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Manifesto del partito comunista. Marx - Engels

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    Penelope74
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    00 04/04/2005 13:31
    TENGO PARTICOLARMENTE A QUESTI SCRITTI,A MIO AVVISO E' POSITIVO PER TUTTI QUANTI AVERLI ALMENO LETTI, ASPETTO COMMENTI E SE POI VI INTERESSA POSTERO' IL SEGUITO.
    BORGHESI E PROLETARI 1
    La storia di ogni società è stata finora la storia di lotte di classe.
    Uomo libero e schiavo,patrizio e plebeo,membro di una corporazione e artigiano,in breve oppressore e oppresso si sono sempre reciprocamente contrapposti,hanno combattuto una battaglia ininterrotta,una battaglia che si è ogni volta conclusa con una trasformazione rivoluzionaria dell'intera società o con il comune tramonto delle classi in conflitto.
    Nelle precedenti epoche storiche noi troviamo dovunque una suddivisione completa della società in diversi ceti e una multiforme strutturazione delle posizioni sociali.
    La moderna società borghese, sorta dal tramonto della società feudale, non ha superato le contrapposizioni di classe. Ha solo creato nuove classi al posto delle vecchie, ha prodotto nuove condizioni dello sfruttamento, nuove forme della lotta fra le classi.
    La nostra epoca,l'epoca della borghesia, si caratterizza però per la semplificazione delle contrapposizioni di classe. L'intera società si divide sempre più in due grandi classi che si fronteggiano direttamente: borghesia e proletariato.
    [...]Noi vediamo dunque come la stessa borghesia moderna sia il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di trasformazioni nel modo di produzione e di scambio.
    1 Con "borghesia" si intende la classe dei capitalisti moderni, che posseggono i mezzi di produzione sociale e impiegano il lavoro salariato; con "proletariato" la classe dei moderni lavoratori salariati che, non possedendo nessun mezzo di produzione, per vivere sono ridotti a vendere la loro forza-lavoro.
    Ciascuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico.[...]la borghesia si conquistò infine l'assoluto dominio politico dopo la nascita della grande industria e del mercato mondiale nel moderno Stato rappresentativo. Il potere statale moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni dell'intera classe borghese.La borghesia ha giocato nella storia un ruolo altamente rivoluzionario.La borghesia ha distrutto i rapporti feudali, patriarcali, dovunque abbia preso il potere. Essa ha spietatamente stracciato i variopinti lacci feudali che legavano la persona al suo superiore naturale, e non ha salvato nessun altro legame fra le singole persone che non sia il nudo interesse, il crudo "puro rendiconto". Essa ha dissolto la dignità personale nel valore di scambio, e al posto delle innumerevoli libertà patentate e ben meritate ha affermato l'unica libertà, quella di commerciare, una libertà senza scrupoli. In una parola, al posto dello sfruttamento celato dalle illusioni religiose e politiche ha instaurato lo sfruttamento aperto, senza vergogna, diretto, secco.
    La borghesia ha spogliato delle loro sacre apparenze tutte le attività fino ad allora onorevoli e considerate con pia umiltà. Essa ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo di scienza in suoi salariati.
    La borghesia ha strappato alle relazioni familiari il loro velo sentimentale per ricondurle a una pura questione di denaro.
    [...]Solo la borghesia ha dimostrato che cosa l'attività umana può produrre. Essa ha realizzato meraviglie ben diverse dalle piramidi egizie, dagli acquedotti romani e dalle cattedrali gotiche, si è lanciata in ben altre avventure che non le migrazioni dei popoli e le crociate.
    La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, dunque i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. La prima condizione di esistenza di tutte le precedenti classi industriali era invece la conservazione immutata del vecchio modo di produzione. L'ininterrotta trasformazione della produzione, il continuo sconvolgimento di tutte le istituzioni sociali, l'eterna incertezza e l'eterno movimento distinguono l'epoca della borghesia da tutte le epoche precedenti. Vengono quindi travolti tutti i rapporti consolidati, arrugginiti, con il loro codazzo di rappresentazioni e opinioni da tempo in onore. E tutti i nuovi rapporti invecchiano prima di potersi strutturare.
    La necessità di uno sbocco sempre più vasto per i suoi prodotti lancia la borghesia alla conquista dell'intera sfera terrestre. Bisogna annidarsi dappertutto, dovunque occorre consolidarsi e stabilire collegamenti.
    La borghesia ha strutturato in modo cosmopolitico la produzione e il consumo di tutti i paesi grazie allo sfruttamento del mercato mondiale. Con grande dispiacere dei reazionari essa ha sottratto all'industria il suo fondamento nazionale. Antichissime industrie nazionali sono state distrutte e continuano a esserlo ogni giorno. Nuove industrie le soppiantano, industrie la cui nascita diventa una questione vitale per tutte le nazioni civili, industrie che non lavorano più le materie prime di casa ma quelle provenienti dalle regioni più lontane, e i cui prodotti non vengono utilizzati solo nel paese stesso ma, insieme, in tutte le parti del mondo. Al posto dei vecchi bisogni, soddisfatti dai prodotti nazionali, se ne affermano di nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti delle terre e dei climi più lontani.[...]La borghesia trascina verso la civiltà persino le nazioni più barbariche, grazie al rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, grazie al continuo progresso delle comunicazioni. I prezzi ben calibrati delle sue merci sono l'artiglieria pesante con cui essa atterra qualsiasi muraglia cinese, con cui essa costringe alla capitolazione financo la più ostinata xenofobia dei barbari. La borghesia costringe tutte le nazioni a far proprio il modo di produzione borghese, se non vogliono affondare; In una parola, la borghesia si costruisce un mondo a sua immagine e somiglianza.
    La borghesia ha sottomesso la campagna al dominio della città. Essa ha creato enormi città, ha notevolmente aumentato la popolazione urbana rispetto a quella delle campagne, strappando così all'idiotismo della vita di campagna una parte importante della popolazione. Come ha reso dipendente la campagna dalla città, così ha reso dipendenti i paesi barbarici o semi-barbarici da quelli civilizzati, i popoli contadini da quelli borghesi, l'Oriente dall'Occidente.
    La borghesia tende sempre più a superare la frammentazione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Essa ha agglomerato la popolazione, centralizzato i mezzi di produzione e concentrato la proprietà in poche mani. La conseguenza necessaria era la centralizzazione politica. Province indipendenti, quasi solo alleate, con interessi, leggi, governi e dogane differenti, sono state riunite in un'unica nazione, un unico governo, un'unica legge, un unico interesse di classe nazionale, un'unica barriera doganale.
    Controllo delle forze della natura, macchine, impiego della chimica nell'industria e nell'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, navigabilità dei fiumi, popolazioni intere fatte nascere dal nulla: quale secolo passato sospettava che tali forze produttive giacessero nel grembo del lavoro sociale?
    [...]Al loro posto subentrò la libera concorrenza con la costituzione sociale e politica che le è propria, con il dominio economico e politico della classe borghese.
    Simile è lo sviluppo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, insomma la moderna società borghese, che ha come per incantesimo prodotto mezzi di produzione e di scambio tanto potenti, è come l'apprendista stregone incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate. La storia dell'industria e del commercio è ormai da decenni solo la storia della sollevazione delle moderne forze produttive contro i moderni mezzi di produzione, contro i rapporti di proprietà che esprimono le condizioni di esistenza e di dominio della borghesia. Basta citare le crisi commerciali, che nel loro minaccioso ricorrere ciclico mettono sempre più in questione l'esistenza dell'intera società borghese. Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta una grande parte non solo dei prodotti ma persino delle forze produttive già costituite. Nelle crisi scoppia un'epidemia sociale che in tutte le altre epoche sarebbe stata considerata un controsenso: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra di annientamento totale sembrano sottrarle ogni mezzo di sussistenza; l'industria, il commercio appaiono distrutti, e perché? Perché la società ha incorporato troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive di cui essa dispone non servono più allo sviluppo della civiltà borghese e dei rapporti borghesi di proprietà; al contrario, esse sono diventate troppo potenti per quei rapporti, ne sono frenate, e non appena superano questo ostacolo gettano nel caos l'intera società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere la ricchezza che essi stessi hanno prodotto. Come supera le crisi la borghesia? Da una parte con l'annientamento coatto di una massa di forze produttive; dall'altra conquistando nuovi mercati e sfruttando più a fondo quelli vecchi. In che modo, insomma? Provocando crisi più generalizzate e più violente e riducendo i mezzi necessari a prevenirle.
    Ma la borghesia non ha solo forgiato le armi che la uccidono; ha anche prodotto gli uomini che imbracceranno queste armi: i lavoratori moderni, i proletari.
    Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa anche il proletariato, la moderna classe dei lavoratori, i quali vivono solo fin quando trovano lavoro e trovano lavoro solo in quanto il loro lavoro accresce il capitale. Questi lavoratori, che devono vendersi un poco alla volta, sono una merce come qualsiasi altro articolo in commercio e sono perciò ugualmente esposti a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.
    Il lavoro dei proletari ha perso ogni tratto di autonomia e quindi ogni stimolo per il lavoratore a causa dell'espansione delle macchine e della divisione del lavoro. Il lavoratore diventa un mero accessorio della macchina. Da lui si pretende solamente il più facile, il più monotono, il più elementare movimento. Il suo costo è limitato quasi esclusivamente ai mezzi di sostentamento di cui egli necessita per sopravvivere e per garantire il futuro della sua razza. Il prezzo di una merce, dunque anche del lavoro, è però pari ai suoi costi di produzione. Più il lavoro è ripugnante, più diminuisce per conseguenza il salario. Meglio: più si sviluppano le macchine e la divisione del lavoro, più cresce il volume del lavoro, sia per l'aumento dell'orario di lavoro, sia per l'aumento del lavoro richiesto in un dato periodo di tempo, per la cresciuta velocità delle macchine, ecc.
    L'industria moderna ha trasformato il piccolo laboratorio del maestro patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Le masse dei lavoratori compresse nella fabbrica vengono organizzate militarmente. Come soldati semplici dell'industria esse vengono sottoposte alla vigilanza di una gerarchia completa di sottufficiali e ufficiali. I lavoratori non sono solo schiavi della classe borghese, dello Stato borghese, ogni giorno e ogni ora essi sono asserviti dalla macchina, dal sorvegliante e soprattutto dallo stesso singolo fabbricante borghese. Tale dispotismo è tanto più gretto, odioso, amaro, quanto più apertamente erige il profitto a suo ultimo scopo.
    Quanto meno il lavoro manuale richiede abilità e forza, cioè quanto più si sviluppa l'industria moderna, tanto più il lavoro degli uomini viene sostituito da quello delle donne e dei bambini. Per la classe operaia le differenze di sesso e di età non hanno più alcuna rilevanza sociale. Non esistono ormai che strumenti di lavoro, distinti per il diverso costo relativo all'età e al sesso.
    Se lo sfruttamento del lavoratore da parte del proprietario della fabbrica cessa nel momento in cui egli riceve il suo compenso in contanti, ecco che su di lui si gettano le altre parti della borghesia, il proprietario della casa, il bottegaio, lo strozzino, ecc.
    I piccoli ceti medi, i piccoli industriali, commercianti e detentori di rendita, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi sprofondano nel proletariato in parte perché il loro esiguo capitale non basta per mandare avanti una grande industria e quindi soggiace alla concorrenza dei grandi capitalisti, in parte perché il loro talento è svalutato da nuovi modi di produzione. Sicché il proletariato è reclutato in tutte le classi della popolazione.
    Il proletariato passa attraverso diverse fasi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia dalla nascita.
    All'inizio a lottare sono i singoli lavoratori, poi i lavoratori di una fabbrica, poi quelli di un ramo produttivo in un luogo specifico contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente. Essi contestano non solo i rapporti di produzione borghesi ma gli stessi strumenti di produzione; distruggono le merci concorrenti che provengono dall'estero, fanno a pezzi le macchine, incendiano le fabbriche, cercano di riconquistarsi la vecchia posizione di cui come lavoratori godevano nel Medioevo.
    13 Al posto dei concetti di "valore del lavoro" e "prezzo del lavoro" Marx ed Engels si servirono in opere posteriori dei concetti, tecnicamente più elaborati, di "valore della forza-lavoro" e "prezzo della forza-lavoro". Secondo la prospettiva teorica dei due autori, infatti, l'operaio non vende il suo lavoro, bensì la sua forza-lavoro. Come in particolare Marx avrà modo di approfondire a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, il valore di una qualsiasi merce è stabilito dal tempo di lavoro socialmente necessario per produrla; di conseguenza, il valore di quella merce peculiare che è la forza-lavoro dell'operaio è stabilito da quanto occorre per il sostentamento suo e della sua famiglia. Si noti che la peculiarità della merce rappresentata dalla forza-lavoro è all'origine del concetto marxiano di plusvalore. La forza-lavoro produce infatti più valore di quanto sia necessario per comprarla, mettendo la differenza (che può variare in misura direttamente proporzionale allo sfruttamento della forza-lavoro) direttamente nelle mani del suo compratore. Se, poniamo, è sufficiente un terzo della giornata lavorativa di un operaio affinché questi produca un valore pari al prezzo pagato dal capitalista per il suo acquisto, il valore prodotto nei rimanenti due terzi della giornata lavorativa costituiscono un valore aggiunto che, col suo reimpiego nel processo produttivo, determina l'accumulazione del capitale.
    Ma con lo sviluppo dell'industria il proletariato non solo cresce di numero; esso si coagula in grandi masse, diventa più forte e più consapevole della sua forza. Gli interessi, le condizioni di vita dei proletari diventano sempre più simili, poiché le macchine annientano le differenze nel lavoro e precipitano il salario quasi dappertutto verso una stessa modesta soglia. La crescente concorrenza tra borghesi e le crisi commerciali che ne derivano rendono il salario dei lavoratori sempre più labile; l'evoluzione delle macchine, in continuo sempre più rapido sviluppo, ne rende l'esistenza sempre più insicura; gli scontri tra il singolo lavoratore e il singolo borghese acquistano sempre più il carattere di scontro fra due classi. Ma ogni lotta di classe è una lotta politica. Questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico, viene ad ogni istante nuovamente distrutta dalla concorrenza fra gli stessi lavoratori. Ma essa rinasce sempre di nuovo, più forte, più solida, più potente. La borghesia è sempre in lotta: [...] In tutte queste lotte essa si sente costretta a fare appello al proletariato, a prendere in considerazione il suo aiuto e a immetterlo così nel circuito politico. La borghesia forgia così gli strumenti dello sviluppo del proletariato, produce cioè le armi con cui sarà combattuta.
    Inoltre, come abbiamo visto, lo sviluppo dell'industria getta parti fondamentali della classe dominante nella condizione proletaria, o quanto meno ne minaccia il livello di vita. Anche queste parti di borghesia declassata offrono al proletariato una quantità di fattori di sviluppo.
    In tempi in cui la lotta di classe si avvicina infine allo scontro decisivo, il processo di dissolvimento della classe dominante, dell'intera vecchia società, assume un carattere così veemente, così acuto, che una piccola parte della vecchia società se ne emancipa per unirsi alla classe rivoluzionaria, alla classe cui appartiene il futuro. Come una volta parte della nobiltà passò con la borghesia, così oggi parte della borghesia va con il proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi, che si sono innalzati alla comprensione teorica dell'intero movimento storico.
    Tra tutte le classi che oggi si contrappongono alla borghesia, solo il proletariato è una vera classe rivoluzionaria. Le altre classi vanno in rovina e tramontano con la grande industria; il proletariato ne è il prodotto più proprio.

    Le condizioni di vita della vecchia società sono già distrutte nelle condizioni di vita del proletariato. Il proletario è senza proprietà; Le leggi, la morale, la religione sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.
    Una volta conquistato il potere, tutte le classi precedenti cercarono di garantirsi le condizioni di vita appena ottenute sottomettendo l'intera società alle regole della loro conquista. I proletari possono impossessarsi delle forze produttive sociali solo eliminando il loro stesso modo di acquisizione della ricchezza e quindi l'intero modo di acquisizione della ricchezza finora vigente. I proletari non hanno nulla di proprio da difendere, devono distruggere ogni forma di sicurezza privata e di assicurazione privata esistente.[...]





    Penelope
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    Penelope74
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    00 07/04/2005 16:04
    PROLETARI E COMUNISTI
    Qual è il rapporto tra comunisti e proletari?
    I comunisti non sono un partito a sé fra gli altri partiti dei lavoratori.Essi non hanno interessi separati da quelli dell'intero proletariato.Essi non propongono particolari princìpi su come modellare il movimento proletario.
    I comunisti si distinguono dai restanti partiti proletari solo perché, d'un lato, nelle diverse lotte nazionali dei proletari essi pongono in evidenza e affermano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente dalla nazionalità; dall'altro, perché essi esprimono sempre l'interesse complessivo del movimento nelle diverse fasi in cui si sviluppa la lotta fra proletariato e borghesia.
    I comunisti sono pertanto nella pratica la parte più decisa e più avanzata dei partiti operai di ogni paese, e dal punto di vista teorico essi sono anticipatamente consapevoli delle condizioni, del corso e dei risultati complessivi del movimento proletario.
    Il primo compito dei comunisti è identico a quello di tutti gli altri partiti proletari: costituzione del proletariato in classe, annientamento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato.
    Essi sono l'espressione generale di rapporti effettivi di una lotta di classe che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'eliminazione di rapporti di proprietà finora vigenti non è qualcosa di specificamente comunista.
    Ciò che distingue il comunismo non è l'eliminazione della proprietà in quanto tale, bensì l'abolizione della proprietà borghese.Ma la moderna proprietà privata borghese è l'ultima e più compiuta espressione della creazione e dell'appropriazione dei prodotti fondata su contrapposizioni di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri.
    In tal senso i comunisti possono riassumere la loro teoria in questa singola espressione: abolizione della proprietà privata.
    Si è rimproverato a noi comunisti di voler abolire la proprietà personale, ottenuta con il proprio lavoro; la proprietà che costituirebbe la base di ogni libertà, attività e indipendenza personale.
    Proprietà guadagnata con il proprio lavoro! Parlate della proprietà piccolo-borghese, piccolo-contadina, che ha preceduto la proprietà borghese? Non abbiamo bisogno di abolirla, è lo sviluppo dell'industria che l'ha abolita e l'abolisce giorno per giorno.Oppure parlate della moderna proprietà privata borghese?
    Ma il lavoro salariato, il suo lavoro, dà al proletario una proprietà? Niente affatto. Esso crea il capitale, cioè la proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può accrescersi solo a condizione di produrre nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. Nella sua forma attuale, la proprietà deriva dalla contrapposizione di capitale e lavoro salariato. Osserviamo i due lati di questa opposizione.
    Essere capitalista significa assumere nella produzione una posizione non solo puramente personale, ma sociale. Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo grazie a una comune attività di molti, anzi in ultima istanza di tutti i membri della società.
    Il capitale non è quindi un potere solo personale, è un potere sociale.Se allora il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, che appartiene a tutti i membri della società, in tal modo non si muta una proprietà privata in una proprietà collettiva. Cambia solo il carattere sociale della proprietà. Essa perde il suo carattere di classe.
    Veniamo al lavoro salariato.
    Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del compenso lavorativo, cioè la somma dei mezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita il lavoratore in quanto lavoratore. Ciò di cui dunque il lavoratore si appropria attraverso la sua attività, basta appena per ricreare le condizioni minime per sopravvivere. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari a ricostituire le condizioni minime di sopravvivenza, un'appropriazione da cui non deriva alcun ricavo che potrebbe conferire potere sul lavoro altrui. Noi vogliamo solo eliminare il carattere miserevole di tale appropriazione, in cui il lavoratore vive solo per accrescere il capitale, e continua a vivere solo in quanto lo esige l'interesse della classe dominante.Nella società borghese il lavoro vivo è solo un mezzo per accrescere il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è solo un mezzo per ampliare, arricchire e migliorare la vita dei lavoratori.Nella società borghese è dunque il passato che domina sul presente, in quella comunista è il presente che domina sul passato. Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo attivo è dipendente e impersonale.
    E l'abolizione di questo rapporto la borghesia la chiama abolizione della personalità e della libertà! E a ragione. Si tratta però dell'abolizione della personalità, indipendenza e libertà borghesi.
    Con "libertà" si intende nell'ambito degli attuali rapporti borghesi di produzione il libero commercio, la libertà di acquistare e di vendere.
    Ma se scompare il traffico, allora scompare anche il libero traffico. Gli stereotipi a proposito del libero traffico, come tutte le ulteriori bravate liberali del nostro borghese, hanno un senso solo nei confronti del traffico vincolato, nei confronti del cittadino medievale asservito, ma non nei confronti dell'abolizione comunista del traffico, dei rapporti borghesi di produzione e della stessa borghesia.
    Voi inorridite perché noi vogliamo eliminare la proprietà privata. Ma nella vostra società esistente la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste proprio in quanto non esiste per quei nove decimi. Voi ci accusate dunque di voler abolire una proprietà che verte necessariamente sulla mancanza di proprietà della stragrande maggioranza della popolazione.
    In una parola, voi ci accusate di voler abolire la vostra proprietà. È proprio quello che vogliamo.
    Dal momento in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale, denaro, rendita fondiaria - in breve, in un potere sociale monopolizzabile -, cioè dal momento in cui la proprietà personale non può tramutarsi in proprietà borghese, da quel momento voi dichiarate che ad essere abolita è la persona.
    Voi ammettete così di considerare come persona nient'altro che il borghese, il proprietario borghese. E però questa persona deve essere abolita.
    Il comunismo non impedisce a nessuno di appropriarsi dei prodotti della società, impedisce solo di sottomettere il lavoro altrui per mezzo di tale appropriazione.
    Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata ogni attività cesserebbe e si affermerebbe una pigrizia generalizzata.
    Secondo una simile interpretazione la società borghese dovrebbe essere già da tempo scomparsa per colpa dell'indolenza, giacché coloro che vi lavorano non guadagnano, e coloro che vi guadagnano non lavorano.
    Tutta questa riflessione porta alla tautologia per cui il lavoro salariato cessa di esistere nel momento in cui non esiste più il capitale.
    Tutte le obiezioni rivolte contro il modo comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali sono state sviluppate allo stesso titolo nei confronti dell'appropriazione e della produzione dei prodotti spirituali. Come per il borghese la fine della proprietà di classe significa la fine della produzione stessa, così per lui la fine della cultura di classe è identica alla fine della cultura in quanto tale.
    La cultura di cui egli lamenta la perdita è per l'enorme maggioranza la preparazione a diventare una macchina.
    Ma non dibattete con noi misurando la liquidazione della proprietà borghese in base alle vostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto e così via. Le vostre idee stesse derivano dai rapporti di produzione e di proprietà borghesi, così come il vostro diritto non è altro che la codificazione della volontà della vostra classe, volontà il cui contenuto è dato dalle condizioni materiali di esistenza della vostra classe.
    Voi condividete con tutte le classi dominanti tramontate la concezione interessata grazie alla quale affermate come leggi eterne della natura e della ragione i vostri rapporti di produzione e di proprietà, frutto di rapporti storici, rapporti che evolvono nel corso della produzione. Ciò che voi intendete come proprietà antica, ciò che voi intendete come proprietà feudale, non lo potete più intendere come proprietà borghese.
    Abolizione della famiglia! Persino i più radicali si indignano per questo scandaloso intento dei comunisti.
    Su che cosa poggia la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul reddito privato. In senso pieno essa esiste solo per la borghesia; ma essa trova il suo completamento nell'imposizione ai proletari di non avere una famiglia e nella prostituzione pubblica.
    La famiglia del borghese decade naturalmente con l'eliminazione di questo suo proprio completamento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale.
    Voi ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei bambini da parte dei loro genitori? Confessiamo questo crimine.
    Ma voi dite che noi aboliamo i rapporti più cari sostituendo con l'educazione sociale quella impartita a domicilio.
    E forse che la vostra stessa educazione non è determinata dalla società? Dai rapporti sociali nel cui ambito voi educate, dall'interferenza più o meno diretta o indiretta della società per mezzo della scuola e così via? Non sono i comunisti a inventare l'intervento della società nell'educazione; ne cambiano solo il carattere, sottraggono l'educazione all'influsso di una classe dominante.
    Gli stereotipi borghesi sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli, diventano tanto più nauseanti quanto più per i proletari vengono spezzati tutti i vincoli familiari e i figli sono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.
    "Ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne!", strepita in coro contro di noi l'intera borghesia.
    Il borghese vede in sua moglie un puro strumento di produzione. Egli sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può naturalmente fare a meno di pensare che il destino della comunanza toccherà anche alle donne.
    Non gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come puri strumenti di produzione.
    D'altronde non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore del nostro borghese per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno di introdurre la comunanza delle donne, giacché essa è quasi sempre esistita.
    Non contento del fatto che le mogli e le figlie dei suoi proletari siano a sua disposizione - per tacere della prostituzione ufficiale - i nostri borghesi trovano sommo piacere nel sedurre reciprocamente le rispettive mogli.
    In realtà, il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Al massimo, si potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire una comunanza delle mogli ufficiale, aperta, a una comunanza ipocritamente nascosta. Eppoi va da sé che con l'abolizione dei rapporti di produzione vigenti sparisce per conseguenza anche la comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e ufficiosa.
    Si è inoltre rimproverato ai comunisti di voler liquidare la patria, la nazionalità.
    I lavoratori non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno. Dovendo anzitutto conquistare il potere politico, elevarsi a classe nazionale, costituirsi in nazione, il proletariato resta ancora nazionale, ma per nulla affatto nel senso in cui lo è la borghesia.
    Le divisioni e gli antagonismi nazionali fra i popoli tendono sempre più a scomparire già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà del commercio, con il mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle condizioni di vita che ne derivano.
    Il potere proletario li farà scomparire ancora di più. L'azione comune almeno dei paesi più civilizzati è una delle prime condizioni della sua liberazione.
    In tanto in quanto viene eliminato lo sfruttamento del singolo individuo da parte di un altro, svanisce anche lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra.
    Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni cade la reciproca ostilità fra le nazioni.
    Alle accuse contro il comunismo rivolte in genere sulla base di punti di vista religiosi, filosofici e ideologici non serve opporre più dettagliata risposta.
    È necessario un profondo sforzo intellettuale per capire che anche le concezioni, le opinioni e i concetti - in una parola, la coscienza - di ciascuno cambiano insieme alle sue condizioni di vita, alle sue relazioni sociali, alla sua collocazione nella società?
    La storia delle idee dimostra che la produzione spirituale si conforma alla produzione materiale. In ogni epoca hanno sempre dominato le idee della classe dominante.
    Si parla di idee che rivoluzionano un'intera società; così non si fa che esprimere il fatto che all'interno della vecchia società si sono formati gli elementi di una società nuova, che la dissoluzione dei vecchi modi di vita va di pari passo con la dissoluzione delle vecchie idee.
    Quando il mondo antico fu per tramontare, le religioni dell'antichità furono vinte dal cristianesimo. Quando, nel XVIII secolo, le idee cristiane soccombettero alle idee dell'illuminismo, la società feudale ingaggiò la sua lotta con l'allora rivoluzionaria borghesia. Le idee di libertà di coscienza e di religione non esprimevano altro che il dominio della libera concorrenza nel campo coscienziale.
    Si opporrà che le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc., si sono modificate lungo il corso della storia. Eppure in questi cambiamenti la religione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto si sono conservati.
    Ci sono poi verità eterne come la libertà, la giustizia, ecc., comuni a tutte le condizioni sociali. Ma il comunismo liquida le verità eterne, liquida la religione, la morale, invece di dar loro nuova forma - esso dunque contraddice il corso della storia così come si è finora sviluppato.
    A che cosa si riduce questa accusa? L'intera storia della società si è sviluppata finora attraverso le contrapposizioni di classe, diverse a seconda delle diverse epoche. Ma qualunque forma assumesse, lo sfruttamento di una parte della società da parte dell'altra è un fatto comune a tutti i secoli passati. Nessuna sorpresa dunque che la coscienza sociale di qualsiasi secolo, malgrado ogni varietà e diversificazione, si muova in determinate forme comuni - forme di coscienza - che si estinguono completamente solo a seguito della totale scomparsa della contrapposizione di classe.
    La rivoluzione comunista è la rottura più radicale con i rapporti tradizionali di proprietà. Non meraviglia dunque che nel suo sviluppo essa rompa nel modo più radicale con le idee tradizionali.
    Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.
    Abbiamo già visto sopra che il primo passo nella rivoluzione dei lavoratori è l'elevazione del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia.
    Il proletariato userà il suo potere politico per strappare progressivamente alla borghesia tutti i suoi capitali, per centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, dunque del proletariato organizzato in classe dominante, e per moltiplicare il più rapidamente possibile la massa delle forze produttive.
    In un primo momento ciò può accadere solo per mezzo di interventi dispotici sul diritto di proprietà e sui rapporti di produzione borghesi, insomma attraverso misure che appaiono economicamente insufficienti e inconsistenti, ma che nel corso del movimento si spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili strumenti di trasformazione dell'intero modo di produzione.
    Queste misure saranno naturalmente differenti da paese a paese.
    Per i paesi più sviluppati potranno comunque essere molto generalmente prese le misure seguenti:
    Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della proprietà fondiaria per le spese dello Stato.
    • Forte imposta progressiva.
    • Abolizione del diritto di successione.
    • Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.
    • Centralizzazione del credito nelle mani dello Stato attraverso una banca nazionale dotata di capitale di Stato e monopolio assoluto.
    • Centralizzazione di ogni mezzo di trasporto nelle mani dello Stato.
    • Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano sociale.
    • Uguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.
    • Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell'industria, misure volte ad abolire gradualmente la contrapposizione di città e campagna.
    • Educazione pubblica e gratuita di tutti i bambini. Abolizione del lavoro dei bambini nelle fabbriche nella sua forma attuale. Fusione di educazione e produzione materiale, ecc., ecc.

    Una volta sparite, nel corso di questa evoluzione, le differenze di classe, e una volta concentrata tutta la produzione nelle mani degli individui associati, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere pubblico in senso proprio è il potere organizzato di una classe per soggiogarne un'altra. Quando il proletariato inevitabilmente si unifica nella lotta contro la borghesia, erigendosi a classe egemone in seguito a una rivoluzione, e abolendo con la violenza, in quanto classe egemone, i vecchi rapporti di produzione, insieme a quei rapporti di produzione esso abolisce anche le condizioni di esistenza della contrapposizione di classe, delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe.
    Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e le sue contrapposizioni di classe, subentra un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.




    Penelope
  • .KOBA.
    00 07/04/2005 22:56
    Il libro fondamentale dei marxisti!
    Il libro dei comunisti!
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    Pertinax
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    Vuoi morire...
    00 07/04/2005 23:07
    Re:

    Scritto da: .KOBA. 07/04/2005 22.56
    Il libro fondamentale dei marxisti!
    Il libro dei comunisti!



    benvenuto compagno!

    [Modificato da Pertinax 07/06/2006 18.36]










    non è la terra natale la vera Patria, ma soltanto quella in cui l'Uomo riesce ad esprimere
    il suo animo integrandosi serenamente in una comunita della quale condivide effetti ed idee
    Euripide - Medea




  • .KOBA.
    00 07/04/2005 23:14
    Grazie tante! Spero di sffrontare molti dibattiti costruttivi in questo forum, non perdendoci nelle divisioni, cosa che noi comunisti facciamo spesso!
    HASTA SIEMPRE!
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    00 07/04/2005 23:22
    l'ho letto...
    ....alle superiori... E resto perplesso sulla donna che dovrebbe essere di tutti:Sm1: per il resto è come, di cui sopra, il libro dei comunisti





    Ciò che non ti uccide ti rende più forte (F.Nietzsche).
    Dio è morto ma, visto lo stato della specie umana, forse per molti anni ancora la sua ombra avrà caverne in cui mostrarsi (F.Nietzsche).
    "In medium stat Virtus" : Nel mezzo sta la virtù.
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    "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus." Traduzione con interpretazione: "La rosa esiste a prescindere dal nome che le è stato dato. Di tutto ciò che è stato creato l'essere umano ne possiede solo il nome." Tratto dal bellissimo libro di Eco: "Il Nome Della Rosa"
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  • .KOBA.
    00 07/04/2005 23:26
    Ma per la donna... vuola far capire che non deve essere un oggetto sfruttato dal capitalismo! Penso sia questo il vero messaggio!
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    Penelope74
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    Ci Crede
    00 08/04/2005 12:09
    "Ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne!"
    Il borghese vede in sua moglie un puro strumento di produzione. Egli sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può naturalmente fare a meno di pensare che il destino della comunanza toccherà anche alle donne. Non gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come puri strumenti di produzione.
    D'altronde non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore del nostro borghese per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno di introdurre la comunanza delle donne, giacché essa è quasi sempre esistita.***
    Non contento del fatto che le mogli e le figlie dei suoi proletari siano a sua disposizione - per tacere della prostituzione ufficiale - i nostri borghesi trovano sommo piacere nel sedurre reciprocamente le rispettive mogli.
    In realtà, il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Al massimo, si potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire una comunanza delle mogli ufficiale, aperta, a una comunanza ipocritamente nascosta. Eppoi va da sé che con l'abolizione dei rapporti di produzione vigenti sparisce per conseguenza anche la comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e ufficiosa.
    ***rendetevi anche conto dell'epoca in cui è stato scritto..delle condizioni in cui realmente versavano i proletari..sono pagine che vanno lette per conoscienza filosofica, in fondo qui trova le fondamenta il comunismo, oggi come oggi nessuno si potrebbe sognare di prenderlo ad litteram..



    Penelope
  • .KOBA.
    00 08/04/2005 12:22
    Concordo.
    I tempi sono cambiati e quindi non si può prendere tutto alla lettera del MDPC. Ma rimane pur sempre la guida di ogni rivoluzionario!
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    00 08/04/2005 12:44
    Re:

    Scritto da: Penelope74 08/04/2005 12.09
    "Ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne!"
    Il borghese vede in sua moglie un puro strumento di produzione. Egli sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può naturalmente fare a meno di pensare che il destino della comunanza toccherà anche alle donne. Non gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come puri strumenti di produzione.
    D'altronde non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore del nostro borghese per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno di introdurre la comunanza delle donne, giacché essa è quasi sempre esistita.***
    Non contento del fatto che le mogli e le figlie dei suoi proletari siano a sua disposizione - per tacere della prostituzione ufficiale - i nostri borghesi trovano sommo piacere nel sedurre reciprocamente le rispettive mogli.
    In realtà, il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Al massimo, si potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire una comunanza delle mogli ufficiale, aperta, a una comunanza ipocritamente nascosta. Eppoi va da sé che con l'abolizione dei rapporti di produzione vigenti sparisce per conseguenza anche la comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e ufficiosa.
    ***rendetevi anche conto dell'epoca in cui è stato scritto..delle condizioni in cui realmente versavano i proletari..sono pagine che vanno lette per conoscienza filosofica, in fondo qui trova le fondamenta il comunismo, oggi come oggi nessuno si potrebbe sognare di prenderlo ad litteram..



    :Sm1: :Sm1: :Sm1: :Sm1:
  • .KOBA.
    00 09/04/2005 23:08
    W I MAESTRI! La guida necessaria per costruire il partito comunista italiano!
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    00 11/04/2005 10:25
    Il Capitale l'avete letto?



    ..Colonnello del "fu" Esercito Nazionale Cisalpino...
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    Pertinax
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    Vuoi morire...
    00 11/04/2005 10:54
    Re:

    Scritto da: Aggravi85 11/04/2005 10.25
    Il Capitale l'avete letto?



    sono ancora a metà:Sm9: :Sm9: :Sm9: xkè?









    non è la terra natale la vera Patria, ma soltanto quella in cui l'Uomo riesce ad esprimere
    il suo animo integrandosi serenamente in una comunita della quale condivide effetti ed idee
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    Digialu GT.18
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    00 09/10/2006 22:09
    Risposta
    Approposito della "comunanza delle donne" io una volta parlavo con un mio amico che diceva di voler prendere lui due ragazze che piacevano ad entrambi!
    Allora io scherzando risposi:
    "Ricorda che sono comunista e perciò pari distribuzione dei mezzi di riproduzione!"
    Naturalmente scherzavo e non mi permetterei mai di considerare la donna un mezzo il cui fine è permettere la continuazione della specie!
    Le donne sono sempre state colonne delle società nella storia ed hanno sempre ricoperto ruoli importanti nonostante la loro emarginazione,dai tempi primitivi,alla Resistenza Partigiana,ad oggi.
    Sento molto vicine le lotte per l'emancipazione delle donne e concludo riprendendo una frase di Mao:
    "Le donne mantengono l'altra metà del cielo"!!!



    "E la mia anima, fuori da quell'ombra, che ondeggia fluttando sul pavimento, non si solleverà mai più!"
    (Edgar Allan Poe)

    "E' ritrovata!
    Cosa?
    L'eternità!
    E' il mare confuso con il sole"
    (Arthur Rimbaud)