella Mascia del Prc ricorda che l’ultima finanziaria ha tagliato l’accesso ai medicinali specialistici, ogni detenuto deve pagarli di tasca propria con il risultato che, di fatto l’assistenza sanitaria in carcere, anche per le gravi carenze di personale, non è garantita o solo a macchia di leopardo. Inattuata anche la vecchia ipotesi di trasferirla nel servizio sanitario nazionale. Altro argomento citato dal ministro: l’Ulivo ha chiuso 12 carceri senza costruirne di nuove.

È facile ricordare, come fa il senatore Mario Cavallaro della Margherita, che l’attuale piano di edilizia penitenziaria è ancora quello pensato dal centrosinistra. Diverso il caso della Dike Aedifica Spa, la nuova società che in pieno stile Tremonti dovrà costruire nuove carceri con investimenti privati. Non è malevolo temere, come fanno alcuni, che il guadagno dei privati sarà acquisire le vecchie carceri nei centri storici e costruirne di nuove nelle periferie, speculando. Proprio difendendo l’operato dei governi dell’Ulivo è intervenuto il Verde Franco Corleone, sottosegretario alla giustizia dal '96 al 2001. "Le dichiarazioni di Castelli non mi stupiscono. Del resto disse che le carceri non devono essere Grand Hotel. Il ministro dimentica però che il regolamento del 1999 l’ha approvato l’Ulivo ed è avanzatissimo. Oltre alle modifiche strutturali degli edifici (finestre senza bocche di lupo, servizi igienici ogni due celle, interruttori per la luce disponibili in ogni cella), prevedeva, tra l’altro, il diritto allo studio, al lavoro e alla libertà religiosa". In sostanza, dice Corleone, "avevamo iniziato ad abbandonare la concezione custodialistica del carcere come luogo dove si sta in cella 20 ore su 24, mirando a garantire la rieducazione e la risocializzazione dei detenuti". Ma, ricorda ancora Corleone, "abbiamo anche approvato molte leggi" e cita la Simeone (pena alternativa per reati minori), la Smuraglia (sul lavoro), per le detenute madri e i detenuti malati di Aids, la nuova sanità penitenziaria. "Ma il ministro ha fatto sì che fossero ineffettive e le carceri oggi sono al collasso", conclude amaro Corleone.


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www.giustizia.it
Ministero della Giustizia
Roma, 16 giugno 2004

Comunicato stampa
Castelli e Lunardi firmano la convenzione con Dike Aedifica

Il Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Pietro Lunardi, hanno sottoscritto oggi presso il Ministero della Giustizia una Convenzione con la Dike Aedifica S.p.A. società costituita allo scopo di valorizzare il patrimonio immobiliare di pertinenza dell'amministrazione della Giustizia. Attraverso questa convenzione, alla Dike Aedifica S.p.A. saranno attribuite le risorse derivanti dalla vendita dei primi penitenziari dismessi che saranno utilizzate per la costruzione di nuove carceri, per il rifacimento o la ristrutturazione di immobili esistenti e per l'acquisizione di nuovi immobili. Questo consentirà di accelerare i tempi di adeguamento e rinnovo, oltre che delle strutture penitenziarie, anche di quelle destinate all'amministrazione della giustizia.

I Ministri Castelli e Lunardi si sono dichiarati soddisfatti della firma congiunta di questa convenzione: "Questa iniziativa, che ha un forte carattere innovativo e che ha visto protagonista anche la Patrimonio S.p.A., porterà alla valorizzazione di diverse strutture penitenziarie non più adeguate a ospitare detenuti ma che talvolta presentano notevoli pregi storici ed architettonici e che potranno quindi essere restituite alle città. Con le risorse ottenute dalla vendita di tali strutture saranno reperiti, a costo zero per lo Stato, i mezzi finanziari per la realizzazione di nuovi istituti penitenziari per adulti e minori e di tribunali".


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Il Manifesto
25 giugno 2004
di Franco Corleone*

Nei giorni scorsi il ministro Castelli ha inaugurato il nuovo carcere, o meglio la ristrutturazione, di Lecco.
Non mettendo nel conto l'inaugurazione del carcere di Bollate già festeggiato da Fassino, questo in tre anni è il primo lavoro di cui può menare vanto il ministro ingegnere e guarda caso riguarda la sua città.
Nel suo piccolo, ognuno ha il proprio conflitto d'interesse.
Se proprio volessimo essere precisi si potrebbe dire che nessuna opera in atto è attribuibile al governo in carica, essendo tutte state progettate dai governi di centrosinistra. Così è per la ristrutturazione del carcere di Udine e per quella di San Vittore.

La responsabilità di Castelli è invece di avere bloccato i progetti innovativi per i minori a Mogliano Veneto (che avrebbe sostituito l'Ipm indecente di Treviso), a Bari a causa di un pregiudizio sull'impresa costruttrice e a Torino dove è stato affossato un progetto costruito d'accordo con il comune e con l'ausilio di una commissione colpevole di una impostazione «ideologica» presieduta da un esperto del diritto minorile come Pietro Vercellone per rendere il «Ferrante Aporti» un modello di inserimento e di inclusione sociale. Pare che solo il progetto del Pratello di Bologna abbia avuto recentemente il via libera non so con quali correzioni e mutilazioni.

Per quanto riguarda le carceri degli adulti, nulla è stato fatto per cancellare le vergogne di Savona, Favignana, Pordenone, solo per citare alcuni degli istituti che non consentono neppure la finzione del trattamento umano e dell'applicazione dell'ordinamento penitenziario e del regolamento.
La festa di Castelli è stata turbata dalla vivace contestazione della Polizia Penitenziaria; questo episodio, che rivela una delusione e una inquietudine profonda, non ha impedito al ministro di promettere (o minacciare?) nei prossimi 15 anni la ristrutturazione dell'intero sistema carcerario italiano.
L'unica nostra speranza è che ben prima ci si liberi di chi in realtà sogna di fare dell'Italia un solo e invivibile carcere.
Con che risorse si avvieranno i 23 o 62 progetti che richiedono 2000 o 3000 miliardi di vecchie lire?
Finalmente il mistero è svelato e ha un nome, Dike Aedifica spa.

La famigerata società Patrimonio dello Stato spa costituita per la valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio dello Stato ha a sua volta costituito la società Dike Aedifica, «avente per oggetto l'esercizio in forma di impresa dell'attività da eseguirsi anche in regime di concessione, di realizzazione totale o parziale di interventi di edilizia giudiziaria e penitenziaria, ivi compresi i carceri minorili, sia in sede di nuova costruzione che di rifacimento e/o ristrutturazione di immobili esistenti»; nella convenzione tra il ministero della giustizia e la società si afferma che la Dike Aedifica ha tutte le caratteristiche per poter contribuire alla realizzazione del programma di edilizia penitenziaria.
Il compito attribuito esplicitamente alla società sarà quello dell'effettuazione di studi in materia di edilizia penitenziaria, di rilevazione delle esigenze di edilizia penitenziaria e definizione degli obiettivi e delle priorità, di individuazione delle aree, anche attraverso la promozione di intese con gli enti locali interessati, per attuare le dismissioni (sic!) e reperire le aree per la localizzazione dei nuovi istituti; di progettazione e di realizzazione degli interventi di edilizia penitenziaria; di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture di edilizia penitenziaria e infine di prestazione di servizi inerenti la dismissione di immobili di edilizia penitenziaria.

La Dike ha la presunzione statutaria di una durata fino al 31 dicembre 2100 - e poi ci si stupisce se si parla di regime - ha sede a Roma in via Piacenza e il capitale sociale è di un milione di euro ed è stata costituita il 3 luglio dell'anno scorso.
E' interessante conoscere la composizione del consiglio d'amministrazione.
Presidente è Adriano De Maio, rettore della Luiss, vice presidente Morris Grezzi, docente universitario indicato dal ministero dell'economia, amministratore delegato è, giustamente, un imprenditore, Vico Valassi.
I membri sono Leo Di Virgilio, ex direttore d'azienda, Giovanni Paolo Gaspari, dirigente del ministero delle infrastrutture, Enrico Leopardi, dirigente del gruppo Fs e Cesare Righi, dirigente della capofila Patrimonio.
E' previsto anche un Comitato di coordinamento e programmazione composto dai tre capidipartimento Tinebra, Priore e Cerrato, e da quattro esperti designati dal ministro della Giustizia che sono Bruno Caparini, Antonio De Maria, Tommaso Manzo e Peppino Marasco. Siamo passati dalla «giustizia giusta» alla giustizia edificatrice: è urgente che il parlamento e il comitato carcere approfondiscano gli scopi e le iniziative di questo incastro di scatole cinesi che incidono non solo sulla sorte di aree urbane preziose ma anche sul destino dei detenuti, perché profitto e privatizzazione non fanno rima con Costituzione.

* già sottosegretario alla Giustizia, Garante dei diritti dei detenuti a Firenze


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L’ESPRESSO
7 aprile 2005

IL FILM DELLE CARCERI D’ORO

IL CONSULENTE DI CASTELLI DISCUTE DI APPALTI CON UN IMPRENDITORE. TUTTO REGISTRATO DI NASCOSTO IN UN VIDEO. CHE “L’ESPRESSO” RIVELA.

DI MARCO LILLO

C’è un filmato esplosivo dietro l’inchiesta sugli appalti delle carceri al ministero della Giustizia. Un video che ha trascinato nell’indagine Giuseppe Magni, 53 anni, sindaco di Calco in provincia di Lecco, candidato della Lega alle regionali, ma soprattutto superconsulente del ministro Castelli per l’edilizia penitenziaria. Sulla base di quel video, il pm romano Pietro Giordano lo ha iscritto nel registro degli indagati per concorso in corruzione ed istigazione alla corruzione. Si tratta di immagini riprese all’insaputa di Magni e nascoste nella memoria di un computer. Il pc è stato sequestrato dal nucleo speciale tutela mercati della Guardia di Finanza ed il suo contenuto è finito in un rapporto consegnato il 18 marzo alla procura di Roma. “L’Espresso” è in grado di ricostruire il filmato. L’ambientazione è un ufficio disadorno nella periferia orientale di Roma. Lì hanno sede le società del gruppo SVE della famiglia Capriotti. Magni arriva in quell’ufficio di Viale Togliatti una mattina di settembre 2004 perché vuole parlare di affari riservati con il padrone di casa: Angelo Capriotti. Presente, un po’ defilato, anche Giorgio Crateri, un ingegnere di Parma con studio a Milano. Il terzetto disquisisce sulla condizione delle carceri italiane. Al centro delle preoccupazioni di Magni non sono le condizioni dei carcerati quanto gli affari che si possono avviare. Sul tavolo di Capriotti c’è una copia del numero 35 de “L’Espresso”, aperta a pag. 58. Il titolo è “Frà mattone và in prigione”: l’articolo parla degli affari poco chiari del consulente di Castelli e della società Dike Aedifica, creata dal Governo proprio per gestire il business delle carceri. Capriotti e Magni commentano l’articolo e poi passano a parlare di donne. A quel punto Capriotti dice a Magni: “Sai che te dico: te chiameremo frà scopone anziché frà mattone”. I due ridono ma dopo la pesante battuta si passa discutere di affari. Ora è Magni a parlare: nel filmino descrive ai suoi due amici i lavori per la costruzione delle carceri di Varese e Marsala. Ed è in quel contesto che arrivano le frasi chiave. Per descrivere la sua influenza sul ministero, Magni si vanta di essere in grado di determinare i nomi delle ditte appaltatrici: “con lui ci parlo io e se dico Pinocchio è pinocchio”. Magni non dice chi sia il potente “lui”. Capriotti a quel punto chiede lumi sulla divisione dei compiti tra lui e crateri. Magni spiega che non gli interessa come si organizzeranno tra loro, una cosa però deve essere chiara: “prima di firmare al ministero dovete passare da me”. Nell’incontro Magni discute anche il secondo filone d’oro delle carceri: il cambio di destinazione dei penitenziari dimessi. Di questo business si deve occupare la Dike Aedifica s.p.a., partecipata la 95 per cento dalla Patrimonio Spa (controllata dal governo) e amministrata dal concittadino di Magni e Castelli, Vico Valassi. Il consulente ministeriale illustra le potenzialità economiche della riqualificazione delle carceri “turistiche” e si accende parlando in particolare dell’ex carcere di Ventotene che potrebbe essere trasformato in un grande albergo di lusso. In un passaggio si vanta anche di aver fatto preparare un emendamento alla Finanziaria per togliere ai Comuni il potere di veto sulla trasformazione della destinazione delle carceri. Se fosse passato (ma venne poi cassato), il ministero sarebbe diventato arbitro del destino degli angoli incontaminati che un tempo ospitavano i detenuti. I finanzieri stanno ora appurando se qualcuno dei tanti sogni dell’uomo di fiducia di Castelli sia già diventato realtà. Il progetto Dike sembra fermo ma la ditta di Capriotti è riuscita ad ottenere qualche appalto al nord, per esempio nel carcere di Varese e di Opera. Ora gli inquirenti stanno verificando se l’incarico risalga ad un periodo successivo all’incontro filmato. L’appalto per il nuovo carcere di Marsala, invece è andato ad una grande impresa romana anche se ora bisognerà verificare chi svolgerà concretamente i lavori. All’insegna della prudenza le reazioni all’inchiesta che arrivano dal Ministero della Giustizia. “Non so perché Magni è indagato. Gli auguro di essere scagionato”, si è limitato a dichiarare Castelli. E quando mercoledì 23 marzo i finanzieri hanno bussato al ministero, alla Dike e a casa Magni a Roma, sembrava quasi che l’uomo forte delle carceri fosse divenuto un semi-sconosciuto.”Si è candidato alle regionali ed ha lasciato Roma il 7 marzo”, hanno detto al ministero, dove l’ufficio di Magni è stato prontamente occupato dal neo-sottosegretario Luigi Vitali. Stessa risposta è arrivata dal sottosegretario particolare di Castelli, Stefano Simonetti, che divide l’alloggio di Trastevere con Magni. In realtà, il consulente di castelli si è dimesso al ministero ma conserva incarico ed ufficio alla Dike, dove sono stati sequestrati una dozzina di scatoloni di carte. Magni era a Calco e non ha avuto problemi a mostrare ai finanzieri il suo parco macchine (una Ferrari, una Porsche ed una Smart). Solo quando gli hanno chiesto di aprire una cassetta di sicurezza, prima ha cercato di tergiversare, ma poi ha consegnato le chiavi ai finanzieri che hanno così trovato un assegno da 50.000 euro. Magni ha una piccola impresa nel settore dei fili da saldatura a Olginate 8perquisita ma inattiva) e un’altra (chiusa da anni) nel commercio del pesce. Negli ultimi tempi, oltre al modesto stipendio da sindaco e a quelli da consulente (36.000 euro da Dike e 90.000 dal Ministero) Magni contava sull’attività di consulente assicurativo per la Bayerische. A casa di Magni sembra sia stata sequestrata anche una lista con i nomi delle città in cui sorgono alcune carceri con accanto segnate delle cifre e su cui sarebbero in corso verifiche. Magni è iscritto sul registro degli indagati insieme ad altre cinque persone: Angelo Capriotti e suo fratello Roberto, Giorgio Crateri, più due persone indagate per altri due episodi spuntati sempre dal computer di Capriotti. L’imprenditore aveva infatti la mania di registrare i suoi incontri e tenere nel computer un archivio pieno di video ed audio. I finanzieri hanno visionato solo un decimo del materiale contenuto nel computer e hanno già trovato molte cose interessanti. Un secondo filmino documenta la consegna di una mazzetta per un lavoro che non ha nulla a che fare con Magni e con le carceri. Si riconosce l’ingegner Carlo Bonifazi, responsabile delle gare per l’Adisu, l’ente di diritto allo studio del lazio, che incassa alcune migliaia di euro da Angelo Capriotti. La società Sie di Capriotti si è aggiudicata nel 2000 l’appalto da due milioni di euro per la mensa dell’Università di Tor Vergata. Secondo l’ipotesi del pm, per firmare il primo stato avanzamento lavori, Bonifazi prende la mazzetta. Capriotti paga, ma di nascosto riprende tutto. A condurre le indagini su Magni e Capriotti è ora un pm di grande esperienza come Pietro Giordano. Mentre coordina i finanzieri il generale Castore Palmerini, comandante del nucleo della Guardia di Finanza che si occupa di Tutela dei mercati. Palmerini prima di approdare al nucleo, è stato commissario per i beni confiscati alla mafia e capo dello Scico della Finanza. E’ incappato nel computer di Capriotti indagando su una società di certificazione di Capriotti che rilasciava attestazioni false. Quando le fiamme gialle hanno aperto il computer Capriotti ha mormorato: “sono un uomo finito”. I finanzieri hanno impiegato un mese a copiare il materiale e finora ne hanno visionato meno della metà. Tra i documenti, anche una lettera a Paolo Berlusconi nella quale Angelo Capriotti chiede una raccomandazione per un appalto (mai ottenuto) presso la Presidenza del consiglio. Inizia con un “caro Paolo” e termina con uno strano discorso sulle percentuali, chissà se è mai stata spedita. Poi c’è la registrazione audio di una conversazione delicata tra Capriotti, imbottito di registratori, e un alto dirigente dell’Autorità garante dei lavori Pubblici, più una valanga di filmini, di ogni genere. Perché Capriotti conservava questo materiale? L’imprenditore si è giustificato dicendo di essere un informatore del Sismi.




PADRONE TRA LE SBARRE
INCONTRI CON SINDACI E DIRETTORI DI CARCERE. Controllo su un Budget da 2 miliardi. Ecco gli anni di Magni al ministero.
di Francesco Bonazzi.

Entrava nella stanza di Roberto Castelli senza bussare. Anche i sottosegretari, se volevano occuparsi di un carcere, dovevano preparargli un promemoria e aspettare un suo cenno. Perché lui, Giuseppe Magni, rispondeva solo all’amico guardasigilli. Il suo ufficio in Via Arenula era nella cosiddetta manica, il corridoio dall’accesso ultrablindato voluto da Castelli per sé e per i collaboratori più fidati. Poi, improvvisamente, a inizio marzo, la stanza del consulente del ministro per l’edilizia carceraria è stata svuotata da cima a fondo in poche ore. E Magni è tornato nella Brianza lecchese, a caccia di un posto in consiglio regionale. Se n’è andato da Roma quasi senza salutare il vasto regno che girato in lungo e in largo per 42 mesi da “inviato speciale del Signor ministro”, come recitano decine di comunicati stampa. Un regno dove sofferenza e potere si mescolano in maniera emblematica: 205 carceri, 56.000mila detenuti; 47.000 poliziotti penitenziari; 6.500 volontari; una spesa annua che supera i 2 miliardi di euro e un piano straordinario di investimenti immobiliari che vale circa 900 milioni. Il 24 marzo scorso, dopo che le agenzie avevano battuto la notizia delle perquisizioni a Magni, il ministro si limitava ad augurare “all’ex consulente” di poter provare la propria totale estraneità. Un copione già visto all’inizio di mani pulite, quello di personaggi chiave scaricati e sminuiti pubblicamente alla prima avvisaglia di guai giudiziari. Eppure Magni contava davvero. Il Direttore dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tinebra, aveva dovuto subirne l’iperattivismo. I loro rapporti erano pessimi. Più volte è accaduto che Tinebra gli abbia sbattuto sul tavolo un fascicolo o gli abbia chiuso la porta in faccia. Ma per il sindaco di Calco non era un problema: andava direttamente dal ministro e tutto si risolveva. Per il resto si era trovato un equilibrio: Tinebra si occupava dell’esecuzione della pena, dei problemi giuridici, della gestione dei pentiti e dei detenuti al 41 bis. Magni gestiva i soldi, personale ed edilizia. I due uomini con cui ha lavorato a più stretto contatto sono il generale Enrico Ragosa, responsabile della Direzione Beni e Servizi, e Gaspare Sparacia, direttore del personale. Ragosa, fondatore dei nuclei speciali del Gom ed ex ufficiale del Sismi, ha spiegato a Magni il funzionamento delle carceri e lo ha scortato in decine di viaggi per incontrare direttori di istituto, provveditori regionali, rappresentanti sindacali. Dall’autunno 2001, oltre alla macchina con autista, magni aveva la scorta. A Calco erano comparse scritte contro di lui, firmate Brigate Rosse. In Via Arenula ne ridevano, eppure la storia più recente ha già dimostrato che le nuove Br amano scegliere personaggi poco noti, ma inseriti in posizioni nevralgiche. E magni era tra questi. Fino a poche settimane fa “il consulente” ha incontrato i sindaci di mezza Italia per parlare di piani regolatori, vendita di carceri situati nei centri storici e costruzione di nuovi penitenziari nelle periferie. Magni era anche il Segretario Generale della Dike, la Spa che ha in mano il business del mattone con le sbarre. Ed era, ad esempio, l’uomo che stava sondando il sindaci di Milano Gabriele Alberini per la vendita di San Vittore, un affare enorme. Attraverso la leva dei finanziamenti impugnata dalla Direzione Beni e Servizi, Magni esercitava di fatto un potere assoluto sui Provveditori regionali e sui direttori delle carceri. Gente che se c’è un taglio (o anche solo un ritardo) nei trasferimenti di soldi, rischia di non poter garantire la sicurezza e salta come un birillo alla prima rivolta. Anche i grossi contratti di fornitura, come la luce ed il riscaldamento, venivano impostati e programmati a Roma. In Lombardia, ad esempio, ditte come Olicar e Devi Impianti facevano la parte del leone. E quando la direttrice del carcere di Busto Arsizio non fece entrare un addetto della devi, in pochi giorni si beccò un’interrogazione parlamentare della Lega Nord che quasi ne richiedeva le rimozione. Per tutte queste ragioni, per mesi e mesi nessuno si è opposto allo strapotere di magni. Solo ultimamente, intorno al superconsulente, s’era fatto un certo vuoto. A cominciare dal generale Ragosa, in malattia da febbraio.

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