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Bartolomeo Sestini - La Pia dei Tolomei

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    00 25/06/2007 12:05
    CANTO PRIMO

    Tra le foci del Tevere e dell'Arno,
    al mezzodì giace un paese guasto:
    gli antichi Etruschi un di lo coltivarno,
    e tenne imperio glorioso e vasto:
    oggi di Chiusi e Populonia indarno
    ricercheresti le ricchezze e il fasto,
    e dal mar sovra cui curvo si stende
    questo suol di Maremma il nome prende. 8

    Da un lato i lontanissimi Appennini
    veggionsi quasi immensi anfiteatri,
    e dall'altro tra i nuvoli turchini
    di San Giulian le cime e di Velatri,
    e dalla parte dei flutti marini,
    sempre di nebbia incoronati ed atri
    sembrano uscir dall'umido elemento
    i due monti del Giglio e dell'Argento. 16

    Sentier non segna quelle lande incolte,
    e lo sguardo nei lor spazi si perde:
    genti non hanno e sol mugghian per molte
    mandre quando la terra si rinverde:
    aspre macchie vi son, foreste folte
    per gli anni altere e per l'eterno verde,
    e l'alto muro delle antiche piante
    di spavento comprende il viandante. 24

    Dalla loro esce il lupo ombra malvagia
    spiando occulto ove l'armento pasca,
    il selvatico toro vi si adagia,
    e col rumore del mare in burrasca
    l'irto cinghiale dagli occhi di bragia
    lasciando il brago fa stormir la frasca,
    se la scure mai tronca gli sterpi
    suona la selva al sibilar dei serpi. 32

    Acqua stagnante in paludosi fossi,
    erba nocente che secura cresce,
    compressa fan la pigra aria di grossi
    vapor, d'onde virtù venefica esce;
    e qualor più dal sol vengon percossi
    tra gli animanti rio morbo si mesce;
    il cacciator fuggendo, dal lontano
    monte contempla il periglioso piano. 40

    Ma il montagnolo agricoltor s'invola
    da poi che ha tronca la matura spica;
    ritorna ai colli, e con la famigliuola
    spera il frutto goder di sua fatica:
    ma gonfio e smorto dall'asciutta gola
    mentre esala l'accolta aria nemica,
    muore, e piange la moglie sbigottita
    sul pan che prezzo è di si cara vita. 48

    Io stesso vidi in quella parte un lago
    impaludar di chiusa valle in fondo;
    del dì poche ore il sol vede, e l'immago
    di lui mai non riflette il flutto immondo,
    e non s'increspa mai, nè si fa vago
    allo spirar d'un venticel giocondo,
    e ancor quando su i colli il vento romba
    morte stan l'onde come in una tomba. 56

    Le rupi che coronano lo stagno
    son d'olmi vetustissimi vestute;
    crescon dove l'umor bacia il vivagno
    i sonniferi tassi e le cicute:
    talor del gregge il can fido compagno
    morì, le pestilenti acque bevute;
    e gli augei stramazzar nell'onda bruna
    traversando la livida laguna. 64

    Tempo già fu che a pié del curvo monte
    la cui falda allo stagno forma lito,
    torreggiante palagio ergea la fronte
    fin dai longinqui tempi costruito:
    fosso il cingea cui sovrastava un ponte
    mobil di bastioni ardui munito:
    così difeso il solitario tetto
    d'inespugnabil rocca avea l'aspetto. 72

    Occultando la fredda gelosia
    ond'era morso, a quel temuto ostello
    ti conducea, mal capitata Pia,
    il tuo consorte sire del castello:
    per far men grave la penosa via
    a lui volgevi il volto onesto e bello,
    trattenendol con bei ragionamenti
    che avean risposta d'interrotti accenti. 80

    Il caval, con andar soave e trito,
    Oltre la porta, e va del peso baldo:
    ella ha nell'una man flagel guernito
    d'oro, e nell'altra il fren sonante e saldo;
    cela la bianca man guanto polito
    d'una pelle color dello smeraldo,
    e l'ostro avvolge il piè che leggermente
    preme mobil d'acciar staffa lucente. 88

    Largo al turgido petto, all'anche stretto,
    col cingolo tra l'omero e l'ascella,
    affibbiato davante un corsaletto
    le fa sostegno alla persona snella:
    Trapunta a stelle di lavor perfetto
    veste al di sotto cerula gonnella;
    tale appar, di stellato azzurro velo
    cinto, il secondo luminar del cielo. 96

    Di fiorentina nobile testura
    zendado cremisin le stringe il fianco;
    in nodo si raccoglie la cintura,
    pendula cade poi sul lato manco;
    velloso pileo d'attica figura
    cui sovra ondeggia un pennoncello bianco,
    le nere chiome in parte accoglie, e in parte
    libere cader lascia all'aura sparte. 104

    Il faticoso andar per la foresta
    fa che la dolce faccia il color prende
    con che di verecondia una modesta
    donna subitamente il volto accende:
    l'acceso aspetto, il sol che la molesta,
    di sudor l'empie, e più leggiadro il rende:
    come abbella amaranto porporino
    con le rugiade un limpido mattino. 112

    Ché rose fresche, co1te in paradiso,
    son le gote, e le luci astri immortali,
    e sembra della bocca il dolce riso
    riso di nunzio che dal cielo cali;
    il labbro è smalto di rubin, diviso
    da due fila di perle orientali;
    sembra la fronte or or caduta bruma,
    e il sen di pellican candida piuma. 120

    Cosi varca costei l'ime Maremme
    qual raggio che fra i nembi il sole scocche,
    e l'erba al suo passar par che s'ingemme
    di fiori, e brami che il bel piè la tocche;
    sì vaga non mirò Gerusalemme
    Erminia cavalcar fra le sue rocche,
    né l'Ercinia mirò sì vaga in sella
    passar di Galafron la figlia bella. 128

    Danno la via meravigliati i boschi
    non usi a contemplar tanta bellezza,
    1'ora natia di quei roveti foschi
    di scherzarle fra 'l crin prende vaghezza:
    ma il venticel che vien dal mar de' Toschi
    piange inentre passando la carezza,
    quasi fosse il sospir della natura
    antiveggente la di lei sciagura. 136

    S'apron le ferree porte arrugginite
    del castel stato da molt'anni chiuso,
    però che il castellan, le imputridite
    acque schivando, avea l'albergo suso,
    ove una chiesa e molte case unite
    erano crette dei vassalli ad uso,
    del vicin monte sulle verdi spalle
    d'onde il castel si domina e la valle. 144

    Entran la bella donna e il cavaliere
    nel limitar della magion ferale;
    non travagliata da verun pensiero
    ella ricerca i vuoti atrii e le sale:
    osserva l'ampio e sinuoso ostiero
    e i nascondigli e le ritorte scale,
    d'onde si cala in cave di tenè bre
    che percorron del monte le latè bre. 152

    Vede alle mura ed alle travi appese
    armi smagliate di guerrier vetusti,
    e insegne nei civili assalti prese,
    rastrelli e sbarre d'alberghi combusti:
    legge descritte le onorate imprese
    nei piedestalli degli sculti busti;
    e il loco estranio contemplando, sente
    gioia e stupor la giovinetta mente. 160

    Era in mezzo al palagio d'echeggiante
    portico cinta spaziosa corte;
    al chiostro laterale eran davante
    spazi e colonne ottangolari e corte;
    sovr'esse d'archi un ordine pesante
    pensile sostenea muraglia forte,
    che ergeasi a fil del peristilio per li
    aerei campi sollevando i merli. 168

    Nelle quattro pareti inferiori
    del ricorrente portico sonoro
    eran dipinte a splendidi colori
    antiche istorie di sottil lavoro;
    parean le forme rilevate in fuori,
    e detto si saria: "Parlan costoro":
    e desto l'eco in quelle ereme sedi
    parea sentirne il calpestio dei piedi. 176

    Dardano quivi comparia primiero,
    e i Pelasghi il seguian col ferro in alto,
    finché, per riaver l'equin cimiero
    a lui caduto, si vedea far alto,
    e vincer l'inimico; e in quel sentiero
    ancor coverto di sanguigno smalto,
    era da lui nobil cittade cretta
    dal caduto cimier Corito detta. 184

    Poi contendea l'eredità paterna
    bel dominio di popoli felici;
    v'eran l'Erinni alla tenzon fraterna
    rigorose assistenti e instigatrici;
    e d'Asio, che le luci in ombra eterna
    chiudea, tali apparian le cicatrici,
    che appressandoti a lui creduto avresti
    che il sangue ti spruzzasse in sulle vesti. 192

    A vendicarlo poi venia per l'onde
    d'Atlante mauritan Siculo il figlio:
    parean d'armati brulicar le sponde
    brune per l'ombra di si gran naviglio,
    e Dardano fuggiasi ai monti, d'onde
    chiara in affanni, in armi ed in consiglio,
    all'Enotria natal riedea sua prole
    per domar quanta terra illustra il sole. 200

    Mesenzio de' cavalli il domatore
    potea raffigurarsi all'opre conte,
    e contro lui sulle spalmate prore
    venia fra i toschi giovani Tarconte;
    poi nel corpo del re, stranier signore,
    apria di sangue altrui succhiato un fonte,
    e il suol mordea fra l'altrui grida e il plauso,
    dolente ancor pel mal difeso Lauso. 208

    Dall'altra parte comparia Porsenna
    cingente Roma d'inimico vallo:
    sul ponte Orazio qua brandia l'antenna,
    e là Clelia affrettava il gran cavallo;
    fermo qual tronco della nera Ardenna
    Scevola all'ara, del commesso fallo
    punia la destra mal fida ministra,
    minacciando tuttor colla sinistra. 216

    Ultimo, cinto il crin di sacre foglie,
    e invaso da celeste vaticino,
    v'era, tra ricchi templi ed auree soglie
    Asila, sacerdote ed indovino;
    sollevarsi parean le sacre spoglie
    sul sen pregnante d'alito divino,
    parean cambiar le gote, e le lanose
    labbra tali predir future cose 224

    Queste spesse città, questi lucenti
    delubri, queste fertili colline,
    e queste vie di popolo frequenti,
    diverran solitudini e ruine,
    e faran guerre le future genti
    per dilatarsi nell'altrui confine;
    mentre sarà negata una colonia
    al più bel suol della ferace Ausonia. 232

    Tal era l'ammirabil magisterio,
    ed era fama che gran tempo avante
    un baron, dando ospizio a Desiderio,
    quando ivi giunse cavaliere errante,
    le prische prove del valore esperio
    vi avea fatte ritrar da un negromante,
    che con l'aita dei maestri stigi
    in una notte fe' tanti prodigi. 240

    Colta da strania meraviglia vede
    la Pia tai cose, e mentre intorno gira,
    s'arretra il guardo se va innanzi il piede,
    e finché dura il giorno attenta mira;
    quando delle crescenti ombre s'avvede
    nelle camere interne si ritira,
    ove ancor le riman molto a vedere
    allo splendor di lampade e lumiere. 248

    Intanto il suo signor con bassa testa
    di qua, di là, di su, di giù va ratto;
    or si batte la fronte ed or si arresta,
    e fissa gli occhi e par di pietra fatto,
    com'uom non uso al fallo, e che si appresta
    meditato a compir nuovo misfatto:
    ma omai la notte, il sol nel mare ascoso,
    ciascun, tranne costui, chiama al riposo. 256

    A mensa ei siede muto e turbolento;
    stagli incontro la donna, e fissa i rai
    più che nei cibi in lui, ché il turbamento
    mal celato ne ha scorto; e poi che assai
    stette in silenzio, grazioso accento
    movendo, gli dicea: - Sposo, che hai?
    - Nulla - ei rispose -, ed un amaro riso
    chiamò sul labbro, e non fe' lieto il viso. 264

    Ma poi che il castellan la mensa tolse
    e restar soli nella chiusa stanza,
    le bianche braccia al collo ella gli avvolse
    siccome avea di far sovente usanza:
    poi nelle mani sue la man gli accolse,
    e con ingenua e tenera sembianza
    la strinse e ne sperò bel cambio invano;
    qual di persona morta era la mano. 272

    Tremò, s'impallidi, ma avvalorata
    da coscienza di sentirsi pura,
    e visto che di seno avea levata
    per notarla, domestica scrittura,
    pensò che avesse l'anima agitata
    del censo avito in qualche acerba cura,
    e si scostò con femminil modestia
    onde al suo cogitar toglier molestia. 280

    Sciolse l'aurate fibbie, e delle schiette
    vesti spogliossi il colmo fianco e il seno;
    come fu tra le coltri ed ei credette
    ch'ella dormisse, sorse in un baleno,
    si mosse a lenti passi e poi ristette
    immoto, indi ai sospiri allargò il freno,
    e con fioca sclamò voce dimessa:
    - O donna a me fatale ed a te stessa, 288

    ecco il fin dei connubi inaugurati!
    Tu principio, tu fin de' miei desiri
    far potevi i miei giorni e i tuoi beati;
    or sei cagion de' miei, de' tuoi sospiri:
    per placarmi espiando i tuoi peccati
    qui muori; io fra i rimorsi ed i martiri
    morrò; vendetta avrommi e non conforto,
    ma teco starmi non poss'io che morto. 296

    Spezzati dunque, o mio vil cor, per doglia
    se non sai non amar, né di gel farte;
    ma se al disegno mio fia che tu voglia
    contrastar, di mia man saprò strapparte. -
    Disse, e a passi sospesi in ver la soglia
    giunto, si volse alla sinistra parte,
    e il guardo corse involontariamente
    sulla misera femmina giacente. 304

    In un atto soave ella dormiva
    piegata alquanto sovra il destro lato;
    fea letto al capo un braccio, e l'altro usciva
    dai lini, mollemente abbandonato;
    le inondava il crin sciolto la nativa
    neve del collo e l'omero rosato,
    e tralucea dal volto nella calma
    una tranquillità di candid'alma. 312

    Come al predone opposita procella
    vieta la fuga, a lui l'andar fu tolto;
    ed, "Oh!" tra sé sclamò "quanto sei bella!".
    E in questo dir le si appressava al volto.
    Tal forse Adamo contemplava, quella
    notte da cui fu l'error primo avvolto,
    addormentata allo splendor degli astri
    la leggiadra cagion de' suoi disastri. 320

    In estasi rimase, e già le braccia
    correano al segno ov'era la pupilla;
    correa la bocca sulla rosea traccia
    ch'era d'eterno fuoco una favilla,
    allor che scorse sulia bianca faccia,
    pari a perla eritrea, lucida stilla;
    dai propri lumi la conobbe uscita,
    avvampò di vergogna e fe' partita. 328

    Partisti, o dispietato, e ti dié il core
    d'abbandonarla, e non vedesti come
    qua e là le mani stese al nuovo albore
    per ricercarti, e ti chiamava a nome;
    nè ti trovando sorse, e in vago errore
    scorrean le vesti e le fluenti chiome:
    t'avria vinto in quell'atto mesto e vago,
    se stato fossi un'anima di drago. 336

    Cerca e richiama e niun risponder sente,
    onde si ferma e sta dubbia e pensosa;
    s'allegra alfine udendo lo stridente
    ponte che al basso calando si posa;
    ode alcuno avanzarsi, e all'imminente
    vestibul corre tutta desiosa,
    ed ecco con le salde chiavi in mano
    apparirgli a rincontro il castellano. 344

    E a lei che impaziente del marito
    chiedea, rispose, che poc'anzi al giorno
    nella selva vicina a caccia er' ito,
    e innanzi sera avria fatto ritorno;
    e come dal baron fu statuito,
    che mentre sola ivi facca soggiorno
    servitude a prestarle ei fosse intento
    in tutto ciò di ch'ella avea talento. 352

    Appagossi a quel dir la semplicetta,
    ma non raccolse l'usata quete:
    tutto quel di per casa errò soletta
    e non piangea, ma avea di pianger sete,
    pensando ch'ei la man non le avea stretta,
    nè di baci le fe' le guance liete,
    e dal letto partissi inosservato
    senza degnarla dell'amplesso usato. 360

    Come quel di fu lungo! Ombrosa uscio
    notte dal lago ed ei non fe' ritorno:
    e invano intenta ad ogni calpestio
    stette, e ad ogni romor che udia d'intorno.
    occhio giammai non chiuse; alfin aprio
    l'alba i balconi d'oriente al giorno,
    e nell'alto orizzonte il sol pervenne;
    desta trovolla e quel crudel non venne. 368

    Quel giorno intero e tutti gli altri due
    attese indarno men viva che morta;
    ma quando al quinto di venuta fue,
    e il castellano udi giunto alla porta,
    qual forsennata dalle scale giue
    corse, sciolti i capei, la faccia smorta;
    e, il vel stracciando, con grido affannoso:
    - Dove, dove - sclamava - ito è il mio sposo 376

    Così pria della sera ei dalla caccia
    riede, e mentre egli puote in quei deserti
    esser perito, e mentre il ciel minaccia
    strani accidenti, rimanete inerti?
    Ma a voi non cale; io stessa andronne in traccia,
    io cercherò le grotte e i campi aperti,
    e troverollo, o le fere che guasto
    hanno il bel corpo suo m'avranno in pasto. 384

    Così dicendo, verso la vicina
    porta correa che aperta fu pur dianzi,
    quando il rozzo scherano alla tapina,
    con mal viso e mal cor parossi innanzi:
    - Sostate, - disse - il signor qui destina,
    finch'ei non rieda, che madonna stanzi,
    e qui v'è forza dimorar solinga;
    d'uscir vana speranza vi lusinga. 397

    Raccapricciò la dolorosa moglie
    a tal dir che un abisso anzi le apria;
    e ben presaga omai che in quelle soglie
    dovea menar la vita in prigionia,
    proruppe in pianto, lacerò le spoglie,
    e di grida e di duol le vòlte empia,
    e non reggendo al duro accorgimento,
    semiviva cascò sul pavimento. 400

    E poi che in guisa tal stata fu molto,
    sul cubito levando il corpo obliquo
    restò seduta, e tra le palme il volto
    pose, muta pensando al caso iniquo;
    statua sembrar potea di marmo scolto
    entro l'ingresso d'un sepolcro antiquo,
    se non vedeasi pei sospiri il largo
    sen colmarsi e scemar com'onda al margo. 408

    Poi gli occhi alzando, anzi le chiare stelle,
    d'onde sgorgavan lagrime infinite
    già per le guance pria vermiglie e belle,
    or somiglianti a rose scolorite,
    rose non colte in lor stagion, si ch'elle
    sien sul secco cespuglio impallidite:
    - Sposo, - dicea - così mi lasci e parti,
    e imprigioni chi rea solo è d'amarti? 416

    Perché se altrui perfidia o mal concetto
    tuo dubbio avvien che me non conscia incolpe,
    contro le altrui calunnie e il tuo sospetto
    ascoltar non vorrai le mie discolpe?
    Veduto avresti almen che a torto infetto
    credi il mio sen di maritali colpe,
    e che ancor t'amo si che più mi duole
    il perder te che il non veder più il sole. 424

    E se fallanza involontaria e ignota
    alla memoria mia pur t'era grave,
    e perché simular, nè farla nota?
    Non ha amor fallo che pianto non lave,
    ed avrei pianto, ed a' tuoi piedi immota,
    forse avrei volta del tuo cuor la chiave,
    nè avrei lasciato il pianto e la preghiera,
    se rimessa da te l'onta non m'era. 432

    E largo di perdon stato saresti
    a chi segni ti dié d'amor si forte;
    e se implacabil stato fossi e ai mesti
    voti sordo e al dolor della consorte,
    o, stanco del mio talamo, m'avresti
    colle stesse tue man data la morte,
    oh quanto era per me miglior ventura
    che viva esser sepolta in queste mura! 440

    Sì disse, e a stento ove posò la notte
    tornava, e steso sopra il letto il viso,
    con voci dalle lagrime interrotte
    disse: - O vedovo letto, io fui d'avviso
    quand'ebbi pria le membra in te ridotte,
    che tu mi aprissi in terra un paradiso.
    Oh, come or sembri squallido e deserto!
    Non miro in te che il mio feretro aperto. 448

    E in te morrò ché in brevi di consunto
    sarà il mio fral da mille angosce e mille;
    nè assistenza d'amica o di congiunto
    avrà il mio corpo lagrimose stille;
    nè confidante man nel duro punto
    pietosa chiuderà le mie pupille,
    e la mia madre ignorerà qual terra
    chiede i suoi prieghi e il cener mio rinserra. 456

    E fien brevi i miei di, ché sul confine
    sentomi omai dell'ultimo passaggio,
    ma i mali col morir non avran fine,
    ché in morte ancor mi sarà fatto oltraggio:
    ahl che diranno le città vicine,
    quai non san che fallato unqua non aggio?
    Qual più resta conforto a donna grama,
    se perde oltre la vita anco la fama? 464

    Sorgea da forsennata in questo dire,
    e mordendo il lenzuol battea le piante,
    siccome ebra bassaride suol ire
    a chiome sparse sull'Ismen sonante;
    e vedeasi ai balconi ire e redire,
    forte chiamando il dispietato amante,
    e urlavan seco in flebile ululato
    le sale dell'ostello inabitato. 472

    E chi non avria pianto a quella vista?
    il castellan non già, d'una parola
    pur anco avaro, ché persona trista
    la cortesia d'un motto ancor consola;
    e l'abborrita mensa a lei provvista
    l'abbandonava in quello stato sola,
    tornando al colle a vincer le maligne
    aure col don delle volsinie vigne. 480

    E diceasi per l'umile paese
    star nel castello quella tanto chiara
    Pia, per cui fatte fur ben mille imprese
    dai cavalier che la chiedeano a gara,
    per esser bella, affabile e cortese
    sopra ogni altra curopea donna preclara;
    e che sol per mirar beltà si grande
    veniano i Proci dalle stranie bande. 488

    Dicean ch'ella de' principi stranieri
    non curando l'inchiesta, ed in non cale
    ponendo il primo fior dei cavalieri
    che per l'Italia avean fama immortale,
    ad onta del fratello, i suoi pensieri
    avea rivolti con amor leale
    a Nello che con essa in Siena crebbe
    e vinta ogni contesa a sposa ei l'ebbe. 496

    Ed or con maraviglia di ciascuno,
    che avea la cosa oscuramente intesa,
    era da lui dannata al carcer bruno
    in turpe fallo avendola sorpresa.
    Così diceasi, ed abitante alcuno
    neppur coi detti ardia farne difesa;
    sol qualche femminetta per la pieta
    le offeriva una lagrima secreta. 504

    Era nella stagion che il sole accende
    del celeste Leon le giube bionde,
    e mostra il mondo che la faccia fende
    le viscere di pioggia sitibonde,
    e sul gambo ogni fior languido pende,
    aride pendon le ingiallite fronde,
    e a stelle crudelissime in governo
    parean quelle Maremme un nuovo inferno. 512

    Signoreggiò tal anno nelle calde
    Maremme nostre inusitata arsura,
    ignee colonne fino a terra salde
    parean piover dal sole alla pianura:
    cadea il sol cinto d'infiammate falde
    predicendo peggior l'alba futura.
    Misera Pia! l'istesso cielo infausto
    parve voler tua vita in olocausto. 520

    Taccion l'opre de' campi; i villanelli
    fuggon la valle di lor vita ingorda,
    e nelle fratte appiattansi gli augelli
    cinguettando con voce incerta e sorda;
    sol la cicala in vetta agli arboscelli
    collo stridulo metro i campi assorda,
    nè contro al sole di garrir si stanca
    finché l'adamantin grido le manca. 528

    Non più scorron sonando i rivi alpestri
    nei fonti fuor delle petrose conche,
    né moto ha fronda nei gioghi silvestri,
    nè i venti osano uscir di lor spelonche;
    sol misto al leppo dei fuochi campestri
    che ardon le paglie dalle falci tronche,
    dalle roventi sabbie di Marocco
    qual vampa di vulcan soffia Scirocco. 536

    Né più la notte del suo gel con vive
    perle cadenti i campi arsi rintegra,
    nè al dolce nembo delle brine estive
    si rinfranca l'erbetta e si rallegra:
    e se dall'abbronzate infette rive
    di vapori erge il suol nuvola negra,
    nella notte invisibile ricade
    le morti a seminar non le rugiade. 544

    Il notturno squallor non interrompe
    zampogna o canto che d'amor si lagne;
    del faggio sotto le appassite pompe
    non più l'usignolin soave piagne:
    ma col continuo aspro concento rompe
    il silenzio dell'aride campagne
    trillar di grilli, gracidar di rane,
    ed ululato di ramingo cane. 552

    Quel giovin toro che i lunati corni
    baldanzoso ostentò re dell'armento,
    e aguzzandoli al cortice degli orni
    muggì sfidando alla battaglia il vento,
    fugge all'ombra il fervor dei caldi giorni,
    né più l'erba ricerca o il rio d'argento;
    e giace e inchina il capo e contro ai rari
    aliti di ponente apre le nari. 560

    Il viator sull'uscio dell'ospizio
    esce col sole, e l'orizzonte visto
    listato a strisce fiammeggianti, indizio
    di giorno del passato anco più tristo,
    non ha cuor di fidarsi a certo esizio
    nel cammin d'acque e d'alberi sprovvisto;
    e nell'albergo ove restar gli spiace
    languente e a sé gravoso pondo giace. 568

    Fra i muri del caster fatti di fuoco
    geme l'abbandonata prigioniera,
    nè conforto trovar, nè trovar loco
    può da sera al mattin, da mane a sera;
    l'intenso ardor le vieta il sonno, e poco
    è il refrigerio che dal sonno spera,
    ché qualche sogno torbido la sveglia,
    e la ricaccia in odiosa veglia. 576

    E più sembra che in lei l'ardor s'accresca,
    e il mal dell'esser sola in tai disagi,
    quando le torna a mente l'onda fresca
    di Fontebranda e di sua patria gli agi,
    e i colli che odorosa aura rinfresca,
    e le mense e le ancelle e i bei palagi,
    ove dolce menò vita serena
    in temperato clima e in terra amena. 584

    Nel maritale albergo avea trovata
    una fante vecchissima e devota,
    che degli avi di Nello al tempo nata
    di quei storia narrava a molti ignota;
    e più d'una lor colpa consumata
    in quel palagio nell'età rimota;
    e che però di quelle sedi impure
    tolto possesso avean spettri e paure. 592

    Ed aggiungea che v'erano i folletti,
    e vi solean le brutte streghe andarne,
    e succhiar dei rapiti pargoletti
    il fresco sangue ed il cervel stillarne,
    e con osceni riti i lor banchetti
    gavazzando imbandir d'umana carne,
    ed apprestarvi i filtri e le malie
    sotto le forme di rapaci arpie. 600

    Or soletta la Pia nelle riposte
    sedi, in mente volgea racconti tali;
    e comeché per mantener nascoste
    le stanze al sole e a' caldi venti australi,
    dei balconi tenea chiuse le imposte,
    cadea l'un mal fuggendo in altri mali,
    dando largo alimento al suo timore
    il buio, dei fantasmi genitore. 608

    E stesa stando sull'ingrato letto
    nasconde sotto i lin gli occhi soavi;
    e il solitario passero sul tetto
    se ascolta, o i tarli nelle vecchie travi,
    parle veder con minaccioso aspetto
    per la stanza trescar di Nello gli avi;
    si rannicchia la trepida, e dimanda
    piangendo aiuto, e a Dio si raccomanda. 616

    Così Vestale nell'avello occulto
    sotto le glebe d'infamato campo,
    impaurita dal fallace culto
    che a vivere e ad amar l'era d'inciampo,
    del fioco lume seco lei sepulto
    al moribondo scintillante lampo
    tremava, e le parea d'aver presenti
    le furie con le faci e coi serpenti. 624

    Nelle notti spiacevoli e noiose
    per l'aspra angoscia e per l'estivo ardore,
    alla fenestra traea l'affannose
    membra, onde respirar l'aura di fuore;
    e mirava la luna che le cose
    di modesto tingea dolce colore,
    e specchiando al pantan le sceme guance
    fea l'onde negre scintillanti e rance. 632

    Ed, "O luna", dicea, "consolatrice
    della miseria altrui, tu confidante,
    e compagna dell'esule infelice
    dal cielo abbandonato e dalla gente,
    dehi non calar si tosto alla pendice,
    non affrettarti verso l'occidente,
    non far che l'etra povero rimanga,
    e del tuo lume anco il difetto io pianga. 640

    E il chiaror blando che tempra il desio
    del cor gentile e di dolcezza inonda,
    liberate a me voigi, e in questo mio
    nappo di duoi stilla vitale infonda,
    e il veggente tuo raggio assista pio
    al termin di mia vita moribonda,
    e m'accompagni ove all'avello io scenda
    e al viator su quello indice splenda. 648

    E se dal tempo, come avvien talora,
    scoperto il ver sara, l'onor redento,
    verrà mio sposo in questa terra,
    allora scorgilo ove il mio fral riposi spento:
    ei ben vorrà compagna avermi ancora,
    satisfarmi vorrà col pentimento,
    ma una pietra offrirassi ai di lui sguardi,
    e dovrà pianger perché venne tardi". 656

    Per lenta febre intanto attrita ed egra
    tributava la vita al sozzo clima,
    com'uom dai mali oppresso e che si allegra
    per morte, e di campar non fa più stima;
    ed era scorsa omai l'estate inté gra,
    e d'autunno apparia la nube prima,
    che in improvvisa pioggia si risolve
    l'odor destando della spenta polve. 664

    Sorto un di ch'ella già sentia mancarsi
    e la salma restar di vita scema,
    vedendo dietro ai monti il sol calarsi
    volle seguirlo con la vista estrema;
    e ai campi e ai colli ancor di luce sparsi,
    che ogni uom, lasciando, desioso trema,
    un sospiro e un addio per dar pur anco,
    al balcon trascinò l'infermo fianco. 672


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    Rhal
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    00 25/06/2007 12:06
    CANTO SECONDO

    E alla velata vista le si offerse
    un povero eremita in riva al fosso,
    che riedea dalla questua con diverse
    vettovaglie nel zaino e un sacco indosso;
    bianca avea barba, e ciglia al suol converse,
    e dalla nuca ogni capel rimosso,
    e, su scabro baston curvo, per via
    orava mormorando: Ave Maria. 8

    Al chino tergo, all'abito, al canuto
    mento, ella riconobbe il solitario,
    e ricordossi che l'avea veduto
    fuor della cella, innanzi al santuario,
    starsi a chiedere a Dio grazie ed ajuto
    contro il nostro ingannevole avversario,
    sopra un colle, di là poco lontano,
    alquanto fuor di strada a destra mano. 16

    E dall'alto il chiamò con fievol voce
    dicendo: "Miserere, o padre santo!
    Per lo tuo Dio che morir volle in croce,
    a por mente al mio mal t'arresta alquanto
    cattiva in questo domicillo atroce
    tienmi il crudo consorte, e muoio intanto,
    e qui non ho chi l'ultime rispetti
    volontà sacre, e i miei ricordi accetti. 24

    A te dunque ricorro, e se vedrai
    a sorte un dì passar dalia tua cella
    l'uom con cui. son due mesi, ivi passai,
    della vittima sua dagli novella;
    digli qual mi vedesti, e di' che i rai
    chiusi, sposa innocente e fida ancella,
    che gli perdono i maleficii sui,
    e imploro anche da Dio perdono a lui. 32

    E per dargli contezza che morendo
    Cli resi per mal far grata mercede,
    dagli", - e l'anel dall'anular traendo,
    "dagli", seguia, "l'anel ch'ei già mi diede,
    e di' che, come questo integro rendo,
    tale a lui rendo intatta la mia fede";
    disse, e del crin reciso ad una ciocca
    aggruppato il gittò fuor della rocca. 40

    E soggiungea: "Questa troncata treccia
    pur prendi, e se pastore, o peregrine,
    o qualche messaggera villereccia,
    che ver Siena rivolga il suo cammino,
    passa dalla tua casa boschereccia,
    alla madre, che ignora il mio destino,
    inviala, e l'abbia del mio corpo invece,
    sul qual spargere il pianto a lei non lece. 48

    E sappia che, morendo, al cielo io giuro
    che al mio sposo giammai fede non ruppi,
    e le caste virtudi che mi furo
    ispirate da lei mai non corruppi;
    onde la mia memoria dall'impuro
    laccio, in che giace avvolta, disviluppi,
    e il carnefice mio sia fatto accorto
    d'aver dannata un'innocente a torto. 56

    E, ond'io mercè nell'altra vita ottenga,
    priega tu Dio, che i falli miei perdoni;
    di me, che son la Pia, ti risovvenga
    nelle quotidiane orazioni,
    e quando fia che accolta in cielo io venga,
    pregherò Dio che mai non ti abbandoni".
    Sì disse, e nel compir l'estreme note,
    con le palme asciugò l'umide gote. 64

    Tal se dal sommo d'altissimo masso
    la sima agnella, che vi è incauta ascesa,
    nel lato ov'è il burron sdrucciola al basso,
    e fra la terra e il ciel riman sospesa,
    sul caprifico o su sporgente sasso
    bela, né può salir, né far discesa;
    l'ode il pastor dall'imo, ed a mirarla
    stassi, e si duol di non poter salvarla. 72

    Alzate l'eremita avea le ciglia
    quand'ella pria la voce alzò chiamando,
    e pien d'inaspettata meraviglia,
    a mano a man la gìa raffigurando.
    Benché non fosse più fresca e vermiglia;
    un non so che di dolce e venerando
    in lei scolpito avea la doglia, senza
    involarne l'antica conoscenza. 80

    Scadute ahi! troppo le sembianze rare
    dall'esser primo, comparian qual suole
    l.'astro che opaco nel parelio appare,
    pur mostra ancor l'immagine del sole;
    o stella che scolorasi sul mare,
    se l'alba sparge i gigli e le viole,
    quando sembra restar vedovo il polo,
    e ne piange nel bosco il rusignuolo. 88

    Raccolse il vccchio la gemma, e promesse
    a lei di far quanto pregò il suo dire,
    aggiungendo che in Dio fidanza avesse,
    qual non fa eterno dei buoni il martire;
    e ancor seguia, ma l'egra più non resse,
    e venir men sentendosi e morire,
    vacillante ritrassesi: ed immoto
    ei restò contemplando il balcon vuoto. 96

    E veggendo che già sull'universo
    stendea la notte i maestosi vanni,
    fe' ritorno al tugurio, al caso avverso
    di lei pensando, e ai non mertati affanni.
    L'altro dì sorse, ed egli a Dio converso
    pregollo a ristorar del giusto i danni,
    dandogli Iume onde prestare aita
    a lei, pria che dovesse uscir di vita. 104

    Sorgea su bel declivio in piaggia molle
    edificato l'abituro agreste;
    eran di pietra i muri, erbose zolle
    copriano il tetto e tavole conteste
    di dietro ad esso rivestiano il colle
    intricate e densissime foreste,
    e il bianco ostello su quel fondo nero
    chiaro apparia da lunge al passaggero. 112

    Un picciol orticello era alla destra
    distinto in bei riquadri a più filari,
    e in quello difendea siepe silvestra
    i frutti più alla vita necessari
    qui l'eremita avea da fonte alpestra
    derivati gli umor nutrenti e chiari,
    e dell'ore del di, fatto bifolco,
    quel che all'altar togliea donava al solco. 120

    Era a sinistra un prato, e piante folte
    gli fean ombrella e circolar serrame;
    l'avea piantate ei stesso, e venti volte
    le avea vedute rinnovar le rame.
    Era in mezzo un altare, e di sepolte
    creature l'ornava il nudo ossame;
    Eravi sopra un cranio, ed incrociati
    eran femori e stinchi in tutti i lati. 128

    Qui il fraticel, di quel che fare in forse.
    Rimase salmeggiando infino a sera,
    quando nel piano un cavaliere scorse
    che galoppando in riva alla riviera,
    dirittamente a quella volta corse
    cercando asilo incontro alla bufera,
    che parea minacciar pioggie dirotte,
    già cominciando ad oscurar la notte. 136

    In quel tempo i villan spesso vedìeno
    quest'uom d'aspetto torbido e diverso,
    dall'arcione al caval lentando il freno
    della boscaglia correre a traverso.
    Anelante il cavallo ha il tergo e il seno
    di larghe strisce di sudore asperso,
    e sempre che lo spron sente alla pancia
    come locusta celere si slancia. 144

    Mena le zampe impetuose innanti,
    e divorar le vie sembra nel corso;
    scherzan sulla cervice i crin volanti,
    e balzan flagellando il largo dorso;
    fumo esalan le nari e le tremanti
    fibre, e di calde spume inonda il morso;
    s'alza la polve e in densa nube il serra,
    e sotto al calpestio trema la terra. 152

    Giunto sul monte d'onde i flutti sozzi
    scopriansi, e del palagio i grigi fianchi,
    frenava a un tratto il corridore, e mozzi
    detti gli uscian da' labbri asciutti e bianchi;
    e tra i fremiti orrendi e tra i singhiozzi
    gli occhi aggrottati e già dal pianger stanchi
    truci rotava, e sull'ostello tetro
    teneali fitti, e rifuggiasi a retro. 160

    E già correa precipitoso al chino
    in balia del destrier tra gorghi e massi;
    davano l'erbe a lui vitto ferino,
    e tetto erangli i rami e letto i sassi:
    lo additava tremante il pellegrino,
    ver l'abitato accelerando i passi,
    e fu creduto in tal secol ferrigno
    di quei boschi lo spirito maligno. 168

    Ringraziò il frate la pieta celeste
    Come dappresso in lui lo sguardo intese,
    Ché al torvo sguardo, al viso ed alla veste
    quei della Pia lo sposo esser comprese:
    gli si fe' innanzi, e d'accoglienze oneste,
    fattolo dismontar, gli fu cortese;
    il suo ronzin prima al coperto addusse,
    poi nel rustico albergo lo introdusse; 176

    E mentre più si fea la pioggia intensa,
    e nero e spaventoso il ciel notturno,
    l'ospite siede, e per la doglia immensa
    china sul petto il volto taciturno,
    e il vecchio diessi ad apprestar la mensa
    Coi cibi, frutto del lavor diurno,
    e della cella nel più atto loco
    di preparate legna accese un foco. 184

    Arde il giovine crin d'arbori cionchi,
    e in sospeso lebete urta la vampa,
    e aperta sotto a quel coi corni adonchi
    l'abbraccia mormorando, e in su divampa:
    stridon fra i lari i crepitanti tronchi,
    e abbagliante splendor la cella stampa,
    e fa scoprir sulle pareti umili,
    croci, figure e rustici utensili. 192

    Poi che il cotto legume e il cereale
    pasto venne sul desco, e d'acqua il vase,
    e ognun la man vi stese, e il naturale
    d'esca e bevanda amor spento rimase,
    disse il vecchio: - Ancor notte alta non sale,
    n'e il sonno ancor le nostre membra invase,
    onde narrar ti vo', se alla memoria
    ben mi ritorna, una leggiadra istoria. 200

    Su quella via che mena al mar, dov'oggi
    passasti qui venendo in piaggia aprica,
    che giace all'ombra di due verdi poggi
    son le reliquie d'una torre antica;
    ramarri e gufi or v'han comodi alloggi
    fra l'edre brune e la pungente ortica,
    e nell'etadi che già fèr passaggio,
    alloggiamento fu d'un uom selvaggio. 208

    Vivea di caccia e sol prendea diletto,
    mansuefatta l'anima proterva,
    nel posseder doppio tesoro eletto,
    un cristallino fonte ed una cerva:
    vincea il primo in beltà qual mai più schietto
    fonte in porfidi sculti si conserva,
    né forse fu sì bella la fontana
    che finsero gli Achei sacra a Diana. 216

    Dall'ampia volta d'incavata roccia
    scabra di spume e gruppi cristallini,
    cadea l'onda suonante a goccia a goccia
    nei nativi ricetti alabastrini,
    e raccolta in profonda erbosa doccia
    sotto l'ombra dei platani e dei pini,
    tacita e bruna susurrando giva
    a nutrir l'erbe e ad infrescar la riva. 224

    N'era geloso, e non soffria che armenti
    vi appressasser le labbia, o viatori;
    ed or godea coi derivati argenti
    del giardino innaffiar gli arbusti e i fiori;
    or della calda estate ai dì cocenti
    ristorarsi, bevendo i freschi umori;
    or dalla caccia reduce, l'immonda
    sudata polve deponea nell'onda. 232

    Domestica cotanto era la belva,
    Che dalla man di lui prendea pastura,
    e dove ogni altra timida s'inselva
    seco ella stava ad abitar secura;
    scorrea nel di per la vicina selva,
    tornando al chiuso quando il ciel s'oscura,
    e godea, colla fronte alta e superba
    di fiori adorna, carolar su l'erba. 240

    Di corallo parean due rami grossi
    non anco usciti dalla man del mastro,
    del vigilante capo i lucidi ossi;
    ed era bianco il pel come alabastro,
    tranne gli snelli piedi alquanto rossi,
    e il collo che cingea ceruleo nastro,
    ov'era scritto negli estremi fiocchi:
    son sacra al mio signor, nessun mi tocchi. 248

    Un di, che stanco a togliersi l'usbergo
    d'aspro cuoio, e a depor l'asta e la daga
    riedea con molte prede appeso al tergo,
    vide la belva mansueta e vaga
    Accosciata anelar fuor dell'albergo
    per sanguigna nel più recente piaga,
    e vide a un tempo intorbidato e brutto
    per lorda tabe del bel rivo il flutto. 256

    Ed ecco un cacciator che sovraggiunge,
    mentre il suo danno addolorato guarda,
    un cacciator che albergo avea non lunge,
    d'invida mente e d'anima bugiarda:
    gran serpe che sè slunga e sè raggiunge,
    che fischia, e par che i fior con l'alito arda,
    dice che visto avea sbucar dal bosco,
    turbar la fonte, e vomitarvi il tosco; 264

    e che veduto avea dalla montagna
    scender correndo sull'arsiccia sabbia
    una bramosa attenuata cagna
    fatta tremenda per morbosa rabbia,
    e la cerva inseguir nella campagna,
    giungerla, e in essa insanguinar le labbia,
    onde la belva per li morsi ch'ebbe,
    colto il contagio, in rabbia ita sarebbe. 272

    Crede l'incauto, e accendesi di sdegno,
    e che la fera in rabbia monti ha tema,.
    dà mano a un'asta, e va senza ritegno
    Sopra la imbelle con ferocia estrema;
    ella non fugge, ed all'amico indegno
    volge supplici sguardi, e geme e trema:
    l'atterra ed ella le sanguigne gambe
    dell'ingrato uccisor morendo lambe. 280

    Al fonte, che credea di velen carco,
    sterpò col ferro le selvose scene,
    l'antro percosse, e ruinar fe' l'arco,
    e fur sepolte le sorgenti amene,
    che trovando all'uscir niegato il varco,
    tornar neglette alle nascoste vene;
    cosi il bel rivo violato giacque,
    e fuor più mai non trapelar quell'acque. 288

    Poiché solo trovossi, e irrigar l'arse
    semente al fonte più non fu concesso,
    che mancar le ricolte, e ricovrarse
    non poté nell'ombrifero recesso,
    aperto il suo gran danno li comparse;
    Tardi s'avvide dell'error commesso,
    e si gli venne in odio quel soggiorno,
    ch'indi partissi, e più non fe' ritorno. 296

    E ben fu saggio a non tornar dappoi.
    Oh quanto affanno riserbato gli era
    se udito avesse, come udimmo noi,
    che a torto fe' morir l'innocua fera,
    e il fonte ruppe, e ancise gli arbor suoi!
    Ché il cacciator con lingua menzognera
    avea tessuto l'inganno esecrando,
    possesso si gentil gl'invidiando". 304

    Con questo di parabole apparecchio
    il frate tentò l'ospite e il compunse:
    a capo basso ei gli avea dato orecchio;
    ma quando dell'istoria al termin giunse,
    levò la faccia, e guardò fiso il vecchio,
    che commosso scorgendolo, soggiunse:
    "Questa gemma alla cerva ornava il collo",
    e l'anel della Pia tolse e mostrollo. 312

    Nello il vide, il conobbe, e si riscosse,
    e dove, e quando, volea dir, l'avesti?
    E come s'ei sognante egro si fosse,
    cui fantasma letal si manifesti,
    che a lui, qual per gridar fa tutte posse,
    par che stringa la gola e il fiato arresti,
    rimase inerte, e la man che già stesa
    avea per torlo, gli restò sospesa. 320

    Ma l'altro il tempo colse, e a narrar prese
    come egli vide a mal termine giunta
    la relegata donna, e fe' palese
    l'ambasceria che da lei fugli ingiunta,
    e che se pronto a riparar l'offese
    non accorrea, la troveria defunta,
    e aggiunse ch'ei presentimento avea
    quasi divin, ch'ella non fosse rea. 328

    Che oltre all'esser villania e bassa
    Cosa l'imprigionar bella consorte,
    era empietà ch'ogni misura passa
    sol per sospetti il darla a certa morte;
    che se Dio l'innocente perir lassa,
    gli dà compenso nell'empirea corte;
    ma il di lui sangue, che vendetta grida,
    fa sempre ricader su l'omicida, 336

    ond'ei temesse dell'Eterno l'ira,
    se all'innocente fea soffrir tal onta!
    E quel verme che l'animo martira,
    onde il commesso maleficio sconta.
    Con tal dir, qual se l'austro estivo spira
    la neve a scior che brumal vento ammonta,
    il ghiaccio che cingea quel petto infranse,
    e al finir del sermon l'ospite pianse. 344

    Ed: "O padre" dicea, "sa il ciel se mi ange
    lo stato di colei che uccido ed amo;
    ma l'onor mio che maculato piange
    mi vieta salvar lei, che salva bramo.
    Crudel m'appella, e fa, se il puoi, ch'io cange
    consiglio, ond'ella viva, io sia men gramo;
    ciò desio, quanto duolmi che tu dica
    ch'io non sia giusto e ch'ella sia pudica. 352

    Creder nol posso io già, che dell'opposto
    ho contezza, e questi occhi il sanno a prova
    mi odi, e linguaggio cangerai ben tosto;
    pubblico fallo mascherar che giova?
    Tu che nei boschi agli uomini nascosto
    sol prendi cura della vita nuova,
    udito forse non avrai che volle
    Iddio sconfitto il nostro campo a Colle. 360


    Tu dei saper che al mal governo tolti,
    che orbò cotanti cittadini lari,
    pochi e a mal termin rimanemmo, e volti
    fummo di fuga vil nei passi amari,
    e il terror ne incalzò finché raccolti
    della città non fummo entro ai ripari.
    Quivi io credea dal mio dolce tesauro
    di tanti mali in parte aver restauro. 368

    Ma quanto falla chi si persuase
    nella certezza dello ben futuro!
    provvidi, pria d'andarne alle mie case,
    Che fosse la natia terra in sicuro,
    e poiché queta la città rimase
    sotto lo schermo del munito muro,
    mossi verso l'albergo, allor che tace
    Ogn'opra, e il mondo si compone in pace. 376

    E giunto al limitar, Ghino, un amico
    usato in mia magion, venirne veggio;
    l'abbraccio, memor dell'affetto antico,
    e della Pia novella gli richieggio;
    ed ei risponde: - A te dorrà s'io dico,
    ma l'amistade è tal che dire io deggio.
    Sappi che tua mogliera, il primo laccio
    macchiando, altrui di furto accoglie in braccio.384

    Pensa qual penosa ira, e qual vergogna
    mi prese, ma il tenor di quegli accenti
    parvemi aver tal faccia di menzogna,
    che ardito dissi: "Per la gola menti"
    ed a rincontro ei fattami rampogna
    d'ingiuriar chi svela i tradimenti,
    s'offerse di mostrar pria che dall'orto
    sorgesse il sol, che m'era fatto torto. 392

    Col viso smorto, e il tremito ai ginocchi,
    con bocca amara, e con parlare incerto
    rispondo, che se porre innanzi agli occhi
    mi saprà della sposa il frodo aperto,
    non sol l'amistà sua farà ch'io tocchi
    con man, ma sempre glie ne avrò buon merto:
    e più dicea, ma fe' restarmi a mezzo
    quasi di febbre un gelido ribrezzo. 400

    Vietò ch'io gissi nell'albergo infido,
    ove niun m'attendea, fino al mattino,
    nella contrada essendo corso il grido,
    ch'io fossi ito a spiar l'oste vicino;
    e mi appostò d'un suo parente fido
    nella magion rimpetto al mio giardino,
    il qual risponde in segregata strada,
    ove la notte alcun raro è che vada. 408


    Qui stando ad aspettar che l'ora giugna,
    che del mio danno testimon mi renda,
    dico fra me: "Va dunque in guerra, e pugna,
    e spargi sangue, e mena vita orrenda
    per tor le spose del nemico all'ugna,
    onde ei la fama lor non vilipenda:
    se turpe offesa ed abominio immenso
    delle fatiche è il frutto ed il compenso. 416

    Oh beati color che d'onorate
    Piaghe coperti cader vidi estinti!
    Quant'era meglio l'ossa aver lasciate
    fra l'ossa dei fratei morti e non vinti,
    che tornar soli alla natia cittate,
    e in ella i volti di terror dipinti
    non poter serenar narrando i casi
    di quei che alla campagna eran rimasi! 424

    Oh quanto meglio era per me se avessi
    chiuse le luci tra i fratelli miei,
    onde vivo a mio scorno non dovessi
    veder tra poco l'empietà di lei!...
    Questo io volgea tra sospir tronchi e spessi,
    e quasi di dolor morto sarei,
    se di speranza una lontana stella
    non mi reggea nella crudel procella. 432

    Giunta la mezzanotte, odo repente
    un rumor di persona che s'avanza:
    tosto da quella parte pongo mente,
    e apparir veggio un lume in lontananza,
    che fa gran tratto della via lucente,
    e d'un uom mi discopre la sembianza,
    che il porta in cavo vetro, ed è ravvolto
    nel mantel fino alla metà del volto. 440

    Del giardin giunto all'entrata, in disparte
    si alluoga, e fa dei convenuti segni;
    allor dal mio palagio alcun si parte,
    e fra l'ombra sui fior di brina pregni,
    vien pel vial frondoso a quella parte;
    Qui del ferreo cancel volge gli ordegni,
    e lo spalanca; rigido stridore
    dai cardini esce, e mi dilania il core. 448

    Ma il buio ancor non fa ch'io ben discerna
    chi sia; sol biancheggiar vedo una gonna;
    ma ratto salta nella parte interna
    quel che fuor s'addossava a una colonna,
    ed alzando la splendida lanterna
    fa il volto rischiarar delta mia donna;
    la riconosco, e d'ambo scorgo il doppio
    amplesso, e fin de' baci odo lo scoppio. 456

    Arsi a tal vista, e la man corse all'armi,
    e per essi assalir la strada io presi;
    ma Ghino mi trattenne e fe' restarmi,
    e il potea far, però che quando io chiesi
    di veder l'opra iniqua, ei fe' giurarmi
    che non li avrei per conto alcuno offesi,
    e che alla Pia non avrei fatto motto
    di quanto egli a mirar m'avea condotto. 464

    Ma non di proferito giuramento
    religion temuta mi trattenne;
    forse lo sdegno, ch'ogni sentimento
    mi vinse, inerme il mio voler contenne,
    e si mi conturbò, che in quel momento
    non so dell'infedel coppia che avvenne,
    e quando poi d'essi spiar nel bruno
    aere volli, più non v'era alcuno. 472

    Di più non sopravvivere all'ingrata
    ingiuria fo proposito, e mi accingo
    a ritornar nel campo, disperata
    morte cercando in glorioso arringo;
    e per chieder licenza, onde a giornata
    venir di nuovo, i passi incerti spingo
    ove i padri a consiglio tuttavia
    eran nell'aula della signoria; 480

    E giunto della piazza in sul principio,
    della piazza che al suol cavo si adegua,
    partir veggio i senior del municipio,
    e un corrier che inviato si dilegua.
    Salgo a palazzo, e ascolto da un mancipio,
    che nella notte istessa avean la tregua
    pattuita con l'oste, e tolto il mezzo
    m'è di vender la vita a nobil prezzo. 488

    Quest'intoppo mi fe' cambiar consiglio,
    e un gel mi serpeggiò per le midolle;
    l'impeto cessa, e penso che m'appiglio
    a compier opra mal accorta e folle:
    quasi dell'error mio mi meraviglio,
    che se un giuro punirla appien mi tolle,
    e lecito non è che omai l'uccida,
    posso almen far che del mio mal non rida, 496

    Deliberato di mostrar fierezza,
    quanto ogni gran nemico di pietate
    di quel rigor, che gli altrui danni sprezza.
    Revocato da me sol nelle armate,
    armo l'anima amante, e non avvezza
    a resistere incontro alla beltatel
    e infiessibil già fatto, in fronte accolgo
    ritrosa calma, e alla magion mi volgo. 504

    Ma il crederesti? oh spirito mendace
    del sesso femminil che l'uomo inganna!
    Nel talamo entro, ove ognun dorme e tace.
    la Pia sol odo, e il mio tardar l'affanna;
    sorge, me visto, e in lagrime si sface,
    e la soverchia assenza mia condanna.
    Mentiti intanto abbracciamenti io prendo
    simulando, e mentiti altri ne rendo. 512

    E chi potria ridir come compose
    e lusinghe, e melate parolette;
    come narrò il dolor delle affannose
    notti, in cui sola da me lungi stette!
    Chi non avrebbe in ascoltar tai cose
    fatte in un punto sol mille vendette?
    Pur la vita non tolsi alla ribalda,
    e non sapea d'aver virtù si salda. 520

    Allora isveglio la famiglia, e dico
    che mi sieno allestiti due cavalli,
    ché mentre poste l'armi ha l'inimico,
    a tor nuovi sussidii e armar vassalli
    con la Pia deggio andarne al nostro antico
    castel, che dell'Etruria è nelle valli:
    ella mi ascolta, e con sereno aspetto
    mostra del voler mio far suo diletto. 528

    Partiam soletti, e lungo il campo ostile
    sotto l'ombra passiam dei padiglioni;
    risuona il vallo di lavor fabrile,
    e d'altri mille bellicosi suoni;
    Là si fan torneamenti, e qua le file
    s'addestran de' cavalli e de' pedoni,
    e recano le carra ed i giumenti
    viveri ai numerosi alloggiamenti. 536

    E chi delle venute vettovaglie
    sulla verdura appresta le vivande;
    chi fa trabacche, e chi l'aduste paglie,
    per giacersi all'asciutto, in terra spande;
    chi rivede cimier, chi aggiusta maglie,
    chi fa la sentinella in sulle bande;
    scorron per tutto i duci, e il campo ferve
    al moto delle belliche caterve. 544

    Quanto guerriero popolo! che fiore
    di gioventù, che valorosa gente!
    Questi soli potean del Redentore
    ritor la tomba ai re dell'Oriente
    ma per fato l'italico valore
    solo in pugna civil splende al presente.
    Se ne vien questo dalle proprie mani,
    perché lagnarsi degli assalti estrani? 552

    Oltre passando, valichiam le scarse
    dell'umil Tressa limpidissim'onde;
    da lunge Radicofani comparse
    coi balzi d'erbe poveri e di fronde;
    e verso le sue rocce acute ed arse
    vedemmo spiagge di viti feconde:
    in mezzo ad esse il verde monte siede
    a cui la fata Alcina il nome diede. 560

    Le ville dal pinifero arboscello
    dette, perdiam di vista andando al basso.
    ecco di Macereto il ponticello,
    che unisce sulla Marsa il rotto masso:
    questa è la Farma, lucido ruscello,
    che torto va con strepitoso passo;
    ecco il torbido Ombron, che mal si varca;
    qui ristorati traghettiam la barca. 568

    E il dì già del meriggio i segni ha scorsi,
    e ancora al destro ed al mancino lato
    l'ispido monte appar nido degli orsi,
    e quel dal sasso inferior nomato;
    qui le rovine di Soana scorsi,
    e più lontan Grosseto spopolato
    nei campi inospitali ed insalubri,
    di nottole ricetto e di colubri. 576

    E mentre cala il sol, caliamo a valle,
    e cavalcando verso la marina,
    di Santa Fiora a noi resta alle spalle
    la gran montagna che col ciel confina;
    giunti al più largo e riposato calle,
    inattesa su noi notte declina,
    e son costretto di pigliare alloggio
    in un povero albergo a piè di un poggio. 584

    E come era ristretto il loco molto,
    sendovi un letto sol pei passeggeri,
    fui con la Pia dal letto stesso accolto,
    e quivi amor mi vinse di leggieri;
    fuor di me le baciai più volte il volto,
    e al petto me la strinsi volentieri;
    e per poco scordai la sua mancanza,
    e fu per vacillar la mia costanza. 592

    E mentre mi abbandono ai dolci amplessi,
    e ad un diletto che sarà l'estremo,
    del giardino i colpevoli recessi
    tornanmi a mente, onde mi scuoto e fremo,
    e quasi fra le braccia un serpe avessi,
    mi si drizzan le chiome, e di me temo;
    balzo in terra, e com'uom dal mar scampato,
    mi volgo al letto insidioso, e guato. 600

    Con mendicate scuse persuado
    colei che cede alla stanchezza e dorme,
    e quel loco ove già fui mio malgrado
    per cader, mi spaventa in mille forme;
    e impetuosamente fuggo, e vado
    a cielo aperto sopra l'erbe a porme,
    e sto vegliando tra la densa frasca
    ad aspettar che il nuovo dì rinasca. 608

    E volgo i fianchi, e pianger tento, e schermi
    non trovo incontro all'indefesso affanno;
    cerco illudermi, e penso che può avermi
    fatto l'aere scuro, o Ghino, inganno;
    ma invan consiglia il cor, gli occhi son fermi
    a far testimonianza del mio danno.
    Tumultua il sangue, e tra di me con balba
    bocca parlo, e non dormo, e giunge l'alba. 616

    E la Pia desto, e col favor del nuovo
    giorno al castel giungiam; surte che sono
    l'ombre, opportuno all'opra il tempo trovo,
    e ignara mentre dorme l'abbandono.
    Lascio in custodia il castellano, e movo
    per far ritorno onde partito sono;
    ma fuggo invan la cura, ch'or m'intoppa
    davante, or del caval la sento in groppa. 624

    E sì com'era di me stesso uscito,
    uscii di strada, e da una forza ascosta
    fui costretto a vagar pel vicin lito,
    pria di ridurmi alla paterna costa:
    sempre vita peggior trassi, e infinito
    duolo il punirla anche a ragion mi costa;
    ed or mi è dolce, bench'io rea la creda,
    trovar chi per lei grazia intercede. 632

    Qui tace, e sembra che argomenti chieggia
    dall'altrui carità, dalla dottrina,
    che sian sproni al suo spirito, che ondeggia,
    e per sè stesso al perdonar s'inchina;
    gli par che al mal di lei modo por deggia,
    tanto il misero amò quella tapina,
    tanto sui bassi affetti avvien che s'erga
    amor, se è grande, e in cor gentile alberga. 640

    Pensando il frate stettesi alcun poco
    sull'umana miseria, e volti ai cieli
    gli occhi, e tratto un sospir, da chiuso loco
    fuori il libro traea degli Evangeli;
    l'aperse investigando. e aggiunti al foco
    molti d'irsute ariste aridi steli,
    l'espose al Iume della vampa, e in basso,
    poiché il ciglio aguzzò, lesse tal passo. 648

    Era scritto in latin, perché la Chiesa
    cattolica santissima di Roma,
    onde di Cristo la parola offesa
    non fosse col mutar dell'idioma,
    divieto fea ch'ella non fosse resa
    nella favella, che vulgar si noma,
    favella che del Lazio al tronco inserta,
    fea risuonar l'Italia ancor deserta; 656

    E il placid'Arno del sermon canoro
    il primo fior nutria tra i propri gigli,
    e superbo volgendo arene d'oro,
    sentia la gloria dei futuri figli.
    Oggi a matrona, il cui primier decoro
    disparve e la beltà, par che somigli
    costei, che ricca e bella ancor fanciulla,
    allattò mille cigni in aurea culla. 664

    Né solo allor fioria, perch'e presente
    la madre avesse non ben anco estinta,
    o perché fatta di straniera gente
    druda non era, o dall'usanza vinta,
    ma perché allor degli uomini la mente
    era alte cose a concepire accinta,
    né v'eran quei che sull'ingiusta lance
    fanno alle cose prevaler le ciance. 672

    Ma ritornando ad ordinar la tela
    del mio racconto abbandonato, dico,
    che ancor vivea di Tullio la loquela,
    benché non schietta come al tempo antico,
    e ogn'uom di non mendica parentela,
    e non affatto del saper nemico,
    l'avea familiar cosi, che il testo
    fu inteso, e acconcio al nostro eloquio è questo: 680

    "E a Gesù volto al tempio, i Farisei
    e gli Scribi un'adultera mostraro;
    e ponendola in mezzo: Or or costei
    in adulterio colta fu, sclamaro;
    or le mosaiche leggi a noi Giudei
    che si lapidin queste comandaro;
    e seguian per tentarlo, e corre il destro
    di fargli accusa: Che ne di', Maestro? 688

    Cosi tendevan al divin figliuolo
    con tai dimande insidia manifesto;
    ma col dito scrivendo egli nel suolo,
    in giù mirava, e propendea la testa:
    e sorgendo dipoi, disse allo stuolo,
    che pertinace ripetea l'inchiesta:
    chi senza pecca fra di voi si stima,
    scagli contro costei la pietra prima. 696

    E di nuovo chinandosi, col dito
    sulla terra scrivea; ma partian quegli,
    che di Cristo il responso aveano udito,
    ad uno ad uno, e precedeano i vegli:
    restar Cristo e la donna, e in piè salito,
    a lei che in mezzo stava ancor, diss'elli
    la gente che t'accusa or dov'è ita?
    Nessun la tua condanna ha proferita? 704

    Ed ella, Niun, rispose, o Signor mio;
    né avrai da me condanna, il Signor disse;
    Più non peccare, e vattene con Dio.
    Tal era il passo che Giovanni scrisse,
    e qual padre che assolve il figliuol rio,
    membrando quanto in terra un Dio patisse
    pei figli rei cui volentier perdona,
    nello a quella lettura ascolto dona. 712

    Ma d'abbagliante luce ecco un torrente,
    scoppia un gran tuon, che altissimo rimbomba,
    par che le sfere squarci lo stridente
    folgor, che d'alto strepitando piomba:
    i mari e i monti echeggian cupamente,
    l'aere rintrona una continua romba,
    rimugghia il turbo, e schianta alberi e fronde,
    e in grandinosa pioggia il ciel si fonde. 720

    Crolla il vento la cella, il gel suonante
    batte e rimbalza a nembi in sul cacume;
    cader si senton le tegole infrante,
    e già dal tetto gronda d'acqua un fiume;
    sorgendo il fraticel tutto tremante,
    a cui di man caduto era il volume,
    "Oh qual notte!" sclamò; "forse iracondo
    pei nostri falli Iddio subissa il mondo?" 728

    E intuona le letane, e ogni Beato
    chiama, e l'altro risponde: "Ora per noi";
    Poi dice: "Da ogni mal, da ogni peccato";
    l'altro segue: "Signor, libera noi";
    poi propizio dall'un fu Dio chiamato,
    e replicava l'altro: "Esaudi noi";
    e quando furo al fin delle preghiere,
    "Di noi", dissero entrambi, "miserere". 736

    Al cessar delle preci par che allente
    il temporal, né il turbine più nuoce;
    ma dal bosco vicin venir si sente
    un ululato di belva feroce,
    e un nitrir di cavallo, e una dolente
    flebil ne vien sull'aure umana voce;
    l'animoso guerrier, di dare aita
    altrui bramoso, balza in sull'uscita. 744

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    Rhal
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    Zeus/Ade
    00 25/06/2007 12:07
    CANTO TERZO

    E colla spada in man, donde proviene
    li suon s'avanza, ed un cavallo mira,
    che legato ad un pin le redin tiene,
    e ringhia, e soffia, e scalcia, e in volta gira.
    Dell'albero la scorza a romper viene
    la soga, che il caval di forza tira;
    quel sibila, vacilla, il crin commove,
    e un diluvio di stille al terren piove. 8

    Un lupo intorno gli volteggia, e tenta
    sulla schiena di lui saltar di furto;
    il guerrier fulminando a quel s'avventa,
    l'impiaga, e a terra il fa cader d'un urto
    la man nel manto avvolta gli presenta,
    quand'ei di nuovo furibondo è surto,
    e come il lupo addosso gli si serra,
    l'inutil ferro cader lascia a terra. 16

    La man che il lupo addenta ei spinge, e ingozza
    nelle rabbiose canne, e in stretta zuffa
    viene alle prese, e la pilosa strozza
    con l'altra man tenacemente acciuffa,
    e al suol lo ficca coi ginocchi: mozza
    la vita ei sente, e si dibatte e sbuffa,
    travolve gli occhi, e tesi i piè distende,
    e molto del terren, morto, comprende. 24

    Ma intanto l'eremita, che più tardo
    venia, fosse l'etade o la paura,
    s'era rivolto ove ognor più gagliardo
    sentia il gemito uman per l'ombra oscura;
    de' lampi al lume gli si offerse al guardo
    stesa d'alcun nel fango la figura,
    che se fosse uom non era manifesto,
    tanto era concio in modo disonesto. 32

    L'anacoreta e il difensore invitto
    accorso, nella cella trasportaro
    sulle pietose braccia il derelitto,
    e sulla lunga scranna il collocaro.
    Ma oh quanto il cavalier divenne afflitto
    quando del foco allo splendor mal chiaro,
    riconobbe esser Ghin, benché di sangue
    e di loto coperto, e quasi esangue! 40

    E Ghino pur lui riconobbe, e mentre
    vergognoso del suo strazio nefando
    le minugie premea sorte dal ventre,
    gli altri scarnati membri invan celando
    "Convien", diceagli, "omai che in te rientre,
    ché amar più non mi puoi; commiserando
    deh non andar le mie mertate sorti,
    ché al giudicio di Dio passion porti! 48

    lo ti cercava, e non mi cal ch'io mora,
    se ti ritrovo, mentre mi rimane
    tanto spazio di vita, e tempo ancora
    per dirti cose che ti sono arcane.
    Sappi, che mentre tu festi dimora
    dalla patria lontan, fiamme profane
    mi arser per la tua Pia, né il labbro tacque
    da lei ne fui represso, e ciò mi spiacque. 56

    E di vendetta nel desire acerbo
    tutto l'amor che le portai conversi
    appo la rotta il primo dì, per verbo
    di un comperato messo, discopersi
    che con false divise a gran riserbo,
    misto ai fuggiaschi, che riedean dispersi,
    s'era introdotto nella nostra terra
    il fratel della Pia, che a noi fa guerra. 64

    E ascoso presso un terrazzan, sapere
    avea fatto a colei, che per mirarla
    anco una volta, a rischio di cadere
    in man d'altrui, venuto era a trovarla;
    e che la notte istessa ei fea pensiere
    di venir nel giardino a visitarla;
    che di te non temesse, essendo in cura
    quella notte del campo e delle mura. 72

    Quell'innocente trarna in quale aspetto
    colorassi, tu il sai, tanto che al fine,
    quando il disegno lor venne ad effetto,
    un dolor ti recai senza confine:
    e com'ella per se nulla avria detto,
    le cognatizie attese ire intestine,
    te pure a tacer strinsi, onde a vicenda
    non vi svelassi la mia tela orrenda. 80

    Partisti tu, ma tosto giunge in Siena
    fama ch'era la Pia là prigioniera
    ove tanta malizia l'aer mena,
    che in breve vinta avria l'ultima sera.
    Allor mi corse il fiel per ogni vena,
    e m'assalse il rimorso in tal maniera,
    che a chieder pace in supplicanti note
    pentito corsi a' piè d'un sacerdote. 88

    Quale ordinommi sotto pene tali
    da far temenza a un petto di metallo,
    di venir di te in traccia, e girne in quali
    lochi tu fossi, e non porvi intervallo,
    per risarcir la Pia dai duri mali
    che fruttar le potea l'apposto fallo;
    e il fei; ma Dio mi ha tratto al passo estremo,
    onde che sia tardo il rimedio or temo. 96

    Che forse avrà colei pagato il fio,
    d'un error non commesso, in carcer cupo.
    Or ben mi sta, se gastigommi Iddio
    entro le zanne del vorace lupo;
    ché quando il nembo fuggir volli, e il mio
    destrier legato, entrai sotto al dirupo,
    quatto ei giacea nel mal capace speco,
    e venni per mio danno in lotta seco. 104

    Or voi che adesso giunti a mirar siete
    l'esizio miserabile d'un empio,
    ad esser pii nel mondo apprenderete
    da questo di giustizia austero esempio".
    Qui le pallide guance a lui fur chete,
    e più non resse al sopportato scempio,
    e il vecchio pio raccomandò all'Eterno
    l'anima che aspettata era all'inferno. 112

    Qual consiglio, qual cor, Nello, fu il tuo,
    ascoltando esser casta la consorte?
    che anco rea la stimando, dal mal suo
    commosso, già sottrar pensavi a morte?
    Mirar l'estinto veggioti, e in tra duo
    restar pensoso, e poi sospirar forte.
    ed esclamar: "O Ghin, dove ne han tratti
    la mia sciocca credenza e i tuoi misfatti? 120

    Me non d'Arbia sul margine patrizia
    prosapia mi produsse: io nei burroni
    nacqui del Tauro, o nella dura Scizia,
    e mi educaro gli arabi ladroni;
    ch'io non dovea suppor tanta nequizia
    in beltà che non ebbe paragoni,
    né agli occhi creder che accusar colei
    più cara a me degli stessi occhi miei. 128

    E fui si crudo? e posi in mortal sito
    la Pia, di me, d'Italia il più bel fregio?
    Ah non sia mai tal vituperio udito
    ove la cortesia si tiene in pregio.
    Dirà qualcuno, e rnostrerammi a dito,
    della cavalleria tutta in dispregio:
    questi è colui, che inerme una vezzosa
    femmina oppresse, e gli era amante e sposa. 136

    Misera sposa! i guiderdon son questi
    che sconoscente il coniuge ti diede
    per quell'immenso ben che gli volesti,
    per tanta a danno tuo serbata fede!
    Quai giorni lacrimevoli e funesti
    menati avrai nell'esecrabil sede!
    esposta a morte, in rnan di vili schiavi,
    e ciò per opra di chi tanto amavi. 144

    Ma or or quando avverrà ch'io ti disserri
    il carcer, come sostener tua vista?
    Ben chieder non m'udrai che tu mi serri
    infra le braccia, e dal rigor desista;
    ma chiederò che fra gli stessi ferri
    me chiuda a terminar vita si trista,
    o di tua rnan m'uccida, se ti alletta
    disianza di subita vendetta. 152

    Ma in vane querimonie il tempo io spendo
    mentre so che la misera languisce,
    aita e alleggiamento non avendo
    da chi in lei per piacermi incrudelisce:
    si accorra e tosto"; e al vecchio si volgendo,
    che a terra su due lunghe asse ben lisce
    composto avea di Ghino il corpo estinto,
    a seppellirlo il di seguente accinto 160

    "Tu vien", disse, "e mercè da lei m'impetra,
    ché ti dee l'efficace intercessione".
    Ciò detto, ancor che fosse ombroso l'etra,
    l'uno e l'altro cavallo in ordin pone,
    e il vecchio fa montar sopra una pietra
    per porlo agevolmente in sull'arcione,
    e lo assesta sul proprio palafreno
    che più dell'altro è obbediente al freno. 168

    Partono in coppia, e avvolgonsi per fusche
    vie, dove ancor l'acqua caduta stagna,
    e sono ad or ad or fatte corusche
    dal balenar che alluma la campagna;
    e ormai son giunti alle pianure etrusche
    che l'azzurro Tirren vagheggia e bagna,
    e in loco dove ascoltano mugghiare
    da lunge i liti al fremito del mare. 176

    Cessata affatto è la procella, e i cupi
    nugoli ai monti si ritranno lenti,
    e si odon dalle soggiogate rupi
    rimbombando cader gonfi torrenti
    entro ai lor cavernosi ermi dirupi
    lottan stridendo incatenati i venti,
    e irate ancor della marina l'onde
    piangon infrante all'arenose sponde. 184

    Dice il barone allor, sovra 'l sentiero
    l'altro aspettando che sen vien più adagio -
    "Se a me la notte non contenda il vero,
    siam giunti, e prima ch'io non fea presagio".
    innanzi a questo dir spinto il destriero,
    scopre la nera torre del palagio,
    che giganteggia sopra il bosco opaco
    e nerissima gitta ombra sul laco. 192

    Il cor gli balza a cotal vista, e in quella
    che andando del castel più si discopre,
    fiso lo guarda, e torbido favella:
    "Oh dei grand'avi miei magnifich'opre,
    complici delle antiche stragi, e della
    malvagità che il tempo in voi ricopre,
    retaggio io v'ebbi, e a me in retaggio venne
    pur quell'usanza rea, che in voi si tenne. 200

    Qui spesso ai cavalieri pellegrini
    fur tolte l'armi, e fur le donne offense;
    qui dei vassalli fur tratte pei crini
    le spose invan di casto sdegno accense,
    e il sangue degl'incauti vicini
    bevuto fu sulle tradite mense,
    ove di carmi il Trovator venduto
    dava alle sceleraggini tributo. 208

    Pur benché della perfida età nostra,
    in cui lume benigno non si scerne,
    non degenere io sia, l'atroce chiostra
    non vidi mai senza dispetto averne.
    Ed or più spaventosa a me si mostra
    anco la faccia delle mura esterne,
    or che la mente a santa impresa ha volta
    che belle vi farà la prima volta. 216

    Parmi veder su i vostri baluardi
    a far la scolta morte taciturna,
    e inalberar due funebri stendardi,
    in cui teme soffiar l'aura notturna;
    e par che sulla torre un rogo guardi,
    e accenni colla man sul lago un'urna.
    Ah, la pira, la tomba, e l'adre insegne
    son per qualcun che in questo punto spegne!" 224

    Mentre ei delira, ecco dall'alta torre
    un picciol fuoco uscir che l'ombre fende,
    e vacillando alla sua volta corre,
    e alfin sui saettati occhi gli splende:
    e or fugge, or torna, or si va basso a porre.
    Or alto, or si dilegua, or si raccende,
    or d'intorno lievissmo gli ronza,
    e i capei ritti per terror gli abbronza. 232

    Dando addietro tremò, l'occhio travolto
    volgea d'intorno ricercando scampo,
    e fuggito sarebbe a freno sciolto
    se sparito non fosse il fatuo lampo:
    si sgomentassi ei che di lance un folto
    bosco affrontò sovente ardito in campo
    tanto la ruggin di que' secoli orbi
    fea gl'intelletti grossolani e torbi. 240

    La settentrional vedova notte,
    che sparse sull'Italia il nembo goto,
    non anco appien fugata avean le dotte
    stelle, che ornar d'Arabia il ciel remoto,
    e che da crasse qualità prodotte
    fosser tali fiammelle era anco ignoto:
    anime confinate eran credute
    non ancor degne d'ottener salute. 248

    Stimavanle altri savi alme dannate
    a star dove commiser colpe rie,
    e a passar nell'abisso riservate
    dopo il tremendo novissimo die;
    quai fosser, dissipar non seppe il frate
    all'uopo sì fantastiche follie,
    perché godea di santa opinione,
    ma non era in dottrina un Salomone. 256

    Pur confortandol come sapea meglio,
    si fece avanti, e quel venia secondo;
    giunsero intanto, il cavaliere e il veglio,
    all'alta ripa d'un vallon rotondo
    che del suddito lago si fa speglio,
    qual della bolgia è nel bacin profondo:
    da quell'altura in sull'opposta riva
    quanto è grande il castel si discopriva. 264

    Veggion da lunge, pei balconi aperti,
    che ogni sala di lumi sfolgoreggia,
    e odono un lungo suon di canti incerti,
    onde la valle e la montagna echeggia;
    e dove il sacro campanil gli aperti
    piani, e l'annessa chiesa signoreggia,
    ascoltan la campana della villa,
    che, a martel tocca, orrendamente squilla. 272

    Stupiti vanno il lago costeggiando,
    e tosto giungon dietro a un monticello,
    che, tra il lago e la via la fronte alzando,
    lor nasconde la lama ed il castello;
    e il veggiono di nuovo oltrepassando,
    e di fiaccole e d'uomini un drappello
    veggion gir dal palagio, ove si estolle
    il rusticano borgo in vetta al colle. 280

    Come chi vien da Vetulonia a Roma
    per quella via che sul burrato sporge,
    giù nel profondo il lago, che si noma
    di Ronciglione, alla man destra scorge;
    gliel para poi d'un monticel la chioma,
    indi il rivede, indi altro monte sorge,
    e mostra il montuoso inegual suolo
    diversi laghi, e sempre è un lago solo; 288

    Cosi, veggendo trapassar costoro,
    e giunti dove il terzo colle manca,
    imprimono a livel del lago i loro
    vestigi, ed il castello han sulla manca:
    e già il mattino di porpora e d'oro
    veste l'alte montagne, e il ciel s'imbianca,
    e fan gli augelli e gli umidi cristalli
    novellamente risuonar le valli; 296

    Ché omai col nappo argenteo e col canestro
    pien di manna e di fior sorgea l'aurora,
    ponendo in vetta all'Appennino
    il piè legger, che il sol da tergo indora
    dal ventilar del suo bel vel cilestro
    la messaggiera uscia piacevol ora,
    e l'annunziava all'umida vallea,
    ove pigra la notte ancor sedea. 304

    Dal vallon buio veggiono sul monte,
    che illuminano i raggi mattutini,
    il corteo luttuoso, e lor son conte
    le sentenze dei cantici divini;
    ché il colle quei non salgono di fronte,
    ma obliquamente, e son tuttor vicini,
    e quattro sottopongono la spalla
    ad un feretro, che in andar traballa. 312

    Son della bara funerale ai lati
    con torchi in man, pel nuovo di languenti,
    due lunghi ordini d'uomini incappati,
    che han nei cappucci le fronti dolenti
    i cappucci, in due parti traforati,
    apron le viste ai loro occhi piangenti;
    bianche han le cappe, e il primo della schiera
    porta la croce con la banda nera. 320

    Con oscura zimarra e bianca cotta,
    leggendo i rituali del mortorio,
    il sacerdote va tra gli altri in frotta
    che intuonan supplicanti il responsorio;
    sul cataletto funebre tal'otta
    sparge l'acqua lustral coll'aspersorio,
    ed or mormora basso, ed alto or canta,
    e lo imita la turba tutta quanta. 328

    Davide e le fatidiche Sibille
    chiamando in testimon di lor parole,
    cantan come dovran tra le faville
    i tempi consumarsi, e gli astri e il sole,
    e d'ira il giorno in cui con le pupille
    torve Iddio mirerà l'umana prole,
    e i morti lasceran le vecchie tombe
    allo squillar delle celesti trombe. 336

    Cantano il parce, il taedet, ed i tristi
    del provato da Dio Giobbe idumeo;
    e l'elegia che tu, Sionne, udisti
    cantar dopo il peccato al re jesseo
    e par che da lontan cori non visti
    replichin quel canoro piagnisteo,
    e sembra ogni boscaglia, ogni caverna
    chieder luce perpetua e requie eterna. 344

    Percosso da tristissimo sospetto,
    dice al compagno il cavaliere allora:
    "Vanne, e che fu dímanda; io qui ti aspetto,
    che andar non so, tanto terror mi accora".
    Sprona a quei detti il frate il suo ginnetto,
    e giunge a sommo il colle appunto allora
    quando già sono entrati i funerali
    della chiesa nei santi penetrali. 352

    Ciascuno, a lui che attende, si nasconde.
    E le nenie lugùbri più non ode;
    ma un altro canto ascolta in riva all'onde
    con dolce malinconica melode:
    ed era un villanel, che l'infeconde
    coltivando del lago infauste prode,
    rompea le zolle con la splendid'arme,
    alternando il lavor con questo carme 360


    " Nelle foreste d'Appennin superno
    lisa piangea, perché il prefisso giorno
    il desiato sposo al suol paterno
    dalla Maremma più non fea ritorno;
    scorse l'estate, e ritornò l'inverno,
    e nol rivide nel natio soggiorno;
    andarne volle a ricercarlo alfine
    col padre che scendeva alle marine. 368

    E riposando un giorno il fianco lasso
    sopra una selce al termin della via,
    detto le fu che sotto di quel sasso
    l'ultimo sonno il suo fedel dormia.
    Rivolse il padre ai patrii colli il passo,
    ma non avea la figlia in compagnia,
    che dalla tomba la chiamò lo sposo,
    e in quella ricongiunti hanno riposo. 376

    Del tosco rriontanaro ecco le sorti:
    morte germoglia ov'ei gittò sudore,
    ma, per dar vita ai figli e alle consorti,
    è invidiato fra di noi chi muore;
    però che d'essi, quando noi siam rnorti,
    verace è il pianto come fu l'amore:
    questa certezza i nostri affanni molce,
    e anco il perder la vita a noi fa dolce". 384

    In udir quei concetti, al cor gli scende
    tenace inesplicabile tristezza;
    l'antiveder, per cui dubbioso pende,
    gli fan quei detti divenir certezza:
    freddo ghiaccio le fibre gli comprende,
    par che di nuovo pianto abbia vaghezza,
    ed alfin, furibondo e impaziente,
    si spicca, e corre alla rnagion dolente. 392

    Giunge, e niun vede, e niuno ascolta: regna
    silenzio intorno spaventoso e muto;
    nell'uscio invan di penetrar s'ingegna,
    ché il ferreo ponte in alto è sostenuto,
    e par che dai veroni un fetor vegna
    d'atro bitume dall'ardor soluto;
    fumo coi torchi a nebbia misto ingombra
    l'aer maligno, e le pareti adombra. 400

    Fermo, a gran voce il castellano chiama,
    e indarno stassi alle risposte intento;
    e di chiamar la Pia pur ebbe brama,
    ma gli mancò la lena e l'ardirnento.
    Gira per ogni parte, indi richiama:
    ma le inutili grida porta il vento;
    e quei muti balconi e quelle porte
    tacenti gli favellano di morte. 408

    Del bronzo i tocchi, e delle cere i fumi,
    l'esequie, il canto, e le deserte mura,
    tutto gli svela della mente ai lumi
    l'ultima irreparabile sciagura;
    precipita di sella, e va fra i dumi
    e i massi della costa in vér l'altura,
    e per non trita via, d'altre più pronta,
    con mani e piè verso il villaggio monta. 416

    Da sassi e spine malmenato, e vinto
    dal disagio, alla chiesa giugne retro,
    di terragne muraglie ad un recinto
    che i cipressi coniferi fan tetro:
    fra i lenti rami lor chiama un estinto
    l'upupa immonda in luttuoso metro,
    e ben mostrano i simboli di pianto
    esser quel della villa il camposanto. 424

    Giunge, e vede al calar della muraglia
    il ceduto caval del frate scarco;
    era questo un destrier di molta vaglia,
    leggiero come stral di partic'arco,
    caro alla Pia, quand'ei dalla battaglia
    riedea salvo recando il dolce incarco;
    d'orzo pingue e d'avena il fea satollo,
    tergeagli i crini, e gli palpava il collo. 432

    Piange il cavallo e immobile e confuso
    sogguarda torvo, e i brevi orecchi tende,
    china al suol la cervice, e il crin diffuso
    cade nel fango, e per la fronte pende;
    pel turgido di vene equino muso
    un rio di grosse lagrime discende,
    e lava il fren d'argentee borchie ornato,
    e le briglie, che sparse erran sul prato. 440

    e il caro condottier veduto appena,
    gli si fa incontro, e il guarda, e a mano a mano
    saltellandogli innanzi, ov'era il mena,
    e par dotato d'intelletto umano,
    e gli accenna nel mezzo all'inamena
    cerchia un cencioso e debile villano,
    che allora allor cavata fossa serra
    gettando in quella la sottratta terra. 448

    Corse alla sponda del recente avello,
    e vide (ahi! ché non vide!): ei mise un acre
    grido, tal che cader fe' al villanello
    la marra dalle man rugose e macre;
    e nel tumul gettavasi, e di quello
    turbate avria le cavitadi sacre,
    se il frate ed altre genti di sull'orlo
    del tristo avel non accorreano a torlo. 456

    Qui la sua Pia riconosciuta avea
    ricoperta di terra insino al mento
    morte nel volto suo bella parea,
    e lui che stava a seppellirla intento,
    quasi rapito dalla vaga idea,
    ove un gemino sol vedeasi spento,
    le caste membra avea coperte, e il viso
    di offender colle zolle era indeciso. 464

    Ella giacea, qual mandorlo fiorito
    nell'anno giovinetto in riva all'acque;
    venne la piena, e ruinando il lito,
    sull'arenoso letto il tronco giacque;
    lo sbarbicato ceppo è seppellito
    dal fango, e il fusto che si schietto nacque
    sol fuor sovrastan le ramose spoglie
    mostrando aridi fior, squallide foglie. 472

    Surto l'illustrator della natura,
    lanciando nella tomba il primo raggio.
    col vagheggiar la santa creatura
    prestavale il pietoso ultimo omaggio;
    ma quando vide empir la sepoltura,
    e coperto di terra il bel visaggio,
    fra le nubi celossi, e gemer parve,
    e a' mortali quel di più non comparve. 480

    Nello quei pii frattanto aveano scorto
    nella chiesa vicina; ivi si assise
    vergognoso chinando il viso smorto,
    né pianse, né parlò né sospir mise.
    parean, tant'era in pensier gravi assorto.
    Sue membra dallo spirito divise,
    e fea del duol ritegno alla licenza
    della casa di Dio la riverenza. 488

    Cosi di sotto alla celeste volta
    nelle notti d'april serene e belle,
    suol del mar la spumosa onda sconvolta
    riverente acquetar le sue procelle,
    ed ha pace, mirando andarne in volta
    del ciel le innumerabili facelle,
    e quant'ira tuonar sul flutto udissi
    geme sepolta negli equorei abissi. 496

    Chi dirà come la salma rimossa
    tornonne al loco ove natura dorme!
    Ah! dove volgi il pié, chiusa è la fossa,
    nè più in terra vedrai le amate forme.
    Inginocchiossi sulla terra smossa,
    posando il capo sovra un sasso enorme:
    sparsa non lunge la gente seguace,
    quell'immobile guarda, e immobil tace. 504

    Tal nel deserto pian di Selinunte
    le vetuste colonne immote stanno,
    altre intere, altre tronche, altre consunte
    dal veglio antico dell'età tiranno;
    e in file ora interrotte ed or congiunte
    malinconica siepe all'ara fanno,
    e allo stranier che guarda il marmo sacro,
    mesto di non trovarvi il simulacro. 512

    Pretese poi di satisfar la bella
    anima, che dal bel corpo si sciolse,
    vita menando penitente in quella
    magion, che a lei la dolce vita tolse:
    in Siena, e nelle prossime castella,
    del fiero avvenimento ognun si dolse,
    ed a distorlo venner di lontano
    i parenti e gli amici, e sempre invano. 520

    Ma quando si ascoltò per quei contorni
    suonar la tromba di novella guerra,
    d'avviso fu che terminar suoi giorni
    meglio era a scampo dell'avita terra
    lasciar volle i mortiferi soggiorni,
    ma il monte non passò che il lago serra:
    eran già fatte le sue membra inferme,
    e infuso in esse della morte il germe; 528

    E riedere al castello gli convenne;
    né durò molti di, ché una mattina,
    con quella sepolcral pompa solenne
    che accompagnò la Pia sulla collina,
    la morta spoglia sua translata venne
    al campo ove giacea quella meschina;
    e sul comun sepolcro ancor l'acerba
    sorte ne piange il venticel fra l'erba. 536

    Sotto l'assiduo martellar dei lustri
    cadde il castello, e i diroccati brani
    de' muri suoi, per empietade illustri,
    fér tristo ingombro alli infelici piani;
    crebber le limacciose onde palustri,
    e ne coprir le fondamenta immani
    or si odon lamentar, sotto l'interne
    volte, converse in umide caverne. 544

    E dicon che talor da quei rottami
    voce profonda come d'eco emerge,
    e sembra che la Pia dal fondo chiami;
    ed ella appai sull'onde e vi s'immerge;
    e quando scuote il vento i bruni rami
    del folto bosco che sul lago s'erge,
    vi si odon canti e salmodie lontane,
    e arcano suon di funebri campane. 552

    Né qui sveller virgulti, o fender zolle
    l'ausiliario agricoltor s'attenta;
    e, salvo ritornando al natal colle,
    quando Maremma inospital diventa,
    la sera, assiso sull'erbetta molle,
    all'adunata gioventude intenta,
    l'udita istoria, che per lunga scende
    tradizion di padri, a narrar prende. 560

    E ciò narrando, alternamente adocchia
    i parvoli scherzanti; ed or li abbraccia,
    or li fa mobil peso alle ginocchia,
    or dolce incarco alle robuste braccia.
    l'ode la moglie, intenta alla conocchia,
    e la luna, che a lei risplende in faccia,
    la concetta pietà, che muta cela,
    sulle bagnate guance altrui rivela. 568



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    00 25/06/2007 12:07
    Nota alla Pia del Sestini
    Bartolomeo Sestini (1792-1822) è un poeta pistoiese, il cui poemetto "La Pia", ispirato in qualche modo all'episodio dantesco del V del Purgatorio, ebbe un travolgente successo, dando il via alla fortunata voga delle "novelle romantiche".
    Anche se l'autore volle presentare il suo testo come una rielaborazione di leggende popolari toscane, si tratta in realtà di una costruzione letteraria: oggi l'opera può essere utilmente letta come esempio emblematico della costruzione di quel Medioevo fantastico (nel senso di inventato) che ancora proietta le sue ombre sulla percezione comune di questo periodo storico.

    Roberto Gagliardi

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    00 25/06/2007 12:08
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