VECCHIA DOMANDA DELL'ECONOMIST AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E VUOTI DI MEMORIA DELL'AVVOCATO MILLS

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INES TABUSSO
00venerdì 30 dicembre 2005 18:03
IL RIFORMISTA
2 Agosto 2003
CITY. IL DIRETTORE DEL SETTIMANALE SPIEGA PERCHÉ SI È DECISO A SCRIVERE AL PREMIER
L'Economist: è stato il Lodo a metterci in moto


Non sarà forse che il gruppo Pearson, azionista di controllo dell'Economist, ce l'ha con Mediaset, magari perché il Biscione, che ha la maggioranza della spagnolaTelecinco, si oppone alla vendita di un pacchetto azionario detenuto dalla Dresdner Bank agli inglesi? O è tutta opera di Tana De Zulueta, l'ex corrispondente da Roma del settimanale britannico, che oggi siede come senatrice nei banchi dei Ds? Oppure, come ripetono dalla Fininvest, non si tratta che di «materiale di importazione» in cui si riconoscerebbero le «tesi colpevoliste» dei «professionisti dell'informazione ideologizzata specializzata in anti-berlusconismo»? E invece no, il dossier su Berlusconi del settimanale The Comunist (come lo definisce Nando Dalla Chiesa, quando fa la parodia del Cavaliere) non ha nulla a che fare con i complotti della finanza o le imboscate della sinistra. «Già a pensarla così, dimostrate di essere italiani», taglia corto il direttore Bill Emmott, che ha firmato la «lettera aperta» recapitata personalmente al presidente del Consiglio con qualche giorni di anticipo rispetto alla pubblicazione.
Al Riformista Emmott chiarisce innanzitutto che «le decisioni editoriali non sono mai discusse con i nostri azionisti, incluso il gruppo Pearson. Io ho tutto il diritto di prendere le mie decisioni in piena autonomia». Dunque la proprietà non c'entra, come non c'entra Tana De Zulueta. «Naturalmente abbiamo lavorato con fonti italiane», continua il direttore, «ma l'inchiesta è stata interamente gestita da Londra». A coordinarla è stato Tim Lackson, uno degli investigative reporter di punta del giornale, che parallelamente sta scrivendo un libro su Tangentopoli. «Quanto tempo ci abbiamo messo? Direi che abbiamo lavorato ininterrottamente sul tema dalla nostra prima inchiesta dell'aprile 2001 (quella della celebre copertina Fit to run Italy?, ancora oggetto di una querela per diffamazione, ndr), ma solo negli ultimi mesi abbiamo deciso di ricorrere alla forma di una lettera aperta». Emmott respinge ogni dietrologia: «Abbiamo pubblicato adesso il dossier semplicemente perché ci sentivamo pronti, perché avevamo delle notizie che ce lo consentivano». Ma a far scattare l'iniziativa è stato il lodo Maccanico: «Quando la legge sull'immunità ha messo fine alla possibilità che Berlusconi potesse rendere conto di tutti questi interrogativi davanti ad un tribunale, ci siamo convinti che sarebbe stata una buona idea fargli delle domande per mezzo di una lettera aperta». Una procedura insolita anche per l'Economist, che pure in passato aveva attaccato con inchieste al vetriolo capi di Stato come Boris Eltsin o Jacques Chirac. «Ma il caso di Berlusconi è diverso - insiste il direttore - perché nessuno prima si era messo al riparo dalla legge così come ha fatto lui». Dunque, anche tenuto conto degli standard di moralità italiani (che devono apparire assai bassi, giudicati da lassù), gli inglesi hanno ritenuto che la misura fosse colma e sono usciti con una nuova copertina sul Cavaliere (la seconda da maggio). Consultando ovviamente prima i loro uffici legali, che sono già impegnati in una causa per diffamazione a Roma, il cui esito è atteso per la fine dell'anno.
E nemmeno è esatto parlare di «materiale d'importazione», ribattono da Londra, perché almeno un elemento nuovo nel dossier dell'Economist c'è. Lo si individua alla quinta domanda, disponibile solo sul sito Internet del giornale (Your other trials), nel paragrafo dedicato ai processi per falso in bilancio [1], quando si scrive che l'avvocato londinese David Mills, contrariamente a quanto sostenuto nelle sue deposizioni ai magistrati italiani, avrebbe intrattenuto un rapporto professionale con la Fininvest già a partire dal 1980 (e non nel '89 o '90 come dichiarato sotto giuramento). In base ai registri camerali consultati dal settimanale, Mills avrebbe infatti iniziato in quello stesso anno a mettere in piedi una rete di società off-shore (come la All-Iberian) nota come «Fininvest-B», allo scopo di accantonare fondi neri, da impiegare successivamente anche per il pagamento di tangenti. Uno schema che tramite Mills e il suo mandante, Giancarlo Foscale, cugino di Berlusconi e manager della holding di famiglia, avrebbe sottratto oltretutto al fisco inglese tasse su utili lordi per 75 milioni di dollari, solo nel periodo '80-'87. L'avvocato Mills, in sostanza, a detta dell'Economist, sarebbe un evasore fiscale. Piccolo particolare: il legale è il marito di Tessa Jowell, ministro della Cultura di Tony Blair. Se l'accusa dovesse dimostrarsi vera, il premier inglese si troverebbe ancora di più sulla graticola. E forse è lui il vero obiettivo di questo attacco.


[1]
VEDI:
www.esmartstart.com/_framed/50g/berlusconi/econ_en5.htm
e per la traduzione in italiano:
www.segnalo.it/SAGG-ART/GOV-BERLUSC/2003/The%20Economist.doc
E IN PARTICOLARE:

Mr Mills gave evidence on your behalf in the SME case at a hearing in London in March 2003. Asked when his professional relationship with Fininvest began, Mr Mills replied in 1989 or 1990, and denied any relationship as early as 1981 or 1982.

Based on company filings in Britain, these statements were untrue. Mr Mills attributes this to “a failure of memory”. In March 1980 Mr Mills incorporated Reteitalia Ltd in Britain, as a 90% subsidiary of Reteitalia Srl, your film and TV rights company, set up in Italy that year. Fininvest Srl held the other 10%. In other words, Reteitalia Ltd was a Fininvest company. Between May 1981 and September 1983, you were one of its four directors, all of whom were resident in Italy. Mr Mills was Reteitalia Ltd’s company secretary from incorporation until 1989, when CMM took over.

In 1985 Mr Mills also set up Publitalia International Ltd in Britain for Fininvest, and signed the form appointing Marcello Dell’Utri, your close friend, as a director. In 1986 Reteitalia Ltd changed its name to Reteeuropa Ltd. A few months later, Mr Mills set up another company in Britain called Reteitalia Ltd, of which he became a director. This company changed its name to Reteitalia (UK) Ltd in 1988 and back again to Reteitalia Ltd in 1990.

The first Reteitalia Ltd (ie, the one that became Reteeuropa Ltd) bought film rights from third parties, which it then sold to other companies of yours. It was a tax wheeze. Between March 1980 and December 1987, Reteitalia/Reteeuropa Ltd made $75m in pre-tax profits, which escaped British tax as the firm was deemed to be non-resident in Britain for tax purposes. This was because, while registered in Britain, it did not trade in Britain, and its registered owner and directors were not resident in Britain. After changes in British tax rules in 1988 eliminated this type of tax-avoidance scheme, Reteeuropa Ltd sold all its films rights in 1989 and wound down its activity in 1990 to very small fraction of its previous level. It made total losses of $53m between 1989-90, after the tax law had changed.

The second Reteitalia Ltd also bought and sold film rights, but, unlike its former namesake, it did trade in Britain and had some British directors, including Mr Mills. It was therefore subject to British tax, but made only meagre profits, followed by a loss in 1990. It, too, sold all its film rights in 1989.

In fact, by 1990, according to KPMG, the companies that bought and sold the film rights were no longer British-registered. They were, by then, registered in more exotic offshore locations, such as the BVI. In particular, two BVI-registered companies, Century One Entertainment and Universal One, were involved in acquiring rights from third parties which were sold to your Italian companies.

These were just two of 29 companies in Fininvest “Group B”. The expression Group B was used to “differentiate the official companies of Group A from those which, although also controlled by Fininvest, should not appear as group companies and thus be kept out of the consolidated accounts”, Mr Mills told magistrates. On CMM’s summary sheet for each of the companies in Group B, were the words “very discreet”, an aide-mémoire to keep secret the link with the Fininvest group.

None of the 29 companies had any employees or any administrative infrastructure of their own. Trust companies acted as the registered agents for the companies’ shares (which were mainly in bearer form) and leading financial institutions in the Bahamas, Britain, Jersey, Luxembourg and Switzerland acted as bankers. Mr Mills claimed to the registered agents that he was the beneficial owner of three of the 29 companies. Mr G Foscale, your cousin, was presented as the beneficial owner of All Iberian.

CMM served as company secretary to 17 of the 29 companies. Ms Maynard was a director of Century One Entertainment and Universal One, and also of All Iberian. Mr Mills told Milanese prosecutors that Fininvest managed, directed and financed the operations of the All Iberian group. In other words, CMM was an interlocutor for Fininvest with bankers and registered agents of the Group B companies.

All Iberian was set up in Jersey, one of the Channel Islands, in May 1988. Six of Ms Maynard’s fellow All Iberian directors, mostly in their mid-60s in 1988, had addresses on the island of Sark. This is under the jurisdiction of Guernsey, another of the Channel Islands. In 1998 a senior British Treasury official wrote a report on financial regulations in the Channel Islands. It recommended a curb on the “Sark lark”. This involved use by non-resident companies, such as All Iberian, of nominee (ie, bogus) directors on Sark, where the directors were not subject to regulation. His report estimated that the 575 residents of Sark held around 15,000 directorships in 1997. According to KPMG, All Iberian’s directors (excluding Ms Maynard) held another 24 directorships of Group B companies, and Mr Mills was a director of one Group B company and was a bank account signatory for seven.

In relation to buying film rights, Mr Mills told prosecutors in 1997: “All the operations with the ‘majors’ [studios] were organised by Fininvest Service SA of Lugano. I gave legal advice on the content of the contracts with the majors…I will have signed hundreds of these contracts in London, in my office. Once signed, without keeping copies, I transmitted them straight to the office of Fininvest Service of Lugano…I never took part in any negotiation…”



INTERNAZIONALE
17 marzo 2005
Fango benefico
www.internazionale.it/home/primopiano.php?id=8884

Si è aperta una nuova indagine su Silvio Berlusconi e su Mediaset. Ma gli italiani sembrano indifferenti al curriculum giudiziario del premier, scrive Philip Willan

I mass media inglesi hanno mostrato grande interesse per le conclusioni dell'inchiesta dei pubblici ministeri milanesi su presunte irregolarità nell'acquisto di diritti cinematografici da parte di Mediaset. I motivi sono politici, ma questa volta non riguardano l'Italia. David Mills, l'avvocato londinese accusato di aver creato una rete di società offshore per frodare, secondo i pm, il fisco italiano, è infatti il marito di Tessa Jowell, ministro della cultura nel governo di Tony Blair. Questa parentela rende più piccante per il pubblico inglese qualsiasi scorrettezza possa aver commesso Mills.

È stato dunque con grande curiosità che abbiamo letto sul Corriere della Sera che Mills aveva negato ai magistrati milanesi di aver parlato con Silvio Berlusconi della società All Iberian, per poi correggersi subito quando i pm gli hanno mostrato un appunto scritto di suo pugno sulla conversazione. E ha destato stupore la rivelazione dello stesso giornale secondo cui Mills sarebbe sotto inchiesta a Milano per l'ipotesi di essere stato "pagato per mentire".

Se questi scoop possono essere imbarazzanti per il ministro Jowell, toccata marginalmente dalla vicenda, l'imbarazzo del premier italiano dovrebbe essere ancora più forte. Secondo i magistrati, si sarebbe servito di intermediazioni fittizie per drenare profitti all'estero per 280 milioni di euro, figurando nello schema segreto di Mills come un anonimo "Mister x".

Uno dei presunti mediatori truffaldini sarebbe un certo Frank Agrama, produttore cinematografico di origini egiziane e autore di classici del trash come Queen Kong o Sesso e pazzia. Gli sforzi per occultare le prove del raggiro, sempre secondo i magistrati, avrebbero avuto anche momenti esilaranti. Di fronte alla richiesta dei pm di fornire la documentazione finanziaria al riguardo, gli uffici parigini della Mca-Universal avrebbero spiegato di averla persa "in un allagamento". Idem i rivali della Mgm, ma la colpa stavolta era del fuoco anziché dell'acqua: i documenti richiesti, infatti, erano andati distrutti in un incendio.

Ma forse è sbagliato immaginare che la pubblicazione dei risultati dell'inchiesta dei pubblici ministeri Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale possa danneggiare politicamente Berlusconi. Il centrosinistra sembra intenzionato a non parlarne, avendo già sperimentato l'effetto boomerang delle offensive politico-giudiziarie. Anzi, l'emergere delle nuove accuse può addirittura favorire il fondatore di Mediaset e Forza Italia.

Ne sembra convinto il quotidiano Libero, che ha titolato in prima pagina: "Arriva la Bomba, verso un rinvio a giudizio per Berlusconi". "L'arma giudiziaria sarà anche spuntata però è l'unica a disposizione dell'Unione", ha commentato il direttore, Vittorio Feltri. "Da dodici anni lo accusano di ogni nefandezza e non sono ancora riusciti a incastrarlo". Un altro articolo si concludeva con sondaggi rassicuranti, osservando: "Il grosso degli elettori non cambia idea per uno scoop di Repubblica sulle presunte ‘scatole cinesi' create da Mediaset per non pagare le tasse. Si indignano per altro".

È comprensibile che gli elettori italiani non vogliano prendere lezioni di voto dalla stampa straniera – The Economist docet – e nemmeno dal quotidiano la Repubblica, ma sorprende che la figura morale o il curriculum giudiziario di un leader politico sia diventato quasi un argomento tabù, un tema logorato. Ormai il fango delle inchieste giudiziarie sembra tonificante come quello di Ischia o Vulcano, rende politicamente più belli e più forti: un altro paradosso del Bel Paese.
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